Ghadir Khum e gli orientalisti
S.M. Rizvi
Il 18 di Dhul Hijja di ogni anno nel mondo sciita si celebra la Festa (‘Id) di Ghadir Khum, nel quale il Profeta Muhammad (S) disse riguardo all’Imam ‘Ali: “Di chi io sono suo mawla (autorità politica e spirituale), questo ‘Ali è il suo mawla”. Questo avvenimento è di tale importanza per gli sciiti che nessun serio studioso dell’Islam potrebbe ignorarlo. L’obiettivo di questo articolo è quello di studiare come è stato trattato l’avvenimento di Ghadir Khum dagli orientalisti. Per ‘orientalisti’ intendo gli studiosi occidentali dell’Islam e anche a quegli orientali che hanno ricevuto la loro intera formazione islamica sotto la guida di questi eruditi.
Prima di continuare, non sarà fuori luogo una breve narrazione dell’avvenimento di Ghadir Khum. Ciò sarà di aiuto soprattutto per coloro che non hanno familiarità con l’evento.
Quando ritornava dal suo ultimo Pellegrinaggio, il Profeta Muhammad (S) ricevette il seguente ordine da Dio:
“O Messaggero, comunica ciò che è stato fatto discendere su di te da parte del tuo Signore, e [sappi che] se non [lo] farai non avrai annunciato [completamente] il Suo messaggio. Dio ti proteggerà dalla gente.” (Sacro Corano, 5: 67)
Per tanto il 18 di Dhul Hijja del decimo anno dell’Egira si fermò a Ghadir Khum per comunicare il messaggio ai pellegrini prima che essi di disperdessero. Poiché faceva molto caldo, per lui venne costruita una pedana ombreggiata da rami. Poi il Profeta (S) tenne un lungo sermone. Ad un certo punto chiese ai suoi fedeli seguaci se egli avesse più autorità (awla) sui credenti di quella che essi possedevano su loro stessi.
La massa gridò: “Sì, è così o Messaggero di Dio”. Poi prese ‘Ali per mano e dichiarò: “Di chi io sono il suo Mawla, anche questo ‘Ali è il suo Mawla (Man kuntu Mawlahu fa hada Aliyun mawlahu)”. Poi il Profeta (S) annunciò che si avvicinava la sua morte e raccomandò ai credenti di rimanere aggrappati al Corano e alla sua Ahlul Bayt (la Gente della Casa del Profeta). Questo è il sunto delle parti più importanti di Ghadir Khum.
Il corpo principale di questo articolo è così diviso: la seconda parte è una breve rassegna del metodo utilizzato dagli orientalisti nello studio della Shi’a; la terza parte tratta del metodo utilizzato per studiare Ghadir Khum in particolare; la quarta parte è una revisione critica di quanto M.A. Shaban ha scritto riguardo l’avvenimento di Ghadir nel suo “Islamic History 600-750”. Ne seguirà una conclusione.
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Quando lo scrittore egiziano Muhammad Qutb intitolò il suo libro “L’Islam: la religione incompresa” [tradotto in italiano con il titolo “Equivoci sull’Islam”, SITA, Ancona, 1980], esprimeva in maniera molto educata il sentimento islamico rispetto al modo in cui gli orientalisti avevano trattato l’Islam e i musulmani in generale. La parola “incompresa” implica che almeno vi era stato un tentativo sincero di comprendere l’Islam.
Una critica più efficace dell’orientalismo, comunque, condivisa dalla maggioranza dei musulmani, proviene da Edward Said:
“La cosa più difficile da ottenere dagli esperti accademici sull’Islam è l’ammissione che ciò che essi dicono e fanno come studiosi è collocata in un profondo, e in qualche modo offensivo, contesto politico. Ogni cosa attinente lo studio dell’Islam nell’Occidente contemporaneo è colma di importanza politica, ma difficilmente alcuno scrittore sull’Islam, sia egli esperto o generale, lo ammette. L’obiettività è ritenuta inerente nel discorso appreso riguardo le altre società, nonostante la lunga storia di preoccupazione politica, morale e religiosa provata da tutte le società, occidentali o islamiche, riguardo l’alieno, lo straniero e il differente. In Europa, per esempio, gli orientalisti sono stati tradizionalmente affiliati direttamente agli uffici coloniali”. (1)
Invece di ritenere l’oggettività propria dei discorsi dotti, l’erudizione occidentale deve comprendere che approcciarsi con dei preconcetti ad una tradizione politica o religiosa, a un livello conscio o subconscio può portare ad un giudizio parziale. Come scrive Hudgson Marshall:
“I pregiudizi giungono nelle questioni che egli pone e nel tipo di categoria che egli usa, dove in realtà il pregiudizio è particolarmente difficile da rintracciare perché è difficile sospettare degli stessi termini che si utilizzano, i quali sembrano innocentemente neutrali…” (2)
La reazione islamica di fronte all’immagine ritratta dall’erudizione occidentale ha iniziato a richiamare la dovuta attenzione. Nel 1979 l’altamente rispettato orientalista Albert Hourani disse:
“Le voci di quelli del Medio Oriente e del Nord Africa che ci dicono che non si riconoscono nell’immagine di essi che abbiamo creato sono così numerose e insistenti per essere spiegate in termini di rivalità accademica o di orgoglio nazionale.” (3)
Questo era l’Islam e i musulmani di fronte agli Orientalisti.
Quando ci concentriamo sullo studio della Shi’a realizzato dagli Orientalisti, la parola “incompresa” non è sufficientemente forte; si tratta piuttosto di un eufemismo. La Shi’a non è stata solamente incompresa, ma ignorata, travisata e studiata soprattutto attraverso la letteratura eresiografica dei suoi oppositori. E’ come se gli Sciiti non avessero i propri sapienti e la propria letteratura. Prendendo in prestito un’espressione di Marx: “Non possono rappresentarsi da soli, devono essere rappresentati”, e dai loro avversari!
La ragione di questo stato delle cose risiede nelle vie attraverso le quali gli eruditi occidentali entrarono nei campi di studi islamici. Hodgson, nella sua eccellente critica dell’erudizione occidentale, scrive:
“Per primi, vi erano coloro che studiarono l’Impero Ottomano, il quale giocò un ruolo importante nell’Europa moderna. Vi giungevano di solito, in primo luogo, dal punto di vista della storia diplomatica europea. Questi eruditi avevano la tendenza a vedere l’intero Islam dalla prospettiva politica di Istanbul, la capitale Ottomana.
Secondo, vi furono alcuni, generalmente britannici, che intrapresero gli studi islamici in India per padroneggiare il Persiano come buoni servitori pubblici o che almeno erano ispirati dall’interesse indiano. Per essi, la transizione imperiale di Delhi tendeva ad essere il culmine della storia islamica.
Terzo, vi erano i Semitisti, spesso interessati inizialmente agli studi ebraici, poi attratti dall’Arabo. Per essi, il quartier generale tendeva ad essere Il Cairo, la più vitale delle città arabofone nel diciannovesimo secolo, sebbene alcuni si diressero verso la Siria o il Maghreb.
Generalmente erano filologi piuttosto che storici, e appresero a vedere la cultura islamica attraverso gli occhi dei già scomparsi scrittori sunniti siriani e egiziani più in voga a Il Cairo. Altri cammini – quello degli spagnoli e di alcuni francesi che si concentrarono sui musulmani nella Spagna Medioevale, quello dei russi che si concentrarono sui musulmani del nord – furono generalmente meno importanti.” (4)
E’ piuttosto ovvio che nessuno di questi cammini avrebbe condotto gli eruditi occidentali ai centri di letteratura o apprendimento sciita. La maggioranza di quello che essi studiavano rispetto alla Shi’a era canalizzato attraverso fonti non-sciite. Hodgson, che merita la nostra più alta lode per aver notato questo punto, dice: “Tutti i sentieri prestavano relativamente molta poca attenzione alle aree centrali della Luna Fertile e dell’Iran, con la loro tendenza verso la Shi’a; aree che tendevano ad essere più remote alla penetrazione occidentale.” (5)
E dopo la Prima Guerra Mondiale “il cammino di Cairene verso gli studi islamici divenne il cammino dell’islamistica per eccellenza, mentre altri sentieri di studi islamici giunsero ad esser visti più come di rilevanza locale.” (6)
Per tanto, ogni volta che un orientalista studiava la Shi’a attraverso la traiettoria Ottomana, Cairene o Indiana, era piuttosto naturale per lui esser parziale contro l’Islam Sciita. “Gli storici musulmani di dottrina [che sono principalmente sunniti] cercarono sempre di mostrare che tutte le altre scuole di pensiero oltre la propria non solo erano false ma, se possibile, neanche veramente musulmane. I loro lavori descrivono innumerevoli “firqah” in termini che facilmente deviarono gli eruditi moderni facendo loro supporre che si riferivano a numerosi‘gruppi eretici’.” (7)
Così vediamo che fino a non molto tempo fa gli eruditi occidentali facilmente descrivevano il Sunnismo come ‘Islam ortodosso’ e la Shia come una ‘setta eretica’. Dopo aver categorizzato la Shi’a come una setta eretica dell’Islam, diventò ‘innocentemente naturale’ per gli eruditi occidentali assorbire lo scetticismo sunnita rispetto all’iniziale letteratura sciita. Anche il concetto di taqiyya (dissimulazione quando la propria vita è in pericolo) è stato gonfiato a dismisura e si ritenne che ogni affermazione di un sapiente sciita avesse un significato occulto. Di conseguenza, ovunque un orientalista studiava la Shi’a, la sua appartenenza alla tradizione giudeo-cristiana dell’Occidente veniva aggravata dal pregiudizio sunnita contro la Shi’a.
Uno dei migliori esempi di questo pregiudizio di trova nella forma in cui venne trattato dagli orientalisti l’avvenimento di Ghadir Khum.
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L’avvenimento di Ghadir Khum è un esempio molto valido per tracciare il pregiudizio sunnita che ha trovato la sua strada nella mente degli orientalisti. Coloro che sono ben versati negli scritti polemici sunniti sanno che ogni volta che gli sciiti presentano un hadith o una prova storica per appoggiare il loro punto di vista, un polemista sunnita risponderebbe nella seguente maniera:
In primo luogo, negherà immediatamente l’esistenza di tale hadith o accadimento storico.
In secondo luogo, di fronte a prove concrete tratte dalle sue stesse fonti, metterà in dubbio l’affidabilità dei trasmettitori di questo hadith o avvenimento.
In terzo luogo, quando gli viene mostrato che tutti i trasmettitori sono affidabili secondo i criteri sunniti, darà un’interpretazione dell’hadith o dell’avvenimento che sarà molto differente da quella sciita.
Questi tre livelli costituiscono la classica risposta dei polemisti sunniti nel trattare gli argomenti degli sciiti. Una citazione della traduzione di Rosenthal del Muqaddamah di Ibn Khaldun sarà sufficiente per dimostrare il mio punto. (Ibn Khaldun cita la seguente parte di al-Milal wa al-Nihal, un’opera eresiografica di Ash-Sharistani). Secondo Ibn Khaldun, gli sciiti credono che:
“‘Ali è colui che Muhammad designò. Gli sciiti trasmettono testi (di tradizioni) che appoggiano questa credenza…l’Autorità della Sunnah e i trasmettitori della legge religiosa non conoscono questi testi. La maggioranza di questi sono supposizioni o [8] alcuni dei loro trasmettitori sono sospetti, o [9] la loro (vera) interpretazione è molto differente dalla malevola interpretazione che (gli Sciiti) ne danno.” (10)
E’ interessante notare che l’evento di Ghadir Khum ha subito la stessa sorte per mano degli orientalisti. Con il tempo limitato e le fonti disponibili al momento, sono rimasto sorpreso nel vedere che la maggioranza delle opere sull’Islam hanno ignorato l’avvenimento di Ghadir Khum, indicando, attraverso questa assenza, che gli orientalisti ritengono questo accadimento ‘supposizioni’ e un’invenzione degli sciiti.
Muhammad & the Rise of Islam (1905) di Margoliouth, History of the Islamic People (1939) di Brockelmann, The Legacy of Islam (1931) di Arnold e Guillaume, Islam (1954) di Guillaume, Classical Islam (1963) di von Grunebaum, The Caliphate (1965) di Arnold e The Cambridge History of Islam (1970) hanno completamente ignorato l’evento di Ghadir Khum.
Perché questi e molti altri eruditi occidentali hanno ignorato l’avvenimento di Ghadir Khum? Giacché gli eruditi occidentali si sono affidati principalmente alle opere anti-sciite è naturale che abbiano ignorato l’evento di Ghadir Khum. La professoressa Laura Veccia Vaglieri, una delle collaboratrici della seconda edizione di Encyclopaedia of Islam (1953), scrive:
“La maggioranza delle fonti che costituiscono la base della nostra conoscenza della vita del Profeta (Ibn Hisham, al-Tabari, Ibn Sa’d, ecc.) passano sotto silenzio la sosta che fece Muhammad a Ghadir Khum, o se la menzionano, non dicono nulla del suo discorso (evidentemente gli scrittori temevano di attirare l’ostilità dei sunniti, che erano al potere, fornendo materiale per la polemica degli sciiti che usavano queste parole per sostenere la loro tesi del diritto di ‘Ali al Califfato). Per tanto i biografi occidentali di Muhammad, i cui lavori sono basati su queste fonti, allo stesso modo non fanno riferimento a quanto accaduto a Ghadir Khum.” (11)
Giungiamo quindi a quei pochi eruditi occidentali che menzionano l’hadith o avvenimento di Ghadir Khum ma esprimono il loro scetticismo rispetto alla loro autenticità – il secondo livello nella risposta classica dei polemisti sunniti.
Il primo esempio di tali eruditi è Ignaz Goldziher, un orientalista tedesco del diciannovesimo secolo particolarmente rispettato. Egli discute l’hadith di Ghadir Khum nel suo Muhammedanische Studien (1889-1890) tradotto in inglese come Muslim Studies (1966-1971) nel capitolo intitolato ‘L’hadith nella sua relazione con i conflitti delle parti dell’Islam.’ Rispetto agli sciiti, Goldziher scrive:
“Un solido argomento a loro favore [degli Sciiti]…era la loro convinzione che il Profeta avesse espressamente designato e nominato ‘Ali come suo successore prima della sua morte…Conseguentemente i seguaci di ‘Ali erano occupati ad inventare ed autorizzare tradizioni che dimostravano l’investitura di ‘Ali su ordine diretto del Profeta. La tradizione più ampiamente conosciuta (la cui autorità non è negata neanche dalle autorità ortodosse sebbene esse la privino della sua intenzione attraverso una differente interpretazione) è la tradizione di Khum, che apparve con questo proposito ed è uno dei più solidi pilastri delle tesi del partito Alide’”. (12)
Ci si aspetterebbe che un simile rinomato erudito dimostri come gli sciiti “erano occupati ad inventare” tradizioni per sostenere le loro tesi, ma da nessuna parte Goldziher fornisce alcuna prova. Dopo aver citato al-Tirmidhi e al-Nasa’i nelle note come la fonte dell’hadith di Ghadir Khum, egli dice: “Al-Nasa’i ebbe, come è noto, inclinazioni pro-alidi, e anche al-Tirmidhi incluse nella sua raccolta delle tradizioni tendenziose a favore di ‘Ali, per esempio la tradizione di tayr” (13). Questa è ancora la stessa vecchia classica risposta dei polemisti sunniti – screditare i trasmettitori come inaffidabili o accusare categoricamente gli sciiti di inventare le tradizioni.
Un altro esempio è la prima edizione della Encyclopaedia of Islam (1911-1938), che contiene una breve voce sotto ‘Ghadir Khumm’ di F. Bhul, un orientalista danese che scrisse una biografia del Profeta. Bhul scrive:
“Il luogo è diventato famoso attraverso una tradizione che ha le sue origini tra gli sciiti ma si trova anche tra i sunniti, vale a dire il Profeta nel viaggio di ritorno da Hudaybiyya (secondo altri dall’ultimo Pellegrinaggio) qui disse di ‘Ali: “Di chiunque io sono il suo signore, ha per signore anche ‘Ali!” (14) Bhul si assicura di enfatizzare che l’hadith e l’avvenimento di Ghadir hanno la loro origine “tra gli sciiti”!
Un altro esempio sorprendente dell’ignoranza degli orientalisti verso la Shi’a è A Dictionary of Islam (1965) di Thomas Hughes. Sotto la voce di Ghadir, egli scrive:
“Una festività degli sciiti è il 18 del mese di Zu’l-Hijja, quando tre immagini di pasta piene di miele vengono realizzate per rappresentare Abu Bakr, Umar e Uthman, che vengono colpite con coltelli, e il miele viene versato come fosse il sangue dei khalifah usurpatori. La festività è chiamata Ghadir, ‘uno stagno’, e la festa commemora, viene detto, Muhammad che dichiarò ‘Ali suo successore a Ghadir Khum, uno stagno a metà strada tra Makkah e al-Madinah.” (15)
Provenendo da una famiglia i cui antenati risalgono al Profeta stesso, avendo studiato in Iran per dieci anni e avendo vissuto tra gli Sciiti dell’Africa e del Nord America, non ho ancora visto, sentito o letto riguardo il rituale della pasta e del miele di Ghadir!! Sono rimasto ancor più sorpreso nel leggere che anche Vaglieri, nella seconda edizione di Encyclopaedia of Islam, ha incluso questa sciocchezza nel suo piuttosto eccellente articolo su Ghadir Khum. Ella ha aggiunto alla fine: “Questa festa possiede un ruolo importante anche tra i Nusayri”. E’ piuttosto possibile che questo rituale di pasta e miele venga osservato dai Nusayri, ma non ha nulla a che fare con gli sciiti. Ma tutti gli orientalisti conoscono la differenza tra gli sciiti e i Nusayri? Ne dubito molto.
Un quarto esempio dagli eruditi contemporanei che hanno percorso lo stesso sentiero è Philip Hitti nel suo History of the Arabs (1964). Dopo aver menzionato che i Buyidi stabilirono “la festività di questo [giorno] della presunta designazione da parte del Profeta di ‘Ali come suo successore a Ghadir Khum”, nelle note egli descrive la località di Ghadir Khum come “una fonte tra Mecca e Medina dove la tradizione sciita asserisce che il Profeta dichiarò: “Di chiunque io sono il signore, anche ‘Ali ne è il signore”” (16).
Sebbene questo erudito menzioni la questione di Ghadir di passaggio, egli classifica l’hadith di Ghadir come una “tradizione sciita”.
A questi eruditi che, consapevolmente o inconsapevolmente, hanno assorbito i pregiudizi sunniti contro la Shi’a e insistono sull’origine o invenzione sciita dell’hadith di Ghadir, vorrei riportare soltanto quanto Vaglieri ha detto in Encyclopaedia of Islam riguardo Ghadir Khum:
“E’ comunque certo che Muhammad parlò in questo luogo e pronunciò la famosa frase, perché la narrazione di questo evento è stata preservata, sia in maniera concisa che nel dettaglio, non solo da al-Ya’kubi, la cui simpatia per la causa ‘Alide è ben nota, ma anche nelle raccolte di tradizioni che sono considerate come canoniche, specialmente nel Musnad di Ibn Hanbal; e gli hadith sono così numerosi e ben attestati da differenti isnad che non pare possibile rifiutarli.” (17)
Vaglieri continua:
“Molti di qusti hadith sono citati nella bibliografia, ma essa non include l’hadith che, sebbene riporti la frase, omette il nome Ghadir Khum, o quello che afferma che la frase venne pronunciata a al-Hudaybiyya. La documentazione completa sarà facilitata quando Concordance di Wensinck sarà stato pubblicato integralmente. Per avere un’idea di quanto numerosi siano questi hadith, è sufficiente dare uno sguardo alle pagine in cui Ibn Kathir ha raccolto un gran numero di essi con i loro isnad”.
E’ tempo che gli studiosi occidentali familiarizzino con la letteratura sciita dei primi giorni così come con quella del periodo contemporaneo. Non vi è bisogno di aspettare Concordance di Wensinck. I sapienti sciiti hanno prodotto grandi opere sulla questione di Ghadir Khum. Qui voglio menzionare soltanto due di esse:
1) La prima è “Aqabatu ‘l-Anwar”, in undici ponderosi volumi, scritta in persiano da Mir Hamid Husayn al-Musawi (m. 1306 dell’Egira) dell’India. ‘Allama Mir Hamid Husayn ha dedicato tre imponenti volumi (che consistono di circa 1.080 pagine) agli isnad, tawatur e significato dell’hadith di Ghadir. Una versione ridotta di questa opera tradotta in arabo intitolata Nafahatu ‘l-Azhar fi Khulasati ‘Aqabati ‘l-Anwar di Sayyid ‘Ali al-Milani è stata pubblicata in undici volumi; e quattro di questi volumi (con un’impostazione e stampa moderna) sono dedicati all’hadith di Ghadir.
2) La seconda opera è “Al-Ghadir”, in 11 volumi in arabo, di ‘Abdul Husayn Ahmad al-Amini (m. 1970) dell’Iraq. ‘Allamah Amini ha fornito con referenze complete i nomi di 110 sahaba (Compagni) del Profeta e anche i nomi di 84 tabi’in (discepoli dei sahaba) che hanno narrato l’hadith di Ghadir. Egli ha anche fornito in ordine cronologico i nomi degli storici, tradizionisti, esegeti e poeti che hanno menzionato l’hadith di Ghadir dal primo fino al quattordicesimo secolo islamico.
Lo scomparso Sayyid ‘Abdul ‘l-Aziz at-Tabataba’i ha affermato che probabilmente non vi è un singolo hadith che è stato narrato da così tanti Compagni nel numero che noi vediamo (centoventi) nell’hadith di Ghadir. Comunque, comparando questa cifra al numero totale delle persone che erano presenti a Ghadir Khum, egli afferma che centoventi sono soltanto il dieci per cento dei testimoni totali. E per questo ha correttamente dato il seguente titolo al suo articolo: “Hadith Ghadir: Ruwatuhu Kathiruna lil-Ghayah…Qaliluna lil-Ghayah (I suoi narratori sono davvero molto…molto pochi)” (18).
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Tra i lavori più recenti di eruditi occidentali sulla storia dell’Islam vi è Islamic History AD 600-750, con il sottotitolo “A New Interpretation”, in cui l’autore sostiene non solo di utilizzare materiale scoperto recentemente ma anche di ri-esaminare e re-interpretare materiale che ci era noto da molti decenni. Shaban, un docente arabo alla SOAS dell’Università di Londra, non è disposto neanche a considerare l’evento di Ghadir Khum. Egli scrive: “La famosa tradizione sciita secondo cui egli [il Profeta] designò ‘Ali come suo successero non deve essere presa seriamente.”
Shaban fornisce due ‘nuove’ ragioni per non prendere seriamente l’evento di Ghadir:
“Simile evento è intrinsecamente improbabile considerando la tradizionale riluttanza araba ad affidare a uomini giovani ed inesperti delle grandi responsabilità. Inoltre, in nessun punto le nostre fonti mostrano la comunità medinese comportarsi come se avesse sentito di questa designazione.” (19)
Esaminiamo criticamente ognuna di queste ragioni fornite da Shaban.
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a) La tradizionale riluttanza degli arabi ad affidare a uomini giovani grandi responsabilità
Prima di tutto, il Profeta non ha introdotto molte cose verso le quali gli arabi erano tradizionalmente riluttanti? I meccani non accettarono con molta riluttanza lo stesso Islam? La questione dello sposare una moglie divorziata con il proprio figlio adottivo non era un tabù tra gli arabi? Questa ‘tradizionale riluttanza’ invece di essere un argomento contro la designazione di ‘Ali, è in realtà parte dell’argomento utilizzato dagli sciiti.
Essi concordano che gli arabi (in particolar modo i Quraysh) erano riluttanti nell’accettare ‘Ali come successore del Profeta non solo per la sua giovane età ma anche perché egli aveva ucciso i loro capi nelle prime battaglie dell’Islam. Secondo gli sciiti, Dio conosceva questa riluttanza ed è per questo che dopo aver ordinato al Profeta di proclamare ‘Ali come suo successore “O Messaggero! Trasmetti quello che ti è stato rivelato…”, Egli rassicurò il Suo Messaggero dicendo che “Dio ti proteggerà dalla gente” (5: 67)
Il Profeta era stato incaricato di trasmettere il messaggio di Dio, non importa se ciò fosse stato di gradimento agli arabi o no.
Inoltre, questa ‘tradizionale riluttanza’ non era un costume irrevocabile della società araba come Shaban vuole farci credere. Jafry, nella sua opera “The Origin and Early Development of Shi’a Islam”, dice: “Le nostre fonti non mancano di sottolineare che, sebbene il ‘Senato’ (Nadwa) della Mecca pre-islamica fosse generalmente un consiglio di soli anziani, i figli del capo Qusayy erano privilegiati venendo esentati da questa limitazione di età ed erano ammessi nel consiglio nonostante la loro giovane età. Nelle epoche successive, sembra siano state in voga maggiori concessioni liberali; Abu Jahl venne ammesso nonostante la sua giovane età, e Hakim b. Hamz venne ammesso quando aveva solo quindici o venti anni.”
Poi Ja’fari cita Ibn ‘Abd Rabbih: “Non è esistito re monarchico sugli arabi di Mecca nella Jahiliya. Quindi ogni volta che vi era una guerra, essi sceglievano a sorte tra i capi e ne eleggevano uno come ‘Re’, fosse egli giovane o anziano. Così il giorno di Fijar fu il turno dei Banu Hashim, e come risultato del voto al-‘Abbas, che allora era un semplice bambino, venne eletto e lo collocarono sopra lo scudo.” (20)
Terzo, abbiamo un esempio nelle stesse decisioni del Profeta durante gli ultimi giorni della sua vita, quando egli affidò il comando dell’esercito ad Usamah bin Zayd, un giovane che aveva appena venti anni (21). Egli venne designato sugli anziani membri dei Muhajirin (i Quraysh) e degli Ansar; e, infatti, molti degli anziani si risentirono di questa decisione del Profeta (22). Se il Profeta dell’Islam poteva designare il giovane ed inesperto Usamah bin Zayd sugli anziani dei Quraysh e degli Ansar, allora perché deve essere “intrinsecamente improbabile” pensare che il Profeta abbia designato ‘Ali come suo successore?
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b) La tradizionale riluttanza ad affidare a uomini inesperti grandi responsabilità
A parte la giovane età di ‘Ali, Shaban fa riferimento anche alla riluttanza degli arabi nell’affidare a “uomini inesperti grandi responsabilità”. Questo implica che gli arabi scelsero Abu Bakr perché era stato “messo alla prova con grandi responsabilità”.
Dubito che Shaban sarebbe capace di dimostrare l’implicazione della sua affermazione dalla storia islamica. Si troveranno più esempi dove ‘Ali venne incaricato dal Profeta con grandi responsabilità rispetto ad Abu Bakr. ‘Ali venne lasciato a Mecca durante la migrazione del Profeta per sviare i nemici e anche per restituire le proprietà di varie persone che erano state affidate al Profeta. ‘Ali venne incaricato con grandi responsabilità durante le prime battaglie dell’Islam nelle quali egli ebbe sempre successo.
Quando venne rivelato l’ultimatum (bara’at) contro i pagani arabi di Mecca, per trasmetterlo ai meccani venne incaricato inizialmente Abu Bakr; ma successivamente questa grande responsabilità gli venne tolta e affidata ad ‘Ali. ‘Ali venne incaricato della sicurezza delle città e degli abitanti di Medina mentre il Profeta si recò alla spedizione di Tabuk. ‘Ali venne designato capo della spedizione nello Yemen. Questi sono soltanto pochi esempi che vengono alla mente al momento. Per tanto, a livello comparativo, ‘Ali ibn Abu Talib era una persona che era stata messa alla prova e a cui erano state affidate responsabilità maggiori di quelle di Abu Bakr.
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c) Il comportamento della comunità medinese riguardo la Dichiarazione di Ghadir Khum
In primo luogo, se un evento può essere dimostrato vero attraverso i criteri accettati della critica degli hadith (dei sunniti, ovviamente), allora la reazione della gente alla credibilità di questo evento è irrilevante.
In secondo luogo, la stessa ‘tradizionale riluttanza’ usata da Shaban per screditare la dichiarazione di Ghadir può essere utilizzata qui contro il suo scetticismo verso l’evento di Ghadir. Questa tradizionale riluttanza, oltre ad altri fattori che sono al di là dello scopo di questo articolo (23), può essere utilizzata per spiegare il comportamento della comunità di Medina.
In terzo luogo, sebbene la comunità medinese rimase in silenzio durante gli eventi che tennero ‘Ali lontano dal califfato, tra loro vi erano molti che erano stati testimoni della dichiarazione di Ghadir Khum. In alcune occasioni l’Imam ‘Ali implorò i Compagni del Profeta di rendere la loro testimonianza sulla dichiarazione di Ghadir. Qui voglio menzionare un esempio che ebbe luogo a Kufa durante il governo dell’Imam ‘Ali, circa venticinque anni dopo la morte del Profeta.
L’Imam ‘Ali aveva sentito che alcune persone dubitavano della sua rivendicazione di avere la precedenza sugli altri califfi, quindi si recò ad una riunione nella moschea e implorò i testimoni oculari dell’evento di Ghadir Khum di confermare la veridicità della dichiarazione del Profeta rispetto al suo essere signore e autorità di tutti i credenti.
Molti Compagni del Profeta si alzarono e confermarono quanto sostenuto da ‘Ali. Abbiamo i nomi di ventiquattro di coloro che testimoniarono a favore di ‘Ali, sebbene altre fonti come il Musnad di Hanbal e Majma’ az-Zawa’id di Hafidh al-Haythami portino questo numero a trenta. Bisogna anche tenere a mente che questo incidente avvenne venticinque anni dopo l’evento di Ghadir Khum, e durante questo periodo centinaia di testimoni oculari erano scomparsi per morte naturale o durante le battaglie combattute durante il governo dei primi due califfi.
A questo fatto aggiungiamo che tale episodio ebbe luogo a Kufa, che era distante dal centro dei Compagni, Medina. Questo avvenimento che ebbe luogo a Kufa nell’anno 35 dell’Egira è stato narrato da quattro Compagni e quattordici tabi’in ed è stato riportato nella maggior parte dei libri di storia e tradizioni (24).
In conclusione, il comportamento della comunità di Medina dopo la morte del Profeta non rende automaticamente improbabile la dichiarazione di Ghadir Khum. Credo che questo sarà sufficiente per far comprendere al sig. Shaban che la sua non è una ‘nuova’ interpretazione; essa esemplifica piuttosto, secondo il mio punto di vista, il primo livello della risposta classica dei polemisti sunniti – una negazione pura e semplice dell’esistenza di un evento o di un hadith che sostiene il punto di vista sciita – che è stato assorbito dalla maggioranza degli studiosi occidentali dell’Islam.
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L’ultimo argomento nella strategia dei polemisti sunniti nelle loro risposte ad un evento o hadith presentato dagli sciiti è quello di fornirne un’interpretazione che salvaguardi le loro credenze. Essi sfruttano il fatto che il termine ‘mawla’ possiede vari significati: padrone, signore, schiavo, benefattore, beneficiario, protettore, cliente, amico, carica, vicino di casa, ospite, compagno, figlio, zio, cugino, nipote, figliastro, guida, seguace. I Sunniti affermano che la parola ‘mawla’ pronunciata dal Profeta a Ghadir non significa “autorità o signore”, ma “amico”.
Sulla questione dell’hadith di Ghadir, questa è la fase dove sono giunti gli studiosi occidentali dell’Islam. Nello spiegare il contesto dell’affermazione del Profeta a Ghadir Khum, L. Veccia Vaglieri segue l’interpretazione sunnita. Ella scrive:
“Su questo punto, Ibn Khatir mostra ancora una volta di essere uno storico perspicace: egli collega l’evento di Ghadir Khum con gli episodi che ebbero luogo durante la spedizione nello Yemen, che venne guidata da ‘Ali nell’anno 10/631-2, e che era tornato a Mecca giusto in tempo per incontrarvi il Profeta durante il suo Pellegrinaggio d’Addio. ‘Ali era stato molto severo durante la spartizione del bottino e questo comportamento aveva suscitato proteste; si solleveranno dubbi sulla sua rettitudine, venne rimproverato di avarizia e accusato di abusare dell’autorità. E’ pertanto piuttosto possibile che, onde mettere fine a tutte queste accuse, Muhammad volesse dimostrare pubblicamente la sua stima e amore per ‘Ali. Ibn Khatir deve essere giunto alla stessa conclusione, in quanto egli non dimentica di aggiungere che le parole del Profeta misero fine al mormorio contro ‘Ali.” (25)
Ogni volta che una parola possiede più di un significato, è invero pratica comune guardare al contesto dell’affermazione e dell’evento per comprendere l’intento dell’oratore. Ibn Kathir e altri scrittori sunniti hanno collegato l’evento di Ghadir Khum all’incidente della spedizione dello Yemen. Ma perché andare così lontani per comprendere il significato di “mawla”, perché non guardare all’intero sermone stesso tenuto dal Profeta a Ghadir Khum? Non è una pratica comune guardare all’immediato contesto dell’affermazione, piuttosto che guardare ad eventi remoti, nel tempo e nello spazio?
Quando guardiamo all’immediato contesto dell’affermazione dal Santo Profeta (S) a Ghadir Khum, troviamo quanto segue:
5.L’occasione, il luogo e il tempo. Immaginate il Profeta interrompere il suo viaggio a metà strada e trattenere circa centomila viaggiatori sotto il sole cocente del deserto arabo, farli sedere sulla terra rovente, fare un pulpito con selle di cammello e poi immaginatelo tenere un lungo sermone e alla fine di tutti questi preparativi, egli se ne esce con una dichiarazione secondo cui “Chiunque mi considera un amico, anche ‘Ali è suo amico!” Perché? Perché alcuni (non tutte le centomila persone che si erano radunate lì) erano irritati con ‘Ali per il modo in cui egli aveva distribuito il bottino tra i suoi Compagni nella spedizione nello Yemen! Non è un pensiero ridicolo?
Un altro modo per trovare il significato in cui il Profeta ha utilizzato la parola “mawla” per ‘Ali è vedere come lo comprese la gente a Ghadir Khum. Essi intesero la parola “mawla” nel senso di “amico” o nel senso di “autorità, guida”?
Hassan ibn Thabit, il famoso poeta del Profeta, compose un poema sull’avvenimento di Ghadir Khum nello stesso giorno. Disse:
فقال له قم یا علی، فاننی رضیتک من بعدی امام و هادیا
Egli gli disse: “Alzati, o ‘Ali, perché sono compiaciuto di renderti Imam e Guida dopo di me”.
In questo verso Hassan ibn Thabit aveva inteso il termine “mawla” con il significato di “Imam e Guida”, dimostrando chiaramente che il Profeta parlava riguardo il suo successore, e che non stava presentando ‘Ali come un “amico” ma come una “guida”.
Anche le parole di ‘Umar ibn al-Khattab sono interessanti. Egli si congratulò con l’Imam ‘Ali con queste parole: “Auguri, o figlio di Abu Talib, questa mattina sei diventato mawla di ogni credente uomo e donna” (27). Se “mawla” significa “amico”, allora perché gli auguri? ‘Ali era un ‘nemico’ di tutti gli uomini e donne credenti prima del giorno di Ghadir?
Questi contesti immediati rendono molto chiaro che il Profeta stava parlando di un’autorità integrale che ‘Ali aveva sui musulmani comparabile all’autorità che egli stesso aveva su di loro. Essi dimostrano che il significato del termine “mawla” nell’hadith di Ghadir non è quello di “amico” ma di “padrone, autorità, signore o guida” (28).
Infine, anche se accettiamo che il Profeta pronunciò le parole “Di chiunque io sono mawla, questo ‘Ali è il suo mawla” in relazione all’incidente della spedizione nello Yemen, anche in quel caso “mawla” non significherebbe “amico”. Il resoconto della spedizione, nelle fonti sunnite, dice che ‘Ali aveva riservato per sé stesso la migliore parte del bottino che era giunto sotto il controllo dei musulmani.
Questo causò un certo risentimento tra coloro che erano sotto il suo comando. Incontrando il Profeta, uno di loro si lamentò che poiché il bottino era proprietà dei musulmani, ‘Ali non aveva il diritto di tenerlo per sé stesso. Il Profeta rimase in silenzio; poi la seconda persona venne con la stessa lamentela. Il Profeta di nuovo non rispose. Poi una terza persona venne con la stessa lamentela. Allora il Profeta si arrabbiò e disse: “Cosa volete da ‘Ali? Egli in verità è il waliy dopo di me.” (29)
Cosa dimostra questa frase? Essa dice che così come il Profeta, secondo il versetto 6 della Sura 33, aveva maggior diritto (awla) sulla vita e proprietà dei credenti, similmente ‘Ali, come waliy, aveva maggior diritto sulla vita e proprietà dei credenti. Il Profeta chiaramente collocò ‘Ali al più alto livello di autorità (wilayat) dopo quella del Profeta stesso. E’ per questo che l’autore di “Al-Jami’u ‘s-Saghir” commenta: “Questa è in verità la più alta lode per ‘Ali.”
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In questo breve saggio ho mostrato che l’evento di Ghadir Khum è un fatto storico che non può essere rifiutato; che nello studiare la Shi’a, l’appartenenza tradizione giudeo-cristiana degli orientalisti è stata aggravata dai pregiudizi sunniti contro la Shi’a. Conseguentemente, l’evento di Ghadir Khum è stato ignorato dalla maggior parte degli eruditi occidentali ed è emerso dall’oblio solo per essere trattato con scetticismo e re-interpretazione.
Spero che questo esempio convincerà almeno alcuni degli eruditi occidentali di ri-esaminare la loro metodologia nello studio della Shi’a; invece di accostarsi ad esso in gran parte attraverso le opere di ereosiografici come ash-Shahristani, Ibn Hamz, al-Maqrizi e al-Baghdadi che presentano la Shi’a come una setta eretica dell’Islam, essi dovrebbero rivolgersi verso opere più obiettive sia sciite che sunnite.
Gli sciiti sono stanchi, e giustamente, di essere presentati come una setta eretica che è emersa per circostanze politiche agli inizi dell’era islamica. Essi chiedono di rappresentare sé stessi invece di essere rappresentati dai loro avversari.
اَلسَّلامُ عَلَيْكَ يا مَوْلايَ يا اَميرَ الْمُؤْمِنينَ ،…
يا اَمينَ اللهِ في اَرْضِهِ، وَسَفيرَهُ في خَلْقِهِ، وَحُجَّتَهُ الْبالِغَةَ عَلى عِبادِهِ،
اَلسَّلامُ عَلَيْكَ يا دينَ اللهِ الْقَويمَ وَصِراطَهُ الْمُسْتَقيمَ،
اَلسَّلامُ عَلَيْكَ اَيُّهَا النَّبَأُ الْعَظيمُ الَّذي هُمْ فيهِ مُخْتَلِفُونَ وَعَنْهُ يَسْأَلُونَ،
اَشْهَدُ يا اَميرَ الْمُؤْمِنينَ اَنَّ الشّآكَّ فيكَ ما آمَنَ بِالرَّسُولِ الاَْمينِ،
وَاَنَّ الْعادِلَ بِكَ غَيْرَكَ عانِدٌ عَنِ الدّينِ الْقَويم
ِ الَّذِي ارْتَضاهُ لَنا رَبُّ الْعالَمينَ، وَاَكْمَلَهُ بِوِلايَتِكَ يَوْمَ الْغَديرِ…
“…La pace discenda su di te, O mio signore, Amir al-Mu’minin
O il fidato di Dio sulla Sua terra, Suo rappresentante tra le Sue creature e Sua prova completa per i Suoi servi.
La pace discenda su di te, o ben guidato nella religione di Dio e nel Suo retto sentiero.
La pace scenda su di te, o Comandante dei credenti. Testimonio che chi dubita di te non ha creduto fedelmente nel Messaggero e chi ti compara agli altri ha sviato dal retto sentiero della religione che il Signore dei mondi ha scelto per noi e che ha perfezionato per mezzo della tua wilayat nel giorno di Ghadir…”
(estratti dalla ziyarat di Ghadir)
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NOTE
1) Said, E:W., Covering Islam (New Cork: Panteón Books, 1981) p. xvii.
2) Hodgson, M.G.S., The Venture of Islam, vol. 1 (Chicago: Universidad de Chicago Press, 1974) p.27
3) Hourani, A. “Islamic History, Middle Eastern History, Modern History,” in Kerr, M.H. (ed) Islamic Studies: A tradition an Its Problems (California: Undena Publications) p. 10 Hodgson, op. Cit.,p. 39-40.
4) Ibid.
5)Ibid.
6) Hodgson, op. Cit., p.66-67.
7) Fajru ‘l-Islam, p. 33 come citato e poi confutato da Muhammad Husayn Kashifu ‘l-Ghita, Aslu’ ‘shi-Shi’a wa Usuluha (Qum: Mu’assasa al-Imam ‘Ali, 1415) p. 140, 142; cfr. anche la successiva traduzione in inglese, The Shi’a Origin and Faith (Karachi: Islamic Seminary, 1982).
8) Fazlur Rahman, “Islam” (Chicago: University of Chicago Press, 1967), p.171-172. [in italiano F.Rahman, “La religione del Corano”, Edizioni Net, 2003]
9) Ibn Khaldun, Al-Muqaddimah, tr. Franz Rosenthal, vol. 1 (New Cork: Panteón Books, 1958).
10) Nell’originale in arabo, E.I2, p. 993, sotto la voce “Ghadir Khum”.
11) Goldziher, Muslims Studies, tr. Barber and Stern, vol. 2 (Chicago: Aldine Inc., 1971) pp. 112-113.
12) Ibid.
13) EI1, p. 134-135, sotto la voce “Ghadir Khum”.
14) Hughes, Thomas P., A Dictionary of Islam (New Jersey: Reference Book Publishers, 1965) p. 138.
15) Hitti, P.K., History of the Arabs (London: Macmillan and Co., 1964) p. 471.
16) EI2, p. 993 sotto la voce “Ghadir Khum”.
17) At-Tabatabai, Abdul Aziz, al-Gadir fit-Tiraazil Islam (Qom: Nashr al-Haadi, 1415) p. 7-8.
18) Shaban, Islamic History AD 600-750 (Cambridge: University of Press, 1971) p. 16.
19) Ja’fari, S.H.M, The Origin and Early Development of Shia Islam, p. 22. Disponibile anche online: https://www.al-islam.org/the-origins-and-early-development-of-shia-islam-sayyid-jafari
20) Haykal, M.H., Hayaat Muhammad (seconda edizione) p. 478; cfr. Anche la sua traduzione inglese, The Life of Muhammad, tr. Al-Faaruqi (n.p: American Trust Publications, 1976) p. 492.
21) Cfr. Ibn Sa’d, at-Tabaqaat, ed altre opere maggiori sulla sirah.
22) Per maggiori dettagli, cfr. Rizvi, S.S.A., , “Imamate: the viceregency of the Prophet”, pag. 120-121, Ansariyan Publication, Qom (di prossima pubblicazione in italiano).
23) Per le fonti complete, cfr. al-Amini, al-Ghadir, vol. 1 (Teherán: Mu´assasatul Muwahhidi, 1976) p. 166-186.
24) EI2, p. 993-994, sotto il titolo “Ghadir Khum”.
25) Al-Amini fornisce i nomi di sessantaquattro tradizionisti sunniti, che hanno citato la precedente questione, includendo tra loro Ahmad bin Hanbal, Ibn Majah, an-Nasa´i e at-Tirmidi. Cfr. al-Ghadir, vol. 1, p. 370-371.
26) Cfr. al-Amini, al-Ghadir, vol.1, pp. 270-283, per riferimenti alle fonti sunnite.
27) Questi contesti sono di “Al-Ghadir” di al-Amini, come sintetizzati in S.A.Rizvi, “Imamate: the viceregency of the Prophet”.
28) Cfr. an-Nasai, Khasa’is ‘Ali Ibn Abi Talib, p. 92-93; at-Tirmidi, Sahih, vol. 5, p. 632 (hadith n. 3712), e al-Jamius-Saghir.
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