Salman Rushdie e i suoi legami con il sionismo
La prima edizione originale del blasfemo “Versetti Satanici” dell’apostata Salman Rushdie venne pubblicata nel 1988 dalla “Viking Penguin”. Si tratta di una casa editrice fondata negli Stati Uniti nel 1925 dai sionisti Harold K. Guinzburg e George S. Oppenheim, a cui si unì sin da subito – come editore e vice-presidente – Benjamin W. Huebsch, meglio conosciuto come Ben Huebsch, figlio del rabbino ungherese Adolphus Huebsch.
Fu tuttavia il figlio di Guinzburg, Thomas, a portare la “Viking” alla ribalta, chiudendo l’accordo per il suo assorbimento nel conglomerato “Penguin” e mantenendone la presidenza in modo da poter continuare a dirigerla. Thomas ha fatto affari importanti con il famigerato e losco agente di talenti, il sionista Irving “Swifty” Lazar, catapultando la “Viking” nel cuore della Hollywood sionista. Thomas era a capo della casa editrice nel momento in cui venne pubblicato il romanzo blasfemo di Rushdie. L’amicizia tra i due lanciò Salman Rushdie in un vortice di incarichi e amicizie sioniste nel corso degli anni. Forse il più importante di loro è Philip Roth, un ospite fisso della scena letteraria americana e un vero e proprio pervertito, stando alle due sue biografie. L’ateo Rushdie lo ha definito nientemeno che un “profeta politico”.
In Italia, la prima edizione del libro blasfemo di Rushdie venne pubblicata dalla Arnoldo Mondadori, allora di proprietà del sionista Carlo De Benedetti, mentre poco dopo il presidente del Partito Radicale nostrano, il sionista Bruno Zevi, proponeva la candidatura dell’autore del romanzo al parlamento europeo.
Probabilmente il primo libro scritto a sostegno del sacrilego testo di Rushdie e contro la successiva fatwa dell’Imam Khomeyni porta la firma dello scrittore ultrasionista, nonché ferocemente anti-islamico, Daniel Pipes: “The Rushdie Affair. The Novel, the Ayatollah, and the West” (prima edizione New York: Birch Lane, 1990). Pipes, dal 1980 membro del “Council on Foreign Relations” e che dal 1982 al 2005 ha prestato servizio per ben cinque amministrazioni americane, nel 1994 ha fondato il think-tank filo-israeliano “Middle East Forum”, animato a “promuovere gli interessi americani in Medio Oriente”
Ovviamente lo stesso libro di Pipes ha ricevuto numerose recensioni che lo lodavano ed elogiavano, scritte spesso proprio da autori sionisti: Gordon Stein lo ha descritto come “uno dei migliori” sull’argomento (“Library Journal”, 1 aprile 1990), Sol Schindler ha espresso la “nostra gratitudine per la sua presentazione accademica” (“The Washington Times”, 14 maggio 1990), David Eliott lo ha definito “giudizioso e accuratamente intrecciato” (“The San Diego Union”, 17 giugno 1990), Edward Mortimer ne ha parlato come di “un’analisi estremamente ben scritta e chiara delle questioni sollevate” (“The New York Times”, 22 luglio 1990), Lionel Rolfe come di “un libro affascinante e rivelatore” (“Los Angeles Daily News”, 29 luglio 1990), Samuel Seidner di “un resoconto illuminante (…) un manuale originale per i lettori occidentali…di un ricercatore premuroso” (“The Boston Jewish Times”, 29 novembre 1990), mentre Arnold Ages ha scritto che la comprensione del caso “è diventata più accessibile grazie all’attenta resa di Pipes dell’affare Rushdie” (“Heritage Southwest Jewish Press”, 11 gennaio 1991).
Quanto all’Iran, patria dell’Imam Khomeyni – la nobile e illuminata guida religiosa che emise la celebre condanna a morte dell’apostata Rushdie – il 6 Dicembre del 2002 “The Jewish Chronicle” (pag. 13) ci informava curiosamente: “L’uomo che ha tradotto in persiano i ‘Versi satanici’ di Salman Rushdie – ed è stato minacciato di morte per il suo lavoro – sta cercando asilo in Israele. Il dottor Jamshid Hasni, 57 anni, è sposato con una donna israeliana e si sta convertendo all’Ebraismo. Al quotidiano [israeliano] “Ma’ariv” ha dichiarato che non poteva “tornare in patria perché gli estremisti mi colpiranno. Preferisco vivere in un paese ebraico. Voglio far parte del popolo ebraico”.”
Da parte sua, parlando al “Canadian Jewish News”, nel 2012 Rushdie rivelò quanto desiderasse visitare Israele, vantandosi di come i suoi libri venissero “immediatamente” tradotti in lingua ebraica e di come fosse “sempre stato un sostenitore del diritto all’esistenza di Israele.”
L’autore anglo-americano di origine indiana, che per i suoi scritti diabolici è stato insignito del titolo di “baronetto” da Sua Maestà britannica, nel 1996 ha pubblicato un libro intitolato “The Moor’s Last Sigh” (L’ultimo sospiro del moro), che è essenzialmente una lettera d’amore all’esperienza della Diaspora ebraico-indiana. Testo che naturalmente ha ricevuto dalla critica ‘ufficiale’ delle lodi universali, in gran parte sioniste, come ammesso in una delle poche recensioni negative da Hillel Halkin sul mensile “Commentary”.
Senza dimenticare la continua relazione di Rushdie con l’islamofobo Bill Maher, uno dei sionisti più espliciti e visibili di tutta la Kehilla. Il primo è stato per anni un frequente ospite nel programma “Real Time” di cui il secondo era direttore, mentre Maher raramente ha perso occasione per esaltare le “virtù” dell’autore blasfemo.
Dal 2004 al 2006 Rushdie è stato, tra le altre, presidente dell’istituzione “PEN American Center” e poi, per dieci anni, del “PEN World Voices International Literary Festival”. Ha continuato a mantenere stretti rapporti con questo influente gruppo ‘culturale’ anche quando ne ha ceduto la presidenza alla sionista Suzanne Nossel, che regolarmente parla della sua famiglia di coloni nella Palestina occupata e che in precedenza ha lavorato con organizzazioni, finanziate dal sionista ungherese George Soros, quali “Amnesty International” e “Human Rights Watch”. Questa suprematista sionista, che si considera molto legata a Rushdie, ha anche prestato servizio nei governi di Obama e Clinton. La stessa “Pen American Center” è profumatamente e pubblicamente finanziata da Soros, l’ideatore e sponsor dei ‘cambi di regime’ di molti governi eletti nel mondo.
“PEN America”, controllata per anni da pilastri sionisti liberali come Norman Mailer e Susan Sontag, fino al 2017 ha intrattenuto una collaborazione di lunga data con l’entità usurpatrice israeliana, che si è conclusa, solo in apparenza, a causa dell’immensa pressione degli attivisti filo-palestinesi. Quella simbiosi venne particolarmente accelerata e ampliata sotto la presidenza di Rushdie.
Quale ciliegina sulla torta, il 17 settembre 2006 Rushdie ha ricevuto il premio “[Rabbino] Stephen S. Wise Humanitarian Award” dall’American Jewish Congress, una delle principali lobby sioniste negli Stati Uniti.
In un lungo articolo apparso sul “Journal du dimanche” il 13 agosto scorso, lo scrittore sionista Bernard-Henri Lévy, una vera e propria eminenza grigia che in questi ultimi decenni si è aggirata in tutti i teatri delle aggressioni americano-sioniste ai popoli musulmani (dalla Libia alla Siria, dall’Afghanistan all’Iraq), ha proposto il premio Nobel per la Letteratura di quest’anno proprio al blasfemo autore anglo-americano, con il quale è legato da una trentennale amicizia.
Alla luce di tutto ciò non sorprende quindi che qualche giorno fa, all’indomani del suo accoltellamento negli Stati Uniti, il Primo Ministro del regime israeliano Yair Lapid abbia definito “l’attacco a Salman Rushdie un attacco alle nostre libertà e ai nostri valori”.
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