Da Bisanzio a Sammarra (H.Corbin)

Da Bisanzio a Samarra*

H. Corbin

Il racconto tradizionale che ci riporta le premesse dell’agiografia del XII Imam, inizia con la storia di una giovane principessa cristiana di Bisanzio, presso cui sboccia l’amore di una Isolde, ma di una Isolde chiamata dal suo amore a dare miracolosamente nascita a un Infante divino. Questo tema dell’Infante divino è ben conosciuto in storia delle religioni; per converso i testi sciiti su questo punto sono stati pochissimo studiati. Indicheremo qui l’essenziale.

Il X Imam, ‘Alî Naqî, che diventò Imam all’età di sette anni e morì nel 254 / 868, quando aveva appena una quarantina d’anni, ebbe particolarmente a soffrire dei sospetti e dei fastidi del califfo abbaside. Costui aveva fatto di Samarra, a circa cento chilometri a nord di Baghdad, una città militare[1]. Vi trattenne l’Imam più o meno prigioniero per vent’anni. È lì che nacque, nel 231 / 845, il figlio di lui, l’Imam Hasan, soprannominato per questa ragione Hasan ‘Askarî (aggettivo derivato dal termine ‘askar, armata). È lì ugualmente che nacque, il 15 del mese di Sha’bân dell’anno 255 (3 agosto 868), il figlio di quest’ultimo, il dodicesimo e ultimo Imam. 

Istruito da un dono divino di prescienza, l’Imam ‘Alî Naqî condusse ogni cosa perché suo figlio potesse sposare quella che era destinata a diventare la madre del XII Imam. Qui comincia la ierostoria. Essa mette in opera un sincronismo soprannaturale tra la prescienza dell’Imam e l’esperienza che bisogna proprio chiamare iniziatica, per cui passò, in un susseguirsi di sogni visionari, la giovane fanciulla cristiana, futura madre dell’Imam a venire. Ciò che abbiamo esposto precedentemente, riguardo al Ciclo della profezia e le ricorrenze del pleroma dei Dodici, ci mette in grado di comprendere le possibilità che sono alla portata di un ecumenismo che si situa al livello esoterico. Simultaneamente, la tematizzazione degli eventi esprime la maniera in cui lo sciismo concepisce il suo rapporto con il cristianesimo, ed essa non manca di essere emozionante.

Le narrazioni riguardanti la nascita del XII Imam e la sua breve apparizione sulla terra sono state coordinate e messe in ordine fin dalla prima generazione dei grandi teologi sciiti. Queste narrazioni risalgono a testimoni contemporanei che hanno partecipato agli eventi. Seguiamo principalmente qui la redazione dovuta al grande teologo Ibn Bâbûyeh di Qomm, soprannominato Shaykh Sadûq[2]. Questa stessa redazione non fa che riportare parola per parola il racconto di un familiare e compagno intimo dei due Imam ‘Alî Naqî e Hasan ‘Askarî, nella loro residenza forzata di Samarra; quel testimone si chiamava Bashar ibn Solaymân Nahâs. 

Ecco dunque che un giorno, l’Imam ‘Alî Naqî lo mandò a cercare dal suo servitore Kâfûr. Quando ebbe preso posto davanti all’Imam, questi si rivolse a lui in termini solenni: «O Bashar! tu sei nostro amico. Tu e la tua famiglia avete sempre professato la stessa devozione ai membri della famiglia del Profeta. Voglio farti l’onore di un privilegio tale che ti conferirà un rango d’amicizia senza precedenti tra noi sciiti. Sto per confidarti un segreto ed inviarti in missione per condurre qui una certa fanciulla.»

Dopodiché, l’Imam redige di propria mano una lettera in greco, vi appone il suo sigillo, la mette in una borsa di cuoio rosso con la somma di duecentoventi dinari, e dà a Bashar le istruzioni seguenti. Deve recarsi a Baghdad. Sarà a tale ora sulla riva del fiume, al porto dove accostano le navi che trasportano gli schiavi. Non ci saranno lì, sul lungofiume, come acquirenti eventuali, che degli agenti del califfo abbaside. Bashar dovrà passare tutta la giornata a osservare da lontano gli eventi su una imbarcazione appartenente a un certo ‘Amr ibn Yazîd. A un momento dato, noterà che costui mostra agli acquirenti una fanciulla avente tale e tale caratteristica. Ella porterà un doppio vestito di seta per evitare lo sguardo e il contatto della mano degli uomini. «Tu la sentirai esclamare a voce alta, in lingua greca, da sotto il suo fragile velo. Sappi che ciò che lei dirà, è questo: Maledetto sia l’uomo che scoprirà le mie sopracciglia!» Allora uno degli uomini, commosso dalla castità di quella fanciulla, dirà che ha grande desiderio di acquistarla. Ma lei gli dirà: «Anche se tu possedessi tutta la gloria e la ricchezza di Salomone, figlio di Davide, io non proverei mai amore per te. Stai dunque attento a non sperperare la tua fortuna.» Il padrone dell’imbarcazione, non volendo farle violenza, confesserà il suo estremo imbarazzo; bisogna tuttavia finirla. «Perché questa fretta? gli dirà lei. Bisogna che scelga io stessa colui che mi acquisterà, in modo che il mio cuore trovi la pace nella fiducia e nella fedeltà che avrò verso di lui.»

«In quel momento, o Bashar, avanzati vicino ad ‘Amr ibn Yazîd e digli: Io sono portatore di una lettera in lingua e scrittura greca (rûmîya), redatta da un uomo nobile; essa mostra la sua generosità, la sua lealtà e la sua liberalità. Dai questa lettera alla fanciulla; ch’ella la mediti e che comprenda il carattere di colui che l’ha scritta. Se prova inclinazione per lui e ne è soddisfatta, io sono il suo rappresentante qualificato per trattare in suo nome.»

Tutto si verificò come l’aveva annunciato l’Imam esprimendosi al futuro, e Bashar si conformò a tutte le istruzioni ricevute. Quando la fanciulla ebbe letto la lettera scritta dall’Imam, gettò involontariamente una grande esclamazione e dichiarò al proprietario della nave che se egli rifiutava di cederla all’autore di quella lettera, era pronta a darsi la morte. Ma l’epilogo è conforme al suo desiderio, e a Bashar non rimane che da condurre la fanciulla alla sua residenza a Baghdad, prima di ripartire con lei per Samarra. Egli sottolinea che lei è tutta sorridente e felice, e che frequentemente tira fuori la lettera dal seno per portarla alle labbra, agli occhi, alle sopracciglia. Non può trattenersi dal dirle: «Mi meraviglio del tuo comportamento; tu porti alle labbra una lettera di cui non conosci l’autore!» Ma lei gli risponde: «O uomo debole e di poca fede! Possa la conoscenza del rango spirituale dei Figli del Profeta dissipare i dubbi dal tuo cuore.»

Adesso, stiamo per sentire il racconto meraviglioso. Rimarcheremo, fin dall’inizio, che la genealogia della fanciulla corrisponde bene a ciò che esige inizialmente la ricorrenza continua del pleroma dei Dodici. La fanciulla prosegue infatti: «Sappi che in verità io sono una principessa. Sono la figlia di Yeshû’a, figlio dell’imperatore di Bisanzio. Mia madre è una discendente degli apostoli del Cristo; la sua stirpe risale a Sham’ûn (Simon Pietro), il wasî (erede spirituale, Imam) di Cristo signore. Ti racconterò la mia straordinaria storia. Mio nonno, l’imperatore, voleva farmi sposare suo nipote. Avevo tredici anni. Egli riunì nel suo palazzo un’imponente assemblea. Tra chierici e monaci, trecento persone; dei membri dell’alta nobiltà, settecento persone; di ufficiali e capi dell’esercito nonché della nobiltà rurale, quattromila persone (dunque cinquemila persone in tutto). Nella cinta del palazzo, fece erigere, in cima a quaranta gradini, un trono tempestato di gioielli e di ogni specie di pietre preziose. Fece sedere suo nipote su quel trono, e tutt’intorno venne disposta una grande raccolta di icone (bot-hâ, idoli). I preti cristiani si mantenevano davanti a quel trono con un supremo rispetto. Vennero aperti i Vangeli; ma improvvisamente, ecco che gli idoli crollarono e le colonne del trono volarono in frantumi. Mio cugino fu precipitato a terra con il trono e svenne. Allora i grandi e i notabili furono presi dalla paura; i loro volti erano alterati dal terrore. Il più importante di loro dichiarò: O Re! risparmiaci dall’affrontare questi presagi funesti, perché un simile evento porta in sé l’indizio del declino e della scomparsa della religione cristiana. Mio nonno, profondamente turbato dall’evento, diede i suoi ordini: Rimettete in piedi le colonne del trono. Riunite le icone alla sua sommità. Riportate vicino a me il mio sfortunato nipote, perché io celebri il suo matrimonio con questa fanciulla e questi sinistri presagi si dirigano lontano da noi. Ma al momento in cui per la seconda volta prendeva posto nell’assemblea colui che ne era l’ornamento, la stessa catastrofe si riprodusse. Questa volta la gente spaventata si disperse da tutte le parti. Mio nonno l’imperatore, preoccupato e mesto, rinunciò e si ritirò nei suoi appartamenti privati.» 

A seguire questi impressionanti presagi, comincia una serie di sogni visionari attraverso i quali si compirà l’iniziazione spirituale della giovane principessa bizantina. La prima scena cui il suo racconto ci fa assistere non è comprensibile se non abbiamo presente al pensiero la legge d’omologia che determina la permanenza del pleroma dei Dodici, di periodo in periodo della profezia. Dovunque questo pleroma appare, porta con sé il medesimo segreto della medesima religione iniziatica. Ciò che vi è di significativo nell’evento che questa rappresentazione fa vivere alla coscienza sciita, è che il passaggio dal pleroma dei Dodici del periodo cristiano al pleroma dei Dodici del periodo mohammadiano, si completa ed è sigillato attraverso la mediazione della madre del XII Imam mohammadiano. Attraverso questa mediazione si compie, nella persona della fanciulla bizantina, l’iniziazione del cristianesimo all’Islam, o piuttosto alla gnosi islamica, e questa mediazione è il frutto di un amore mistico e appassionato, sbocciato in sogno. La legge d’omologia, così fondamentale per il pensiero sciita, sarà ancora illustrata dalla presenza simultanea di Fâtima, la madre dei santi Imam, e di Maryam, la madre di Cristo. Qui, nel sogno visionario, Fâtima assume il ruolo che la gnosi sciita estrema le assegna, quando la designa come Fâtima-Fâtir, Fâtima-creatore (al maschile). Lei è in persona l’Iniziazione.

«La notte che seguì quegli avvenimenti, dichiara la fanciulla a Bashar, ecco che nel mondo delle visioni vidi Cristo signore con il gruppo dei suoi apostoli, all’interno del palazzo dell’imperatore, nello stesso posto dove, il giorno prima, era stato eretto il trono; in quello stesso posto essi erigevano una sedia (minbar) tutta di luce. In quel momento, ecco che Mohammad, il suo wasî e il gruppo dei suoi figli gloriosi (cioè i santi Imam) facevano il loro ingresso nel palazzo. Allora Cristo, fattosi avanti nell’andargli incontro, abbracciò il profeta Mohammad. Questi gli disse: O Spirito di Dio (Rûh Allah)! sono venuto per chiederti la principessa, figlia del tuo wasî Sham’ûn (Simon Pietro), per mio figlio. E con un gesto mostrò l’Imam Hasan ‘Askarî. Cristo dopo aver guardato a lungo Sham’ûn, gli disse: Onore insigne e nobiltà sono venuti a te. Stringi dunque questo legame tra la tua famiglia e la famiglia di Mohammad. E Sham’ûn disse: È cosa fatta. Allora, ecco che tutti insieme (Mohammad e i suoi Imam, Cristo e i suoi apostoli) salivano fino in cima i gradini della sedia di luce; e là, Mohammad pronunciò una predica magnifica per celebrare l’unione nuziale di suo figlio e di me, la nostra unione di cui Mohammad e i suoi figli (i santi Imam) e gli apostoli di Cristo furono tutti insieme i testimoni.»

L’immaginazione si compiace qui a ricostruire la scena grandiosa, che si svolge nel tempio di Santa Sofia, a Costantinopoli. Il sentimento sciita che si esprime in questo sogno è il medesimo che ispirò a un grande teosofo ismailita del X secolo, Abû Ya’qûb Sejestânî, di riconoscere nel segno della croce cristiana e nell’enunciato islamico dell’attestazione dell’Unico, lo stesso significato e la stessa struttura. Poiché essi vanno fino in profondità afferrati, solo gli esoteristi sembrano in grado di professare quest’ecumenismo vero. Se si rammemora le condizioni che hanno prevalso nel corso dei secoli della storia esteriore, il ricercatore in scienze religiose vedrà forse in questo sogno un segno così sconvolgente come poté esserlo per Fratello Marcus, nel poema di Goethe citato qui più avanti, la visione dell’emblema sconosciuto: le rose intrecciate alla Croce. 

La giovane principessa bizantina continua così il suo racconto:

«Quando mi risvegliai da quel sogno, ebbi paura; mi guardai dal farne il racconto, temendo che mio padre e mio fratello mi uccidessero. Custodii dunque il mio segreto senza parlarne a nessuno, tanto e così bene che l’amore dell’Imam Hasan ‘Askarî non cessò di crescere nel mio cuore, fino a impedirmi di prendere il minimo nutrimento o bevanda. Dimagrii, caddi malata, e patii grande sofferenza. Non rimase alcun medico nelle città dell’impero che mio padre non avesse consultato sui metodi di guarirmi. Un giorno mio padre, disperato, mi disse: O luce dei miei occhi! C’è nel tuo cuore un desiderio che io possa soddisfare? Io gli dissi: Le porte della gioia sono chiuse di fronte a me. Tuttavia, se liberi i prigionieri musulmani, c’è speranza che Cristo e sua madre mi vengano in aiuto. Quando mio padre ebbe esaudito il mio desiderio, manifestai qualche segno di ripresa e ricominciai ad alimentarmi.

Quattordici notti più tardi, feci un altro sogno. Ecco che la sovrana dell’umanità femminile[3], Fâtima la Splendente, mi fece visita. Maryam, con mille fanciulle degli uri del Paradiso, l’accompagnava. Allora Maryam mi disse: Ecco quella che è la regina delle donne e la madre del tuo sposo, l’Imam Hasan ‘Askarî. Afferrai l’orlo della sua veste e mi misi a singhiozzare. Mi lamentavo che l’Imam Hasan agisse così crudelmente rifiutandomi la sua vista. Ma Sua Signoria (Fâtima) mi disse: Come mio figlio potrebbe venire a vederti, fin tanto che tu fai di Dio più dèi, persistendo nella religione cristiana? Ecco mia sorella Maryam. Lei si è resa libera per Dio, affrancandosi dalla religione che tu professi ancora. Se desideri essere un oggetto di compiacenza nei confronti di Dio, di Maryam e di Cristo, e se desideri vedere l’Imam Hasan ‘Askarî, allora pronuncia: Io attesto che non vi è nessun dio all’infuori di Dio, e che Mohammad è l’Inviato di Dio. Quando ebbi pronunciato questi due detti eccellenti, ecco che Fâtima, la regina delle donne, mi attirò a sé e mi abbracciò strettamente. Lei mi disse: Adesso attendi la visita di mio figlio, presto lo invierò presso di te. 

«Quando mi svegliai, la mia lingua articolava ancora i due detti eccellenti, ed ero nell’attesa di incontrare il mio Imam[4]. Quando la notte fu giunta e di nuovo fui partita per il mondo delle visioni, ecco che il sole della bellezza di Sua Signoria si levò. Gli dissi: O mio amato! dopo che il tuo amore ha fatto del mio cuore il suo schiavo, perché avermi rifiutato fino ad ora la vista della tua bellezza? E lui mi disse: Se ci misi così tanto a venire a raggiungerti, è perché tu facevi di Dio più dèi. Adesso che tu sei diventata una moslima, ogni notte sarò vicino a te, fino al momento in cui Dio ci farà incontrare, te e me, allo scoperto e senza velo, e alla nostra separazione farà succedere la nostra riunione. Allora, da quella notte fino ad ora, non una sola notte passò senza che il mio amato portasse in rimedio alla sofferenza della separazione, la bevanda dell’unione.»

Tale è il segreto di cui Bashar, uomo di fiducia dei santi Imam, diviene qui il confidente. Ha familiarità con le circostanze soprannaturali della vita; non è quelle che mette in dubbio. È una questione del tutto materiale che lo preoccupa: «Come hai fatto, chiede alla fanciulla, a finire tra gli schiavi? – Una certa notte, gli dice lei, l’Imam Hasan ‘Askarî mi aveva informato che mio nonno, l’imperatore, stava per scagliare un esercito in una campagna contro i Musulmani. Egli mi suggerì di travestirmi per non essere riconosciuta, di farmi accompagnare da qualcuna delle mie donne e seguire l’esercito da una certa distanza. Così feci. Presto la sorte volle che un’avanguardia di Musulmani ci incontrò e ci fece prigioniere. E la faccenda ha preso la piega che vedi. Nessuno tranne te sa che io sono la figlia dell’imperatore di Bisanzio. Uno shaykh a cui ero toccata nella spartizione al momento della cattura, mi chiese il mio nome. Spogliandomi del mio vero nome, gli risposi: Mi chiamo Narciso (Narkès).» 

Davanti alla meravigliosa storia di colei che, chiamata soprannaturalmente a diventare la compagna di un Imam, si è esposta per amore puro al destino di schiava, Bashar non può che conservare un silenzio rispettoso. Però un’ultima questione lo preoccupa, del tutto pratica ancora; e di nuovo osa esprimerla: «Tu sei Greca; com’è possibile che tu sappia così bene la lingua araba?» Narciso gli spiega: «Mio padre si preoccupava molto di farmi dare un’alta cultura; mi affidò alle cure di una donna molto esperta in diverse lingue; mattina e sera lei mi diede delle lezioni d’arabo, tanto che finii per essere versatissima in questa lingua.»

Così si conclude quello che potremmo chiamare il prologo al mistero della nascita del XII Imam. Stiamo per entrare adesso nell’azione stessa del mistero. Quando la principessa Narciso (Narkès Khâtûn) viene presentata, a Samarra, all’Imam Alî Naqî, il dialogo seguente s’inizia tra loro. 

L’Imam Alî Naqî: In che modo Dio ti ha fatto conoscere la gloria della religione islamica e la fallacia della religione cristiana, l’eminenza del Profeta e dei membri della famiglia profetica (i santi Imam)?

Narciso: Come descriverti, o figlio dell’Inviato di Dio, qualche cosa che tu sai molto meglio di me? 

L’Imam: Vorrei accoglierti con gli onori dell’ospitalità. Vuoi dirmi ciò che avrebbe la tua preferenza; o che io ti offra adesso una somma di ventimila dinari, oppure che ti annunci una buona novella che si accompagna d’una gloria eterna?

Narciso: È questa buona novella che io desidero. Non so che farmene della fortuna. 

L’Imam: Ebbene! che ti sia annunciata la buona novella: un figlio nascerà da te, il cui regno coprirà l’Oriente e l’Occidente, e che riempirà la terra di pace e di giustizia così com’è oggi piena di violenza e di tirannia.

Narciso: Di quale sposo sarà quel figlio? 

L’Imam: Di colui per il quale tale notte di tale mese di tale anno, il Profeta Mohammad ti ha domandata in sposa. Per unirti con chi, Cristo signore e il suo wasî ti hanno concessa?

Narciso: Per unirmi con tuo figlio, l’Imam Hasan ‘Askarî. 

L’Imam: Lo conosci dunque?

Narciso: Dalla notte in cui tra le mani della sovrana delle donne (Fâtima) ho fatto professione d’Islam, non una notte è trascorsa senza ch’egli si mostrasse a me. 

Allora l’Imam chiamò il suo servitore Kâfûr: Va’ e prega mia sorella, Hakîma Khâtûn (la «saggia», Sophia, o Halîma, secondo una variante, la «clemente»), di venire. Quand’ella fece il suo ingresso, l’Imam le disse: Ecco qui la fanciulla di cui ti avevo parlato. Hakîma abbracciò teneramente Narciso. Poi l’Imam le disse: «Figlia dell’Inviato di Dio! Conduci Narciso con te nella tua dimora. Istruiscila sulle nostre tradizioni, insegnale tutto ciò che deve sapere la donna dell’Imam Hasan ‘Askarî, la madre del Resuscitatore.»

È precisamente alla testimonianza di questa venerabile persona, Hakîma Khâtûn, sorella dell’Imam Alî Naqî e zia del giovane sposo, l’Imam Hasan ‘Askarî, che adesso noi dobbiamo la conoscenza delle circostanze della nascita dell’ultimo Imam e Imam a venire. Lei stessa, secondo la tradizione, ha raccontato questo: «La notte (del giovedì) della mezza Sha’bân (dell’anno 255 e. / 3 agosto 868) mi recai alla dimora del mio augusto nipote, Imam di quel tempo, Hasan ‘Askarî. Quando volli prendere congedo, Sua Signoria mi disse: Zia! resta con noi stanotte, perché stanotte nascerà il nobilissimo infante attraverso cui Dio farà sì che la Terra abbia vita dalla conoscenza, dalla fede e dalla rettitudine spirituale, dopo ch’essa sarà morta a forza di traviamenti e di mostruosità. Io domandai: Mio Signore, da chi questa nascita? – Ma da Narciso! – Allora considerai Narciso, e proprio non vedevo in lei alcun segno che annunciasse che aspettava un figlio. Ero davvero stupita. Sua Signoria l’Imam sorrise e mi disse: Zia! quando verrà il mattino, un segno ne sarà visibile. Sarà come nel caso della madre di Mosé che, fino all’ora della nascita, non presentò alcun segno di una tale attesa, per sfuggire alle misure decretate da Faraone, che faceva perire le donne nella sua situazione 5a.»

Ma non si tratta solamente di sfuggire a Faraone, o al califfo abbaside che lo rappresenta molto bene. O piuttosto sfuggire a Faraone, ciò vuol dire sfuggire a tutte le conseguenze che comporta ogni confusione dell’antropomorfosi divina nella persona dell’Imam con una materializzazione del divino nella carne e nella storia. Tutti i dettagli che la venerabile Hakîma ci riporterà adesso, ci mostrano come l’imamologia sciita riproduca i tratti essenziali e caratteristici di una cristologia gnostica. Poiché si tratta di una teofania, non di una Incarnazione né di una unione ipostatica che opera la fusione di due nature incommensurabili, la visione che la coscienza sciita si dà del suo Imam si presenta sotto tratti che corrispondono a quelli di una cristologia differente dalla cristologia ufficiale; è quella che, dagli gnostici valentiniani a Maestro Valentin Weigel, ebbe considerato come blasfemo considerare altro che una caro Christi spiritualis. Si parlerà di docetismo; ma il docetismo, né presso un Marcione né presso altri abolisce la realtà dell’evento; non ne fa né un mito né un fantasma. Semplicemente, lo percepisce a un piano di realtà spirituale dove materializzazione e secolarizzazione, cioè riduzione al piano delle evidenze empiriche, sono radicalmente impossibili. È perché si situano al di sotto del piano dell’evidenza comune, che i tratti di una tale visione sono altrettanti paradossi. Tali sono precisamente i tratti da cui l’imamologia sciita svela la sua ispirazione gnostica. Ci sarebbero comunque delle comparazioni istruttive da fare. Ci si limiterà qui a riportare dei testi ancora poco valorizzati dalla storia generale delle religioni.

La venerabile Hakîma Khâtûn ci ha riportato per intero ciò che segue[5]: «L’Imam Hasan mi diceva: Noi, gli eredi (awsiyâ) dell’Inviato di Dio, le nostre madri non ci portano nel loro ventre ma nel loro fianco; noi non usciamo dal loro ventre, ma dal loro femore, perché noi siamo le Luci di Dio Altissimo e perché egli ha allontanato da noi ogni sozzura e ogni impurità. 

«Andai dunque accanto a Narciso e m’intrattenni con lei su queste cose. Lei mi disse: O Khâtûn! io non noto in me alcun segno. – Tuttavia decisi di restare là tutta la notte; presi il pasto della sera e dormii vicino a Narciso. Ad ogni ora mi preoccupavo del suo stato; quella notte più delle altre notti, ripetei tutte le preghiere della veglia. Quando arrivai alla preghiera di witr, Narciso si svegliò. Fece le sue abluzioni, recitò la preghiera dell’aurora, e nel mentre che l’osservavo, il mattino ingannevole si era levato. Poco ci volle che il dubbio non si svegliasse nel mio cuore, riguardo al termine nel quale Sua Signoria l’Imam aveva racchiuso la sua promessa. Improvvisamente l’Imam Hasan mi gridò dalla sua camera: Non dubitare, ché l’ora è giunta. In quel momento notai una certa agitazione in Narciso. La presi fra le braccia e recitai su di lei il Nome divino. L’Imam mi gridò: Recita su di lei la sura: L’abbiamo fatto discendere nella Notte del Destino (97 : 1 ss.)[6]. Allora le chiesi che cosa provava. Sembra, mi disse lei, che si manifesti il segno di ciò che il mio signore ha annunciato. Quando ebbi cominciato a recitare la sura “L’abbiamo fatto discendere nella Notte del Destino”, sentii che il bambino nel seno di sua madre la recitava con me e pronunciava un saluto al mio indirizzo. Ebbi paura. Allora, dalla sua camera, l’Imam mi gridò ancora: Non stupirti della potenza divina che ci ha resi atti ad articolare la sua saggezza e ha fatto di noi i suoi Garanti sulla terra. Quando l’Imam ebbe terminato di pronunciare queste parole, ecco che Narciso scomparve ai miei occhi. Ci fu come un velo che s’interpose tra lei e me. Corsi dall’Imam lanciando dei lamenti. Egli mi disse: Zia! ritorna. Ritroverai Narciso al suo posto.

«Quando fui ritornata, il velo era sparito, e Narciso risplendeva di una luce che mi abbagliava gli occhi. E vidi Sua Signoria, Sâhib al-Amr (cioè il XII Imam appena nato soprannaturalmente) che, voltato verso la Qibla, inginocchiato sul tappeto di preghiera, i due indici diretti verso il Cielo, recitava: Attesto che non c’è altro Dio all’infuori di Dio, che mio avo è l’Inviato di Dio e che mio padre, l’Emiro dei Credenti, è la Guida verso Dio (Walî Allah, “l’Amico di Dio”). Poi, uno per uno, enumerò tutti gli altri Imam, fino ad arrivare a se stesso. Allora disse: O mio Dio! Sii fedele alla promessa che hai fatto di assistermi; dài la perfezione alla mia qualità di Imam, fortifica i miei passi e riempi attraverso me la Terra di giustizia. 

«In quel momento l’Imam Hasan mi gridò: Zia! prendi il bambino in braccio e portalo a me. Quando l’ebbi preso in braccio, lo trovai già circonciso, il cordone ombelicale tagliato, perfettamente pulito e puro. Sul suo braccio destro era scritto: “La verità è apparsa, la menzogna è svanita; la menzogna era destinata a scomparire” (17 : 83). Quando ebbi portato questo beato bambino a suo padre, il suo sguardo si fermò su di lui, e pronunciò un saluto. Sua Signoria l’Imam lo prese in braccio, posò le sue labbra benedette sui suoi due occhi, sulla sua bocca, sulle sue due orecchie. Tracciò un segno nel palmo della sua mano sinistra, posò la sua mano purissima sulla testa del bambino dicendogli: Figlio mio! parla, per la potenza divina. Allora Sua Signoria Sâhib al-Zamân (cioè l’Imam bambino, “padrone di questo tempo”) proferì: “Nel nome di Dio il Compassionevole, il Misericordioso! Noi daremo il nostro favore al gruppo di coloro che i tiranni hanno oppressi sulla terra. Noi faremo di essi gli Imam della religione. Noi faremo di essi gli eredi. Noi li rafforzeremo sulla Terra, e Noi mostreremo a Faraone, a Haman e ai loro eserciti ciò che essi temevano” (28 : 4-5). Era un versetto del Libro che si accordava perfettamente con i nostri hadîth riguardanti Sua Signoria e i suoi padri.

«Sua Signoria formulò dunque le benedizioni sul Profeta, l’Emiro dei Credenti e tutti gli Imam fino al suo augusto padre. In quel momento, ecco che uno stormo d’uccelli apparve sulla testa dell’Infante. L’Imam Hasan chiamò uno di quegli uccelli e gli disse: Prendi questo bambino, prenditi molta cura di lui, e portacelo ogni quaranta giorni. L’uccello prese l’Infante e volò nel cielo[7]. L’Imam fece la stessa raccomandazione agli altri uccelli ed essi presero il volo. Poi disse: Ti affido allo stesso a cui sua madre affidò Mosé. Allora Narciso pianse. Ma l’Imam le disse: Rassicurati! Egli non gusterà il latte di altra da te. Presto essi te lo riporteranno, come Mosé fu reso a sua madre. Così come dice il versetto: “Abbiamo restituito Mosé a sua madre, affinché gli occhi di sua madre siano da lui riempiti di luce” (28 : 12). Chi è quell’uccello, domandai, a cui hai affidato l’Infante? L’Imam mi rispose: È lo Spirito Santo, colui a cui sono affidati gli Imam; è lui che trasmette loro l’assistenza divina, li preserva da ogni errore e dona loro come manto l’alta conoscenza. 

«Quaranta giorni più tardi, andai da mio nipote. Una volta entrata, vidi un bambino che passeggiava per la casa. Esclamai: Mio Signore! questo bambino ha due anni! L’Imam sorrise e disse: I figli dei profeti e degli awsiyâ, se sono Imam, effettuano la loro crescita in maniera differente da quella degli altri bambini. Un mese per loro vale quanto un anno per gli altri. Essi parlano quando sono ancora nel seno della loro madre; recitano il Corano e assolvono il loro servizio divino verso il loro Signore. Quando sono ancora nella loro prima infanzia, gli Angeli li istruiscono ogni mattina, e ogni sera discendono a loro.

«Ogni quaranta giorni venivo a vederlo, per tutto il tempo che visse l’Imam Hasan ‘Askarî, fino agli ultimi giorni che precedettero la morte di lui. Ecco che mi capitò d’incontrarlo (l’Infante, il XII Imam) che aveva l’aspetto di un Uomo Perfetto (mardî kâmil)[8]. Non lo riconobbi e dissi a mio nipote: Chi è quell’uomo al cui fianco tu m’inviti a sedermi? – Ma è il figlio di Narciso, mi disse. Egli sarà il mio successore quando, da qui a poco tempo, vi avrò lasciati. Bisognerà che voi accogliate la sua parola e vi conformiate ai suoi ordini. Fu pochi giorni dopo che l’Imam Hasan partì per il mondo santo. E adesso ogni mattina e ogni sera io sono assidua al servizio dell’Imam di questo tempo; egli mi istruisce su ogni questione che gli pongo. Capita che, senza che io abbia neppure formulato la domanda che avevo intenzione di porre, egli mi dà la risposta.» 

Evidentemente queste ultime parole della venerabile Hakîma alludono a certi modi privilegiati di manifestazione dell’Imam nascosto, particolarmente nel periodo del Grande Occultamento. Ma ciò che ci serve considerare innanzitutto, è l’allusione agli ultimi momenti dell’Imam Hasan ‘Askarî, che morì in piena giovinezza, ad appena ventotto anni, nel 260 / 873-74. Il racconto dei suoi ultimi momenti, lo dobbiamo a Isma’îl Nawbakhtî (è il nome di una delle più antiche famiglie sciite iraniane). È un racconto di un’estrema importanza per la coscienza religiosa sciita, perché a fianco alla collezione di hadîth nei quali, nel corso di circa cinque anni, l’Imam Hasan ci viene mostrato come presentante egli stesso l’Infante a un’élite sciita di una quarantina di persone, il racconto degli ultimi momenti dell’ XI Imam porta inoltre la duplice testimonianza dell’esistenza e dell’investitura del XII Imam.

All’approssimarsi della sua dipartita, l’Imam Hasan investì espressamente suo figlio, il piccolo Imam Mohammad, come suo successore. «Isma’îl ibn ‘Alî Nawbakhtî ha riferito questo[9]: Andai a far visita all’Imam Hasan durante la sua ultima malattia, e avevo preso posto accanto a lui. Egli disse a ‘Aqîd, suo servitore: preparami un infuso di lentischio, – intanto la madre di Sâhib al-zamân portava la scodella e la metteva nelle mani di Hasan ‘Askarî. Ma quando tentò di bere, la sua mano tremò così tanto che la scodella gli urtò i denti. Egli la mise di fianco e disse a ‘Aqîd: Vai nella camera vicina e fai venire da me il Bambino che è lì in procinto di pregare. Quando fui entrato nella stanza, disse ‘Aqîd, vidi il Bambino sul suo tappeto di preghiera, i due indici diretti verso il Cielo. Quando l’ebbi salutato, egli abbreviò la sua preghiera e mi disse: Pace su di te. Io gli dissi: Il mio padrone ti chiede di venire da lui. In quel momento, sua madre venne a prenderlo per mano e lo condusse da suo padre. La grazia del bambino risplendeva di luce, con la sua capigliatura riccioluta, il sorriso che gli socchiudeva le labbra. Quando l’Imam morente ebbe fissato su di lui il suo sguardo, pianse e disse: O tu che stai per essere ormai il capo della famiglia del Profeta, dammi tu da bere, perché sto per ritornare presso il mio Protettore. Il bambino prese la scodella d’infuso di lentischio (âb-e mastakî), mosse le labbra per un’invocazione e la diede al suo augusto padre. Quando questi ebbe bevuto, disse: Preparami per la Preghiera. Venne portato un asciugamani. L’Infante diede a suo padre le abluzioni rituali e gli unse la testa e i piedi. E l’Imam morente gli disse: O mio nobile Figlio! tu sei ormai il signore di questo tempo, tu sei il Mahdî, la Guida, tu sei il Garante di Dio su questa terra. Figlio mio, mio wasî, tu sei nato da me, tu sei MHMD ibn Hasan, tu sei il figlio dell’Inviato di Dio. Tu sei il Sigillo, l’ultimo degli Imam Immacolati. L’Inviato di Dio ha annunciato agli uomini la tua venuta. Egli ha menzionato il tuo nome e il tuo patronimico (konya). È la promessa fatta da mio padre e dai miei padri, che è pervenuta fino a me. E con queste parole, l’Imam emigrò per il paradiso.»

Questo è il racconto di Isma’îl Nawbakhtî, che figura adesso in tutti i libri di teologia o di edificazione sciiti. Ed è pochissimo tempo dopo la morte del suo giovane padre, l’Imam Hasan, o addirittura nelle ore che seguirono, che scomparve anche l’Imam bambino. Non esigiamo troppe precisazioni materiali; i libri sciiti sono sobri, e non possono che essere molto sobri su questo punto. Poiché, per essenza, il passaggio allo stato d’occultamento (ghaybat) abolisce le tracce nello spazio fisico del mondo materiale, come cercare in questo le tracce di quel passaggio? In realtà, si tratta di un doppio occultamento o di un occultamento a due gradi. C’è quello che i teologi sciiti designano come l’«Occultamento minore» (ghaybat soghrâ). Esso cominciò l’anno in cui morì l’Imam Hasan (260 / 873-74) per durare fino al 329 / 940-41. E c’è quello che cominciò in questa stessa data, quello che i teologi sciiti designano come l’«Occultamento maggiore» (ghaybat kobrâ) e che dura ancora.

NOTE
[1] Ricordiamo qui l’etimologia della parola Samarra, contrazione di Sarra man ra’a, Felice colui che (la) vede! Quanto alla parola ‘askar, essa designa un’armata, una truppa. Da qui, il soprannome del X e dell’ XI Imam «al-‘Askarî» fa allusione al soggiorno forzato dei due Imam in questa città militare.

[2] Cfr. il volume XIII dell’enciclopedia di Majlisî (interamente consacrato al XII Imam); una traduzione persiana ne è stata data da Moh. Hasan Walî Arûmîyeh, Teheran 1373 / 1953, vd. le pagine 5-13; di Majlisî ugualmente, la sua opera persiana Haqq al-Yaqîn, ed. Teheran 1332 e., pp. 336-382; ’Emâd-Zâdeh Ispahânî, Zendegânî-e Hazrat-e… Mahdî al-Qâ’im, Teheran 1335 / 1956, p. 16 ss., 57 ss. Tutti questi testi sono fondati in ultima istanza sul Kitâb al-ghayba di Shaykh Sadûq Ibn Bâbûyeh. La traduzione persiana data dallo stesso Majlisî è più letteraria di quella del suo traduttore. Ricordiamo che l’anniversario della nascita del XII Imam è una delle più grandi feste dell’anno sciita, segnata in Iran da un giorno festivo. Cfr. il nostro articolo Sul dodicesimo Imam, in «La Table Ronde», febbraio 1957, pp. 7-20.

[3] Su questa designazione di Fâtima come «sovrana dell’umanità femminile» o «al femminile», vedere particolarmente i testi analizzati nella nostra opera Terra celeste… pp. 115-120 (Fâtima e la Terra celeste).

[4] Per una pia inavvertenza, il testo porta qui la konya dell’Imam, «Abû Mohammad» (padre di Mohammad), designazione che egli non poteva in realtà ricevere che dopo la nascita di suo figlio, il XII Imam, Mohammad al-Mahdî.

5a Majlisî, Haqq al-Yaqîn, pp. 358-359; ‘Emâd-Zâdeh Ispahânî, Zendegânî-e Chahârdeh Ma’sûm (Biografie dei Quattordici Immacolati), Teheran 1334, vol. II, p. 597.

[5] Majlisî, Haqq al-Yaqîn, pp. 359 ss.

[6] «L’abbiamo fatto discendere nella Notte del Destino (laylat al-Qadr)… In questa notte, gli Angeli e lo Spirito discendono nel mondo… È una pace che dura fino allo spuntare dell’aurora» (97 : 1-5). L’ermeneutica spirituale dello sciismo duodecimano si rappresenta la «Notte del Destino» nella persona di Fâtima; cfr. Jannât al-Kholûd, ed. Teheran 1378, p. 18, riga 3 dal basso. L’ermeneutica ismailita di questo versetto è in perfetta consonanza: la Notte del Destino è tipizzata nella persona di Fâtima, figlia del Profeta e sorgente della stirpe dei santi Imam; lo spuntare dell’aurora, è l’avvento dell’Infante Perfetto, l’Imam a venire; cfr. già precedentemente qui libro I, p. 282, n. 265, e la nostra Trilogia ismailita, indice s. v.

[7] Si penserà qui a un episodio dell’epopea eroica dell’antico Iran, da cui Sohrawardî ha estratto un senso mistico: l’episodio di Zâl nutrito e allevato da Sîmorgh, l’uccello misterioso omologato altrove alla colomba come emblema dello Spirito Santo. Cfr. precedentemente qui libro II, cap. V, 4. Si rileverà ugualmente la ricorrenza della cifra quaranta in tutte le fasi del racconto di Hakîma Khâtûn.

[8] Il numero quaranta calcola qui evidentemente un valore archetipico in rapporto con l’idea dell’Uomo Perfetto. Quanto alle «metamorfosi delle visioni teofaniche», vedere il nostro studio Epifania divina e nascita spirituale nella gnosi ismailita (Eranos-Jahrbuch XXIII / 1955), pp. 141 ss.

[9] Testimonianza conservata da Shaykh Abû Ja’far Tûsî (Moh. ibn Hasan, 460 / 1067), altra grande figura della teologia sciita a quell’epoca; Majlisî, Haqq al-Yaqîn, pp. 351-352. Sulla persona e il ruolo considerevole di Abû Sahl Isma’îl ibn ‘Alî Nawbakhtî (237-311 e.), cfr. ‘Abbâs Eqbâl, Khândân-e Nawbakhtî, Teheran 1311, pp. 96 ss.

* Tratto dal IV volume dell’opera dello studioso francese intitolata “En Islam iranien”. La traduzione in italiano è stata gentilmente messa a disposizione dell’Associazione Islamica Imam Mahdi (AJ) dal Dott. Fabio Tiddia, che a tale argomento ha dedicato la propria tesi di laurea.

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Writer : shervin | 0 Comments | Category : Mahdaviyyah

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