Un crimine indimenticabile: il massacro saudita di Mecca nel 1987
Nel 1987, durante l’annuale Pellegrinaggio a Mecca, gli agenti del regime saudita uccisero nel primo luogo sacro dell’Islam 409 pellegrini disarmati, il cui unico ‘reato’ era quello di condannare la politica dei nemici dell’Islam, gli Stati Uniti e Israele.
L’idea di massacrare i pellegrini entro il Santuario di Mecca durante i giorni di pellegrinaggio poteva nascere soltanto nella mente dei sionisti e degli agenti della C.I.A. I primi sono infatti profondamente ostili nei confronti dell’Islam e dei suoi valori, mentre i secondi sono insensibili ad ogni sorta di santità, eccetto forse quella degli interessi americani. Entrambi sono poi privi di scrupoli per quanto attiene al compimento dei crimini più atroci.
Ciò non significa che i Sauditi siano stati meno zelanti dei loro alleati poiché, sin dal principio, la storia della loro dinastia manifesta una piena ostilità verso l’Islam autentico e la disponibilità a diffondere e propagare quel genere d’Islam formulato negli uffici coloniali dell’Impero britannico e degli Stati Uniti. Nonostante la loro funzione di agenti dell’imperialismo in seno al mondo islamico, i Sauditi sono vissuti e si sono sviluppati fra i Musulmani. Vi era pertanto da attendersi che conoscessero meglio dei loro padroni i rischi terribili che una simile iniziativa avrebbe comportato. Essi hanno infatti qualche nozione della santità del Santuario e dei mesi sacri, come pure conoscono l’inviolabilità del sangue dei pellegrini agli occhi dei Musulmani.
Nonostante ciò sono stati resi ciechi dal timore e dall’odio; il timore della rinascita dell’Islam e la prospettiva di perdere il loro dominio su una regione strategica ha paralizzato le loro menti al punto che non sono stati in grado di comprendere il carattere suicida del loro odioso crimine. Il messaggio dell’Imâm Khomeini ai Pellegrini ha contribuito in modo determinante a far saltare loro i nervi ed il terrore che esso ha infuso nei loro cuori li ha resi ciechi quanto alle conseguenze dei loro atti.
Il risultato può essere considerato uno dei crimini più orrendi mai perpetrati nella storia dell’umanità: il barbaro massacro degli ospiti del Misericordioso nel luogo sacro e durante il mese sacro. Il luogo, il tempo del massacro e l’identità delle vittime contribuiscono a rendere tale crimine ancor più nefasto. Coloro che dinnanzi a tale atroce misfatto sono rimasti in silenzio gusteranno parte del castigo divino che attende i colpevoli.
Mancavano ancora due giorni all’inizio dei riti del Pellegrinaggio; era venerdì 6 dhû ‘l-hijjah 1407 (31 luglio 1987) e i credenti si era radunato alle 16,30 nel luogo di convegno per la marcia che, sin dal principio della Rivoluzione Islamica, si svolgeva ogni anno con il riluttante consenso delle autorità saudite. Luogo, tempo ed itinerario della marcia erano state concordate fra i responsabili iraniani al Pellegrinaggio e le autorità saudite. Dopo il consueto discorso di apertura del rappresentante dell’Imâm Khomeini nel pellegrinaggio, i partecipanti iniziarono a muoversi lungo il tragitto concordato in modo disciplinato, recitando gli slogan autorizzati dai responsabili del pellegrinaggio come “Morte agli Stati Uniti, all’Unione Sovietica e ad Israele” e “O Musulmani del mondo unitevi”. Come era già accaduto durante gli anni passati i pellegrini iraniani erano stati esortati ad astenersi dal recitare slogan che potessero provocare i Sauditi, persino quelli contro il regime baathista dell’Iraq. Ovviamente i Sauditi non sopportano gli slogan contro gli Stati Uniti ed Israele ma non osano ammetterlo. La marcia aveva il nome di “marcia della dissociazione” o “marcia dell’unità” perché il suo scopo era proclamare la dissociazione degli idolatri e chiamare la Comunità Islamica all’unità. I pellegrini portavano bandiere e striscioni sui quali erano riprodotti questi stessi slogan, nonché immagini dell’Imâm Khomeini, simbolo della Resistenza islamica contro l’idolatria mondiale. Fra essi vi erano decine di migliaia di donne e di feriti di guerra sulle sedie a rotelle, martiri viventi della Rivoluzione. Come durante gli anni passati la marcia era circondata da ambo i lati da alcune file di poliziotti e soldati sauditi.
Alle 18,40 quando la marcia stava raggiungendo il suo punto terminale, cioè via ‘Abdu ‘Llâh ibn al-Zubayr, dove la manifestazione avrebbe dovuto sciogliersi ed i partecipanti avrebbero dovuto raccogliere striscioni e bandiere per prendere parte alla preghiera del tramonto, i poliziotti sauditi avanzarono di alcuni metri appostandosi di fronte alla prima fila di manifestanti, quindi iniziarono ad attaccare i pellegrini a colpi di bastone. D’improvviso l’attacco divampò da ogni lato ed i pellegrini vennero colpiti con spranghe di ferro, mazze e bastoni appuntiti. Nel frattempo, dall’alto degli edifici circostanti poliziotti in borghese iniziarono a scagliare pietre, bottiglie, pezzi di vetro, blocchi di cemento ed acqua bollente. Molti pellegrini rimasero feriti, altri morirono all’istante. I pellegrini terrorizzati si diedero alla fuga nelle strade circostanti, dove venivano braccati dall’esercito saudita. Nel giro di pochi minuti centomila pellegrini si trovarono circondati e vennero attaccati dalla polizia e dall’esercito. Venne aperto il fuoco e mentre la folla cadeva sotto i colpi fu diffuso del gas asfissiante. Tutti i vicoli e i passaggi circostanti erano controllati da poliziotti armati e non vi era pertanto via di scampo. Durante il massacro alcuni pellegrini giordani e palestinesi aprirono le porte degli edifici in cui risiedevano, consentendo ai pellegrini di rifugiarsi all’interno e salvando in tal modo numerose vite.
Il massacro durò per circa un’ora: persero la vita più di quattrocento pellegrini (di cui 324 iraniani) e più di quattromila restarono feriti. La maggioranza dei martiri e dei feriti erano donne e paralitici sulle sedie a rotelle, in quanto nel momento in cui iniziò l’attacco si trovavano in prima linea. Più di cento morirono per colpi di arma da fuoco mentre, a causa dei danni provocati da pietre e blocchi di cemento, dozzine di martiri furono sfigurati al punto da non poter essere identificati.
Sebbene la maggioranza dei partecipanti alla marcia fossero pellegrini iraniani, ve ne erano altresì di differente nazionalità che avevano preso parte alla marcia malgrado il fatto che i Sauditi, per mezzo di altoparlanti, esortassero a non farlo.
Il massacro era stato programmato in anticipo. A differenza di quanto accaduto nelle marce degli anni precedenti le autorità saudite avevano ordinato a tutti i negozi che si trovavano lungo il tragitto della marcia di restare chiusi. Era del pari strano il fatto che gli altoparlanti esortassero i pellegrini di altra nazionalità a non prendere parte alla marcia. Il giorno prima tutti gli ospedali di Mecca avevano ricevuto l’ordine di non accettare alcun ferito iraniano. Per l’occasione pietre e blocchi di cemento erano già stati accumulati sui tetti degli edifici. A differenza degli anni passati i Sauditi non tentarono di disturbare la marcia con le automobili. Del pari la macchina propagandistica saudita era già pronta a diffondere una versione alterata dei fatti subito dopo il massacro.
Ciò nonostante le enormi dimensioni del massacro incepparono la macchina propagandistica. Immediatamente dopo l’inizio del massacro il Ministero degli Interni saudita annunciò che 19 pellegrini iraniani e 6 non iraniani erano restati uccisi in un conflitto fra due fazioni di Musulmani. Ovviamente il tentativo era quello di presentare il massacro come scaturito da un conflitto fra Musulmani sciiti e sunniti. Il comunicato del Ministero affermò inoltre che i decessi erano stati causati dal tumulto e che “non era stato sparato alcun colpo di arma da fuoco”. I Sauditi dichiararono inoltre che la marcia era anti-islamica e illegale e che era stata organizzata senza il permesso delle autorità saudite. Il giorno dopo i mezzi di comunicazione occidentali mostrarono un inatteso interesse per la Legge islamica ed iniziarono persino a discutere di ciò che era lecito o illecito fare durante il pellegrinaggio. Oltre a ciò furono esposte le differenze fra Sciiti e Sunniti in modo del tutto fantastico ed immaginario ed i Musulmani vennero esortati a separare la religione dalla politica e la politica dalla religione. Ovviamente era illogico che i Sauditi ammettessero che la marcia si era svolta col loro consenso mentre al contempo dichiararono che tenere manifestazioni politiche durante il pellegrinaggio era contrario ai precetti dell’Islam. Essi sostennero inoltre che si trattava della prima volta che i pellegrini iraniani tenevano manifestazioni durante i giorni del pellegrinaggio e li accusarono di tenere nascosti sotto l’abito del pellegrino alcuni coltelli, di aver attaccato i poliziotti e di aver dato fuoco ad alcune automobili. Sostennero inoltre che i dimostranti intendevano impadronirsi della Sacra Ka°bah, darle fuoco o trasportarla a Qum, in Iran. Sostennero inoltre che i manifestanti appartenevano ai corpi dei volontari e dei pasdarân e che erano giunti con l’intento di causare disordini durante il pellegrinaggio. Sostennero infine che il conflitto era scoppiato allorquando gli Iraniani avevano decapitato un poliziotto saudita e posto la sua testa in cima ad una picca. Queste furono alcune delle menzogne che la propaganda saudita diffuse subito dopo il 31 luglio.
Quando infine divenne evidente al mondo intero che la polizia saudita aveva aperto il fuoco sui pellegrini essi sostennero che la polizia aveva fatto ricorso alle armi dopo esser stata attaccata dagli Iraniani. Impossibilitati a celare ulteriormente lo scopo del massacro furono in seguito costretti ad ammettere che i morti ammontavano a 409 ed i feriti a 649.
Il giorno dopo molti dei pellegrini di altri paesi che non errano stati presenti al massacro e che si trovavano distanti dal luogo degli avvenimenti lessero la versione saudita dei fatti sui giornali che erano stati stampati in numerose copie ed in differenti lingue e distribuite gratuitamente fra i pellegrini. L’inganno dei Sauditi fu però sventato. I pellegrini giordani e palestinesi avevano visto coi loro occhi quanto era accaduto. Avevano assistito alla scena anche molti pellegrini provenienti dall’Algeria, dall’Egitto, dall’Iraq, dal Bahrain, dall’India, dall’Afghanistan, dall’Inghilterra, dagli Stati Uniti, dal Sud Africa, dal Canada e dal Pakistan. Vi erano testimoni provenienti da ogni paese che erano scioccati dall’atroce crimine commesso e dalle menzogne cui avevano fatto ricorso la stampa ed il governo saudita. Essi avevano visto il vero volto dei governanti sauditi, dei loro padroni e dei loro alleati. Oltre a ciò il popolo dell’Arabia aveva visto l’accaduto e sapeva bene se prestar credito a quanto testimoniato personalmente o alla ricostruzione dei fatti fornita dalla televisione saudita. I morti ed i feriti giacevano al suolo lungo le strade di Mecca e le autorità saudite non fecero nulla per salvare i feriti. La prima ambulanza iraniana che giunse sul posto fu brutalmente attaccata. La polizia saudita attaccò il personale medico ed uccise l’autista. I morti ed i feriti venivano ammucchiati assieme per mezzo dei bulldozer. Un medico iraniano che era rimasto gravemente ferito fu dapprima condotto all’obitorio assieme ai cadaveri, quindi trasferito all’ospedale. Alle autorità iraniane non venne concesso né di entrare all’ospedale, né di identificare i feriti ed i morti.
E’ impossibile immaginare qualcosa di più atroce del crimine commesso a Mecca in quel venerdì dai Sauditi, nonché delle menzogne diffuse sull’onda di un tale massacro. Tale è l’operato di coloro che contrastano Dio e l’Islam e che violano le leggi del Sacro Corano, tale l’odio di coloro che cooperano con Israele e servono il Grande Satana obbedendo ai suoi ordini e mettendo in atto le sue trame, tali sono gli atti compiuti dai nemici della Rivoluzione Islamica dell’Iran, di coloro che contrastano le speranze dei popoli del mondo islamico e delle nazioni oppresse.
Il crimine di Mecca, malgrado il suo carattere mostruoso, consente di rivelare la vera natura degli Stati Uniti e dei suoi vassalli. Subito dopo infatti Hasan del Marocco, Husayn di Giordania, Mubarak d’Egitto ed il sanguinario Saddam inviarono telegrammi a Fahd congratulandosi e manifestando la loro solidarietà ai Sauditi. Tali messaggi consentono di smascherare le forze diaboliche. Il massacro di Mecca rivela inoltre il carattere della stampa mondiale e dei mezzi di comunicazione, fornendo al contempo ai giornalisti indipendenti la possibilità di dar prova della loro integrità morale.
L’eccidio attribuisce una grande responsabilità al Musulmani del mondo, in ispecie ai sapienti ed agli intellettuali, e li chiama ad unirsi per proteggere la sanità dell’Islam. All’interno del Santuario di Mecca e durante il mese sacro non è stato infatti violato soltanto il diritto alla vita di alcune centinaia di uomini e donne, ma è stata violata la santità stessa di Dio Altissimo. Trattasi di uno dei peggiori crimini contro Dio che sia mai stato concepito, ed invero la punizione dei responsabili e dei loro collaboratori non è lontana.
O cosiddetti guardiani dei luoghi santi, con questo atto avete superato voi stessi ed i vostri antenati:
“Invero avete compiuto una cosa tremenda. Per via di essa i cieli si sono oscurati, la terra si è squarciata e le montagne sono quasi crollate.” (Corano 19:89-90)
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