Riflessioni sulla ‘Basmala’

Riflessioni sulla Basmala

بِسْمِ اللّهِ الرَّحْمـَنِ الرَّحِيمِ

Con il nome di Allah il Misericorde il Misericordioso

Il sacro Corano è un oceano infinito di sapienza, saggezza e luce; da esso non si finisce mai di apprendere cose nuove. Allah è infinito e quindi anche il suo Verbo è infinito. Nessun essere finito può veramente manifestare l’infinito. Quel che ci è concesso fare, però, è contemplare questo Verbo infinito. Non esiste parola umana che possa essere equiparata alla parola divina. Ciò significa che in realtà non esiste alcuna traduzione del sacro Corano redatta dagli eruditi in linguaggio umano. Infatti la traduzione del sacro Corano in altre lingue è anch’essa una sorta di esegesi poiché le parole divine vengono tradotte e quindi “filtrate” e “contaminate” da una mente e dalle sue inclinazioni soggettive. Ci può essere un’esegesi più o meno letterale, più o meno fedele al significato originale, che enfatizza certi aspetti invece di altri, eccetera, ma non si tratterà mai di una “traduzione fedele”. Se ci volessimo chiedere se esista effettivamente una traduzione del sacro Corano, noi non risponderemmo comunque in modo negativo; infatti diremmo che la vera traduzione del sacro Corano sono i detti e le azioni del Profeta Muhammad e della sua immacolata famiglia, pace su tutti loro, che sono il ricettacolo della teofania divina e quindi i soli a poterla effettivamente tradurre. In altre parole possiamo dire che la corretta traduzione del sacro Corano si manifesta attraverso l’Infallibilità (°isma) dei Quattordici Purissimi.

La formula “Con il nome di Allah il Misericorde il Misericordioso”, definita anche “basmala”, compare centoquattordici volte nel sacro Corano. Centrotredici sure iniziano con questa formula, tutte all’infuori della sura al-Bara°a, mentre nella sura an-Naml la suddetta formula viene ripetuta nel trentesimo versetto.

La basmala è stata considerata dagli Imam dell’Ahl al-Bayt, coloro che hanno preservato il significato integrale del messaggio profetico, come parte integrante della sura al-Fatiha stessa. Nello “°Uyun Akhbar ar-Rida” di Shaykh as-Saduq si narra che l’Emiro dei Credenti, su di lui la pace, ebbe a dire: “[La basmala] fa parte della sura al-Fatiha e l’Inviato di Allah era solito leggerla [durante la Preghiera rituale] e considerarla come un suo versetto, e diceva che l’Aprente del Libro sono i Sette Ripetuti”. Nel “Kitab al-Khisal” di Shaykh as-Saduq si narra che l’Emiro dei Credenti, su di lui la pace, ebbe a dire: “Pronunciarla [la basmala] ad alta voce durante la Preghiera rituale è obbligatorio”. Nel “Tafsir al-Qummi” di °Ali Ibn Ibrahim si narra che l’Emiro dei Credenti, su di lui la pace, ebbe a dire: “[La basmala] è il versetto più degno di essere menzionato ad alta voce e si tratta del versetto per il quale Allah dice: ‘Quando menzioni nel Corano il tuo Signore, l’Unico, voltano le spalle con ripulsa’ (17:46)”. Nel “Tafsir al-°Ayyashi” di Shaykh al-°Ayyashi si narra che l’Emiro dei Credenti, su di lui la pace, ebbe a dire: “Cosa li prende! Che Allah li stermini! Formulano l’intenzione di pronunciare il versetto più magnifico nel Libro di Allah ma ritengono che enunciarlo ad alta voce sia un’innovazione!”. Nel “Tafsir al-°Askari” dell’Imam al-°Askari, su di lui la pace, e nel “Kitab at-Tawhid” di Shaykh as-Saduq si narra che l’Imam al-°Askari, su di lui la pace, ebbe a dire: “Chi tra i nostri sciiti la trascura [la basmala] verrà messo alla prova da Allah con una sventura onde riponga l’attenzione al ringraziamento e a lodarLo, e venga compensata così la sua mancanza”.

Abbiamo detto che la basmala è una formula che viene ripetuta all’inizio di tutte le sure coraniche all’infuori di una; detto questo, una legittima domanda sarebbe chiedersi se il significato di ognuna di queste basmala sia sempre il medesimo oppure se esso muti con il cambiare della sura nella quale viene posta. In altre parole ci stiamo chiedendo se ogni basmala espressa nel sacro Corano abbia un suo significato particolare e specifico oppure se tutte le volte che ci imbattiamo nella basmala durante la recitazione del Libro Sacro stiamo pronunciando un unico significato. Secondo non pochi sapienti la basmala è parte integrante di ogni sura e quindi ha un significato a sé: si tratterebbe dunque di comunione del termine (ishtirak lafzi) e non di comunione di significato (ishtirak ma°nawi). Non è dunque sorprendente notare come diversi giuristi abbiano detto nei loro responsi legali che se, durante la Preghiera rituale, viene pronunciata la basmala senza aver specificato la sura che si intende recitare, essa dovrà essere ripetuta correttamente. Per esempio, se si pronuncia la basmala dopo la sura al-Fatiha in una delle prime due unità di una preghiera rituale intendendo recitare la sura an-Nas (la sura degli uomini) ma di fatto poi si recita la sura al-Ikhlas (la sura della sincerità), tale recitazione sarebbe invalida.

Riguardo invece il motivo per cui si inizia con la basmala possiamo fare le considerazioni seguenti. Quando un padre mette il suo stesso nome al proprio figlio, oppure quando un gruppo di persone si organizza in un’associazione e la nomina con un dato nome, oppure quando si vuole fondare una scuola o un ospedale, lo si fa in genere con un’intenzione ben precisa. Potrebbe essere affinché questo nome voglia essere di buon auspicio, come nel caso volessimo fondare una scuola islamica e chiamarla “madrasa al-Imam as-Sadiq”. Lo si può fare anche in ricordo di una persona o per continuarne l’opera e la missione. Tutti questi sono dei motivi ben precisi e del tutto legittimi per nominare qualcuno o qualcosa. Da ciò se ne deduce che il nome è importante per l’identificazione di una certa realità, sia essa intenzionale o fattuale. Ciò che ancor più conta, comunque, è il referente del nome. Per esempio, per un musulmano non è tanto importante la sua affiliazione alla religione dell’Islam quanto il suo esserlo davvero: essere dei credenti non significa semplicemente una frase da pronunciare a parole ma incarnarla veramente con fede sincera e genuina. Il nome è ciò che rappresenta una realità la quale può esser vista anche come il suo “contenuto”, ma se il nome è vuoto di contenuto di conseguenza è vuoto anche di significato. Ecco perché è importante iniziare con la basmala prima di fare qualsiasi cosa: l’affermazione di compierla “con il nome di Allah” è una protezione contro ogni altra insinuazione esterna che potrebbe profanare la sacra realità o il contenuto di quello che si vuole fare. Ciò, però, deve esser fatto con coscienza e purità del cuore se si vuol vedere un qualche effetto nella propria vita.

Un’altra questione è quella del “Libro Nascosto” (al-kitab al-maknun) e del “Libro Palese” (al-kitab al-mubin). Il sacro Corano dichiara: “Questo è in verità un nobile Corano in un libro nascosto” (56:77) e “Ecco i versetti del Libro Palese” (12:1). Quello che abbiamo tra le mani è un libro chiaro e manifesto ma è il riflesso di un qualcosa di superiore, più elevato e celeste: il Verbo di Allah (kalamullah). Noi sappiamo che Allah è onnipresente: “Ovunque vi volgiate, ivi è il volto di Allah” (2:115), “Noi siamo più vicini a lui della sua vena giugulare” (50:16), “Egli è il Primo e l’Ultimo, il Palese e il Nascosto” (57:3) e “Egli è con voi ovunque voi siate” (57:4). Comunque Allah si manifesta differentemente secondo la possibilità di ricezione dei mondi e dei singoli enti, ciononostante quando dice ad una cosa “Sii” essa è: “Egli è l’Iniziatore dei cieli e della terra, quando vuole una cosa dice ‘Sii’ ed essa è” (2:117). Allah agisce in principio attraverso la Sua azione unica e unitaria e questo Suo atto è il vero Libro Divino: il Libro Ontologico (al-kitab at-takwini). Il Libro in nostro possesso, composto da carta, inchiostro, rilegatura eccetera è un riflesso della suddetta realtà che si manifesta in livelli differenti fino a giungere al mondo più basso, il quale è in grado solo di ricevere e palesare il Libro Scritturale (al-kitab al-tadwini). L’atto divino è dunque scritto nel Libro Ontologico ma è riflesso nel Libro Scritturale ad un livello più tangibile per le genti; è così che Allah si presenta a tutto il creato: a coloro con cui comunica per mezzo del Verbo Ontologico e a coloro con cui comunica per mezzo del Verbo Scritturale. E’ grazie a questo Verbo, comunque venga inteso, che l’essere umano può iniziare il cammino verso l’incontro con Allah.

Degno di nota è il fatto che a volte il Libro Ontologico viene definito “Libro Palese”, come nel seguente versetto: “Presso di Lui sono le chiavi dell’occulto che solo Lui conosce. E conosce quello che c’è nella terra. Non cade una foglia senza che Egli non ne abbia conoscenza. Non c’è seme nelle tenebre della terra o cosa alcuna verde o secca che non siano in un Libro Palese” (6:59). Questo a testimonianza del fatto il Libro Ontologico può essere nascosto per alcuni ma palese per altri, come per Allah, il Quale possiede le chiavi dell’occulto, e coloro che sono “presso Allah” o “in prossimità di Allah” i quali si trovano così “con le chiavi in mano”.

Comprendere il significato del sacro Corano non significa quindi solo afferrarne i concetti di superficie presenti al livello del Libro Scritturale ma anche individuare i segreti presenti nel cosmo al livello del Libro Ontologico. Per far ciò, prima di ogni cosa, sarà necessaria la recitazione della basmala; e sarà proprio la modalità con la quale questa basmala viene pronunciata ad inserirci nel mondo e nel livello che ci spetta. A tal riguardo è consigliato recitare anche: “O Signor mio! Fammi entrare con ingresso di verità e fammi uscire con uscita di verità e concedimi autorità e ausilio da parte tua” (17:80). Quando ci si accinge a fare qualcosa, dobbiamo farlo “con ingresso di verità” e ciò è il vero passo che l’essere umano deve compiere e che lo porterà, se Allah vuole, alla prossimità divina (qurba). Lo stadio di prossimità divina è il vero obiettivo dell’essere umano: il paradiso e l’inferno sono solo conseguenze delle sue intenzioni e opere. Tutto quello che viene fatto “con il nome di Allah” è “ricordo di Allah” (dhikrullah) e rimarrà in perpetuo poiché raggiunge l’Eterno mentre il resto avrà triste fine: “Ogni cosa perirà eccetto il Suo volto” (28:88). In altre parole siamo a noi a determinare la nostra stazione in paradiso o all’inferno ma è Allah che invita a Sé coloro che ne sono degni e di cui si compiace.

Agire “con il nome di Allah” significa agire con la coscienza dello spirito la quale dà senso all’atto esteriore; la pronuncia della basmala è importante proprio perché mira alla prossimità di Allah ed è forse questo uno dei significati più profondi delle espressioni presenti nelle tradizioni dell’Ahl al-Bayt che esortano a pronunciarla ad alta voce che abbiamo citato in precedenza: dunque recitare la basmala ad alta voce significherebbe anche rendere la suddetta formula una teofania che agisce su tutti i livelli di esistenza.

La basmala è dunque l’inizio del Verbo Divino (kalamullah). In lingua araba si può parlare di “verbo” (kalam) quando si indica un discorso avente unitarietà di contenuti e ne viene dedotto uno scopo. Il sacro Corano è composto da molti versetti, termini e lettere ma in esso vi è un unico scopo: vi è dunque unitarietà non solo di stile ed eloquenza ma anche a livello ontologico: “E’ giunta a voi una luce e un Libro Palese” (5:15). Lo scopo del sacro Corano è quello di guidare l’umanità e più in particolare i lungimiranti: “una guida per gli uomini” (2:185) e “una guida per gli avveduti” (2:2). Nel sacro Corano Allah si narrano molteplici storie ed eventi ma l’obiettivo è quello di guidare l’umanità: esso è quindi il Verbo di Allah.

Detto questo, se però analizziamo attentamente la composizione del sacro Corano notiamo che esso è suddiviso in sure: “Dì:- Portate dieci sure inventate simili a questa e chiamate chi potete all’infuori di Allah se siete veritieri” (11:13), “Dì:- Portate una sura simile e chiamate chi potrete all’infuori di Allah se siete veritieri-” (10:38) o “Questa è una sura che abbiamo fatto discendere e decretato” (24:1). La suddivisione del sacro Corano in sure è già prevista nel contenuto stesso del santo Libro. Da ciò se ne deduce che la guida di Allah per l’essere umano è universale e generale ma ogni sura possiede un livello particolare di tale guida che viene suddivisa per volere divino. Ha senso dunque parlare, come abbiamo accennato in precedenza, del significato specifico di ogni basmala presente all’inizio di ogni sura. Per esempio nella sura al-Fatiha si loda Allah, Gli si rende culto e si cerca il Suo ausilio; di conseguenza la basmala racchiusa in essa dovrà essere pronunciata con un’intenzione di assoluta servitù avendo bene in mente i significati successivi che si stanno per recitare.

Vi è una disputa tra gli esegeti riguardo al verbo omesso all’inizio di questa formula. Alcuni ritengono che il verbo omesso sia “inizio” mentre altri dicono sia “cerco ausilio” per poi proseguire “con il nome di Allah il Misericorde il Misericordioso”. Chi sostiene la prima opinione afferma, per esempio, che l’espressione “a Te [solo] noi cerchiamo ausilio” è già inclusa nella sura al-Fatiha e quindi non ci sarebbe stato alcun motivo di ripeterla. Questa tesi però varrebbe soltanto nel caso della sura al-Fatiha, o al massimo per quelle sure in cui viene ricercato l’ausilio divino, e non per le altre. A volte si cita invece una tradizione riportata nello “°Uyun Akhbar ar-Rida” e nel “Ma°ani al-Akhbar” di Shaykh as-Saduq in cui l’Imam ar-Rida, su di lui la pace, ebbe a dire: “Con questa [formula] pongo su me stesso un segno tra i segni di Allah ossia l’adorazione”. Allora gli fu chiesto: “Cosa è il segno?”. Ed egli rispose: “Il marchio”. In queste parole, il “segno” viene interpretato come l’inizio dell’adorazione dunque esente da alcuna ricerca di ausilio. Chi sostiene la seconda opinione, invece, si rifà ad alcune tradizioni come una presente nel “Tafsir al-°Askari” dell’Imam al-°Askari, su di lui la pace, e nel “Kitab at-Tawhid” di Shaykh as-Saduq, in cui si narra che l’Emiro dei Credenti, su di lui la pace, ebbe a dire: “Allah è Colui che viene osannato da ogni creatura quando questa si trova in stato di bisogno e difficoltà. Quando non hai più speranza in nient’altro all’infuori di Lui e non vi è più appiglio ad altri che Lui dì: ‘Con il nome di Allah’ ovvero ‘Cerco l’ausilio di Allah in tutte le cose, Colui che è l’unico degno di essere adorato, il Soccorritore quando si chiede soccorso, Colui che risponde quando viene chiamato’…”. Le parole dell’Emiro dei Credenti, su di lui la pace, sono chiare ed Allah è Colui verso il quale si rifugiano tutte le creature quando svanisce ogni altra ed effimera speranza, e la basmala, in questo caso, rappresenterebbe l’atto del prender rifugio. Onde spiegarci meglio citiamo un’altra tradizione dal “Kitab at-Tawhid” di Shaykh as-Saduq in cui si narra che un uomo disse all’Imam as-Sadiq, su di lui la pace: “O figlio dell’Inviato di Allah! Indicami chi è Allah perché molti polemisti sono giunti a me e mi hanno confuso”. L’Imam rispose: “O Abdullah! Sei mai stato su una barca?”. La persona disse: “Si”. Allora l’Imam continuò dicendo: “Si è mai rotta la barca in un luogo dove non c’era alcuna altra barca per salvarti e dove non avevi possibilità di nuotare con sufficienti forze?”. La persona di nuovo rispose: “Si”. Allora l’Imam continuò dicendo: “In quel momento il tuo cuore non si è volto verso qualcosa, tra tutte le cose, in grado di salvarti da quella tragedia?”. Egli disse: “Si”. Quindi l’Imam as-Sadiq, su di lui la pace, rispose ancora dicendo: “Quella ‘cosa’ era Allah, Che può salvarti dove non vi è alcun altro salvatore e soccorrerti dove non vi è alcun altro soccorritore”. L’Imam spiega che nel momento in cui non si ha più speranza in niente all’infuori di una Fonte, seppur inimmaginabile e non pienamente identificata, in grado di salvarci, si è faccia a faccia con Allah. E potremmo dire che il grido, l’invocazione e la richiesta di aiuto di costui non sia altro che la basmala pronunciata dal proprio cuore anche se ciò non viene detto in termini formali. Si tratta della stessa basmala che dobbiamo cercare di pronunciare quando preghiamo, recitiamo il sacro Corano, supplichiamo Allah e compiamo le nostre azioni, senza riporre alcuna speranza in nessuno all’infuori dell’Unico che possa veramente darci sostegno. In definitiva, se volessimo esprimerci riguardo all’opinione più corretta del verbo omesso all’inizio della basmala, potremmo dire che non vi è differenza sostanziale in quanto l’inizio rappresenta la ricerca di ausilio e la ricerca di ausilio altro non è che l’inizio con il quale ci poniamo nel percorrere la Via. Ciò viene meravigliosamente riassunto nel “Kitab al-Kafi” di Shaykh al-Kulayni, nel “Tafsir al-°Ayyashi” di Shaykh al-°Ayyashi, nel “Kitab at-Tawhid” e nel “Ma°ani al-Akhbar” di Shaykh as-Saduq e nel “Majma° al-Bayan” di Shaykh at-Tabrisi, ove si narra che l’Imam as-Sadiq, su di lui la pace, abbia detto riguardo alle prime lettere della basmala (la ‘ba’, la sin’’ e la ‘mim’): “La ‘ba’ sta per lo splendore di Allah, la ‘sin’ per la radianza di Allah e la ‘mim’ per la maestà di Allah”.

Ma veniamo ora ad analizzare le singole parole incluse nella basmala. Innanzitutto essa inizia mediante l’espressione “con il nome”. Il “nome”, come ogni nome che si rispetti, indica la realtà che da esso viene indicata (musamma). Nella lingua araba il termine “ism” (nome) può essere un derivato di “sima”, che significa “segno oppure “samu” che significa “altura”; in entrambi i casi si tratta di un’etimologia indicante un fenomeno di rilievo e quindi atto a farsi riconoscere. Secondo i linguisti il nome e ciò che viene da esso indicato non sono la stessa cosa in quanto il primo è una forma di indicazione convenzionale del secondo. Secondo gli gnostici (°urafa), comunque, il nome non è un fenomeno meramente astratto e convenzionale bensì avente una realtà vera e propria presente nel mondo attuale, un vero e proprio attributo di ciò che indica poiché ne è una manifestazione dell’essenza. Per esempio il termine “sapiente” indica colui che possiede la qualità della sapienza; secondo i linguisti “sapiente” è un termine convenzionale attraverso il quale si è capaci di comprendere il significato in esso racchiuso ma per gli gnostici si tratta dell’attributo stesso del sapiente e non di un segno che lo indica.

Da quanto detto risulta evidente che abbiamo distinto i nomi in due categorie: i nomi convenzionali (al-asma’ al-lafziyya) e i nomi effettuali (al-asma’ al-°ayniyya). Il nome inteso dai linguisti è un segno convenzionale che ci porta a far intendere il nome così come viene percepito dagli gnostici; in altre parole, il nome dei linguisti è il nome del nome degli gnostici. Questo induce i due gruppi a differire anche nell’interpretazione di alcune tradizioni come quelle in cui i membri dell’Ahl al-Bayt vengono definiti “nomi di Allah”. Per esempio nel “Kitab al-Kafi” di Shaykh al-Kulayni si narra che l’Imam as-Sadiq, su di lui la pace, nel commentare il versetto coranico che afferma ‘ad Allah appartengono i nomi più belli, invocatelo con quelli’ (7:180) abbia detto: “Per Allah! Noi siamo i nomi più belli ed Allah non accetta le azioni dei servi che non li conoscono”. Secondo i linguisti l’espressione “noi siamo i nomi più belli” sarebbe un’indicazione del fatto che i membri dell’Ahl al-Bayt siano la porta, ossia il mezzo di intermediazione, attraverso la quale si accede al regno di Allah. Per lo gnostico, invece, il nome è l’attributo stesso e dunque la tradizione menzionata vorrebbe dire che i membri dell’Ahl al-Bayt sono di fatto la manifestazione del regno di Allah.

Dopodiché, nella basmala vengono menzionati tre nomi divini: Allah, il Misericorde e il Misericordioso. Per quanto concerne il nome “Allah”, esso indica Colui che è degno di essere adorato nonché la meta e il fine dei devoti. E’ dunque assai difficile trovare un termine adatto che renda giustizia al suo significato. Quando una persona adora Allah si sta avvicinando alla sua meta che è Allah. La radice morfologica di “Allah” può risalire sia al verbo “aliha”(adorare) che a “walaha” (confondere). Nel primo caso, la parola “Allah” sarebbe un sostantivo attivo (al-ism al-fa°il) con il significato di sostantivo passivo (al-ism al-maf°ul) come nel caso del termine “kitab” (libro) che letteralmente significa “colui che scrive” ma il cui utilizzo indica il “maktub” ossia “laddove è scritto”. In tal caso “Allah” vorrebbe dire “Colui che viene adorato”. Nel secondo caso, invece, il significato del termine “Allah” avrebbe a che fare con uno stato di confusione e stordimento ed infatti l’intelletto umano, limitato com’è, viene ammaliato ed estasiato quando cerca di comprendere o relazionarsi con l’Assoluto infinito: così come una goccia non può bagnare l’intero oceano, l’essere umano non può penetrare l’essenza di Allah. Ricordiamo, per esempio, quando il profeta Musa, su di lui la pace, chiese ad Allah di farsi vedere, questi non ricevette risposta affermativa ma Allah decise di mostrarSi al monte: “E quando Musa venne al Nostro luogo di convegno e il suo Signore gli ebbe parlato, disse:- O Signor mio, mostraTi a me affinché ti guardi-. Rispose:- No, tu non Mi vedrai ma guarda il monte, se rimane al suo posto tu Mi vedrai-. Non appena il suo Signore si manifestò sul monte esso divenne polvere e Musa cadde folgorato” (7:143). Entrambe le opinioni sono accettabili: il significato del termine “Allah” è “Colui che viene adorato” e quando lo si adora nel senso più profondo si viene rapiti dall’estasi divina.

Qualora poi volessimo chiederci se “Allah” sia un nome proprio o un nome comune, diremmo che si tratta di un nome proprio non applicabile ad alcun altro ente. Il sacro Corano afferma: “Se domandi loro:- Chi ha creato i cieli e la terra?-. Risponderanno:- Allah-” (31:25) e “E consegnano ad Allah una parte di quello che Lui ha prodotto dai campi e dai greggi e dicono:- Questo per Allah- secondo le loro pretese -e questo per i nostri associati-” (6:136). Il credo in Allah era presente anche tra i politeisti: questi Lo consideravano come il Creatore dell’universo ma Gli attribuivano consoci. Comunque sia, anche dai loro detti se ne potrebbe dedurre che il termine “Allah” sia un nome proprio e specifico riferito alla Sua santa essenza. Oltre a ciò, se consideriamo le caratteristiche linguistiche della parola in questione, notiamo che essa non viene mai usata come aggettivo dopo la menzione di un altro dei Suoi nomi. Per esempio non è linguisticamente corretto dire “ar-Rahimu aliha [o walaha])” (il Misericordioso adora [o confonde], “al-°Alimu aliha [o walaha]” (Il Sapiente adora [o confonde]) o “al-Ghafuru aliha [o walaha]” (Il Perdonatore adora [o confonde]). Piuttosto si dice: “Allahu Rahim” (Allah è Misericordioso), “Allahu °Alim” (Allah è Sapiente) e “Allahu Ghafur” (Allah è Perdonatore), e così per tutti gli altri nomi. Dato che questo santo nome non diviene mai aggettivo, se ne deduce che “Allah” sia un nome proprio. Volendo poi analizzare ancora più a fondo la questione potremmo dire che “Allah” è il nome che abbraccia tutti gli altri nomi mentre gli altri nomi non abbracciano “Allah”. Non è dunque sorprendente che nel “Tafsir al-°Ayyashi” di Shaykh al-°Ayyashi si narra che l’Imam ar-Rida, su di lui la pace, ebbe a dire: “[La basmala] è vicina al Nome Supremo di Allah più della vicinanza dell’iride dell’occhio al bianco”.

Nelle opere dei filosofi, notiamo che Allah viene descritto con un altro appellativo ossia quello di “Essere Necessario” (wajib al-wujud). I filosofi dividono l’essere in necessario, che deve e non può non esistere, e contingente o possibile, e che quindi può e non può esistere. Ora, anche “Essere Necessario” altro non è che una descrizione particolare di Allah ma non riesce ad esprimerne la santa essenza.

“Misericorde” (Rahman) e “Misericordioso” (Rahim) sono i due nomi che immediatamente succedono ad “Allah” nella basmala ed entrambi sono manifestazione della misericordia divina la quale abbraccia l’intera creazione essendone, oltretutto, la fonte e la causa. La misericordia divina avvolge tutte le sfere dell’esistenza: i minerali, i vegetali, gli animali, gli umani, i jinn, gli angeli, eccetera. Tutto ciò di cui usufruiamo è una misericordia proveniente dal Misericorde e Misericordioso. Nei riguardi delle espressioni “il Misericorde il Misericordioso” è opportuno fare alcune precisazioni. La provvidenza raggiunge il creato per mezzo della grazia divina, e ciò è quanto definiamo “espressione della misericordia di Allah”. La misericordia talvolta discende come “atto del Misericorde” e talvolta come “atto del Misericordioso” nonostante entrambi questi nomi si riferiscano alla medesima unica ed eterna realtà che è Allah. La misericordia del Misericorde (rahmatur-rahmaniyya) discende su tutti gli esseri ed abbraccia ogni cosa esistente, e ciò include anche tutti quei favori concessi ai miscredenti: “Egli è Colui che ha perfezionato ogni cosa che ha creato” (32:7). La misericordia del Misericordioso (rahmatur-rahimiyya) invece è una misericordia particolare destinata ai credenti sia in questo mondo che in quello futuro ed in genere implica tutte quelle benedizioni che guidano verso la beatitudine celeste e il mondo spirituale o sono frutti della fede: “Egli è misericordioso verso i credenti” (33:43). Nel seguente versetto coranico, invece, viene citata la misericordia divina di entrambi i casi: “La Mia misericordia abbraccia ogni cosa, la riserverò a coloro che si avvedono, pagano la zakat, e a coloro che sono certi dei Nostri segni” (7:156). Come è possibile notare, nella prima parte del versetto si fa menzione di una misericordia generale che abbraccia tutto e tutti, ma nella seconda parte di una misericordia riservata non a chiunque. Nonostante ciò, nel “Tafsir al-°Askari” dell’Imam al-°Askari, su di lui la pace, si evince che, in alcuni casi, la misericordia del Misericordioso può discendere anche sui miscredenti quando afferma: “Egli è Misericordioso con i Suoi servi credenti alleggerendogli il fardello dell’obbedienza e con i Suoi servi miscredenti accompagnandoli e invitandoli a ciò che più gli si confà”. L’invito e il sostegno di Allah all’umanità verso la beatitudine è dunque un atto proveniente dal Misericordioso così come lo è l’allontanamento dei rinnegatori dall’oggetto da questi rinnegato. L’espressione “ciò che più gli si confà” può dunque indicare sia l’ingresso alla fede che alla miscredenza, entrambi i casi presentati come atto di misericordia del Misericordioso (nel primo caso per la delizia raggiunta e nel secondo per il distacco avvenuto dagli uomini di fede): “Allah è Dolce e Misericordioso con gli uomini” (2:143).

In una nobile tradizione riportata nel “Majma° al-Bayan” di Shaykh at-Tabrisi si narra che l’Imam as-Sadiq, su di lui la pace, disse: “Il Misericorde è un nome particolare per un attributo generale e il Misericordioso è un nome generale per un attributo particolare”. Il nome particolare qui indica l’atto divino protratto solo in questo mondo, mentre l’attributo generale che esso viene concesso sia a credenti che miscredenti; il nome particolare invece indica l’atto divino protratto in questo mondo e nell’avvenire mentre l’attributo particolare si riferisce alla misericordia concessa ai soli credenti. Secondo un’altra prospettiva si potrebbe dire anche che “il nome particolare per un attributo generale” sia la profusione divina ontologia (al-ifada al-takwiniyya) inerente l’autorità ontologica concessaci, attraverso la quale possiamo agire – nel disegno divino – secondo le nostre intenzioni: mangiare, bere, dormire, eccetera; mentre “il nome generale per un attributo particolare” sarebbe la profusione divina legislativa (al-ifada at-tashri°iyya) rispettata dai soli credenti osservanti della Legge di Allah.

Poscia, l’atto del Misericorde testimonia la quantità di misericordia che Allah elargisce mentre l’atto del Misericordioso è testimonianza della permanenza della misericordia nell’eternità. Nei confronti della quantità il sacro Corano si esprime dicendo: “Dì- Il Misericorde prolunghi [il tempo per] chi si trova in traviamento-” (19:75). Riguardo alla permanenza invece citiamo nuovamente il seguente versetto: “Egli è Misericordioso verso i credenti” (33:43).

Altro punto degno di considerazione è il fatto che se Allah inizia il Libro Scritturale con “Misericorde e Misericordioso”, ciò significa che Egli inizia anche il Libro Ontologico con le medesime qualità. Allah ha iniziato la creazione come atto di misericordia la quale viene testimoniata nel disegno del creato. Non è un caso che ogni sura del Libro Scritturale, all’infuori di una, inizi menzionando i suddetti attributi: trecentotredici sure la cui origine marca la Sua misericordia e una sura la cui origine marca la Sua ira. La sura at-Bara°a, l’unica infatti a non iniziare con la basmala, si presenta all’inizio come una dichiarazione di guerra contro i politeisti che opprimevamo, perseguitavano e uccidevano i musulmani, ed i primi versetti furono dunque rivelati per intimorire i nemici dell’Islam ed estirpare in loro il senso di sicurezza. A questo punto possiamo dire che se il rapporto tra misericordia e ira divina nel Libro Scritturale è di trecentotredici a uno, così lo sarà nell’intera creazione.

E sia lode ad Allah il più Misericordioso dei misericordiosi.

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Writer : shervin | 0 Comments | Category : Sacro Corano e Tafsir (Esegesi)

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