Palestina: il punto sulla situazione
R.Arcadi
Gli eventi verificatisi in questi ultimi mesi nel Vicino Oriente impongono tutta una serie di riflessioni, che sgombrino il campo dalle mistificazioni della disinformazione imperante. Chiediamo innanzitutto scusa se queste nostre considerazioni avranno un’indole più storica e politica, che non religiosa, anche se ciò non è né in contrasto con i tratti generali della nostra rivista, sia pur nella preminenza che in essa viene data agli argomenti d’ordine squisitamente spirituale, né tanto meno con la nostra visione del mondo, in cui la politica è una conseguenza si subalterna, ma pur sempre imprescindibile, dei principi primi d’ordine metafisico.
Quel che dunque appare più sconcertante nelle vicende appena trascorse, è la completa acquiescenza, fatte salve ben poche eccezioni, alle più viete tesi sioniste da parte dei mezzi d’informazione italiani, ed occidentali in genere: a cominciare dal conclamato diritto dell’organizzazione sionista, vale a dire del sedicente “stato d’Israele”, all’esistenza, alla sicurezza, all’autodifesa, tesi che viene propinata apoditticamente, con reiterata insistenza e veemenza, alle menti di un’opinione pubblica ormai resa passiva, e preventivamente disinformata. Lo abbiamo sentito ripetere da tutte le parti, da quasi ogni forza politica, se s’eccettuano alcuni casi sporadici, dai cattolici, alle sinistre, alle destre, sia pur con taluni distinguo inessenziali.
Vale la pena considerare una per una queste posizioni nelle loro linee generali. Omettiamo in primo luogo, ed è a nostro avviso una questione di buon gusto, la posizione delle destre: le loro plateali menzogne, la loro martellante disinformazione, la loro rozzezza peggio che bestiali, la ripetizione acritica e meccanica, delle più sfrontate tesi sioniste, e delle più logore ed abusate sciocchezze propagandistiche a proposito del cosiddetto “terrorismo islamico”, non meritano neppure d’essere prese in considerazione, ma solo d’essere bollate come il parto delle menti ottenebrate d’individui asserviti, prezzolati e, a volte, fanatizzati.
Molto più interessante, e tanto più insidiosa, è a nostro avviso la posizione ufficiale della Chiesa Cattolica; di là dalle generiche e scontate profferte pacifiste, e dei soliti inviti alla comprensione umana, alla solidarietà, ed alla collaborazione, il punto saliente di questa posizione, ribadito platealmente per bocca dello stesso Pontefice, è quello del diritto del sedicente “stato d’Israele” all’esistenza ed alla sicurezza, se non ad una spropositata “autodifesa”. Che cosa significhi, a noi sembra ben chiaro: l’accettazione supina, e la giustificazione acritica dell’esistenza dell’entità sionista implicano l’accettazione e la giustificazione di tutta la sua vicenda storica, sin dalla sua nascita, ed ancor prima, e dei modi con cui la sua nascita e la sua sopravvivenza sono state, e sono tuttora, assicurate.
E’ rimarchevole in ogni caso come i generici appelli al bene non abbiano di per sé nessun senso: quel che ha senso, è invece la realizzazione e concretizzazione di questa nozione astratta, ovvero il suo contenuto, se è vero che nessun uomo può esimersi dal volere il bene, quantunque nella realtà di fatto questo concetto assuma i connotati più disparati e incompatibili. E’ anche in questo modo che si fomenta il relativismo morale. E l’accettazione (in nome del bene, dell’amore e della pace!) del diritto all’esistenza ed alla sicurezza del cosiddetto “stato d’Israele”, non significa altro che il riconoscimento di una situazione di fatto d’ingiustizia, oppressione, violenza ai danni di un intero popolo, di una strage e di un genocidio che durano oramai da quasi 60 anni, ed ancor più, se vogliamo aggiungere al periodo del conformarsi a mo’ di “stato” dell’organizzazione sionista, i 30 anni di colonizzazione britannica, che furono la triste premessa, ed una delle cause principali della sua nascita, ovverosia di quella che i Palestinesi ricordano ogni anno, nel lutto e nel dolore, con un’espressione affatto eloquente, come la “catastrofe”.
S’imporrebbe qui una breve disamina di queste vicende storiche. Ma vale la pena ricordare prima quale sia la posizione delle sinistre. Posizione che è in genere quella del riconoscimento dei due stati, palestinese e sionista, entro i confini anteriori alla vicende belliche della “Guerra dei Sei Giorni” dell’estate del ’67. Ora, tutti sanno che il sedicente “stato d’Israele” non esisteva prima del 1948. Ma molti non sanno, o fingono di non sapere, che prima del 1918, ossia prima dell’occupazione inglese, la presenza ebraica in Palestina (e tanto meno quella sionista) era pressoché inesistente, e che essa venne via via sempre più favorita dalla politica britannica, in tutta la sua criminale doppiezza, con la duplice e contraddittoria promessa di concedere sia ai Palestinesi che ai sionisti uno stato su un medesimo territorio (e non su parti diverse del medesimo territorio!).
L’immigrazione sionista venne in definitiva favorita dal governo coloniale, sia pure con alti e bassi, perché i governanti inglesi non esitarono nel loro cinismo, quando questo si rese necessario per promuovere la propria immagine agli occhi delle masse arabe, per meglio ingannarle, ad affondare le navi cariche d’immigrati che si avvicinavano alla costa della Palestina; così come, per parte loro, i gruppi terroristici sionisti non esitarono a compiere attentati sanguinosi contro le truppe d’occupazione britanniche. Ma in ogni caso, la popolazione non araba che nel ’48 viveva in Palestina, restava pur sempre una minoranza (meno di un terzo del totale), e ci riferiamo qui alla Palestina occupata compresa entro i confini anteriori al 1967.
Quel che avvenne nel 1948, fu una delle più spaventose tragedie di tutti i tempi, e ben si merita la definizione di “catastrofe”: non solo gli Inglesi cedettero le posizioni che andavano abbandonando alle bande terroristiche sioniste (il nucleo del futuro “esercito israeliano”), ma queste si scatenarono, armate fino ai denti con gli armamenti più moderni, sulle inermi popolazioni palestinesi, scacciate da città e villaggi, e sovente sterminate, in un parossismo d’eccessi che hanno ben pochi precedenti nella storia umana; in certi casi, come a Deir Yassin, le bande sioniste si ritennero autorizzate ad applicare certe prescrizioni bibliche riservate alle città idolatre, distruggendo tutti gli esseri viventi, uomini, donne, bambini, animali e piante, di quel territorio! E’ questa la realtà, questo il “popolo”, questo lo “stato” a pro del quale oggi s’invocano da ogni parte il diritto alla pace, alla sicurezza ed all’“autodifesa”! Da allora in poi, ed anche da prima, i sionisti non hanno avuto nessun diritto a nulla di tutto questo: com’è che potrebbe avere diritto a tranquillità e sicurezza un ladro ed assassino, se non dopo aver reso il maltolto, ed avere pagato il suo debito con la giustizia?
Ma essi non hanno neppure il diritto all’esistenza come stato, in quanto organizzazione politica ed entità statuale con precisi connotati razzisti; quel giorno in cui l’entità sionista cambiasse la sua essenza saluteremmo con grande gioia tale miracolosa trasformazione. Ed è appunto questo uno dei punti cruciali della questione. Invero, la propaganda martellante dei mezzi d’informazione occidentali s’accanisce furiosamente contro i fautori dello smantellamento del sedicente “stato d’Israele”, evocando immagini sinistre di campi di sterminio, forni crematori, “olocausti”, e via dicendo. Ma che cosa significa in realtà “distruggere Israele”? Significa innanzitutto disfarne l’apparato statuale, che in realtà non è uno stato, perché nessuno stato può fondarsi sulla violenza pura; il che vuol dire togliergli ogni apparente legittimazione ed ogni potere, disarmare e neutralizzare questa vera e propria consorteria criminale finalizzata al genocidio ed al crimine contro le popolazioni confinanti. E questo disarmo, questa neutralizzazione, potrebbero anche avvenire, ce lo auguriamo di tutto cuore, anche pacificamente: giacché il nodo della questione è di dare avvio ad un processo di decolonizzazione, non certo diretto contro gli Ebrei in quanto tali, perché i discendenti degli Ebrei che vivevano in Palestina prima delle usurpazioni, delle violenze, delle stragi, avranno tutto il diritto di restarvi come legittimi abitatori, assieme ai Palestinesi, musulmani o cristiani che siano, che vi avranno fatto ritorno.
Processo di decolonizzazione simile a quello che avvenne alla fine della guerra d’Algeria, quando i numerosi coloni francesi, che avevano occupato le terre migliori, fecero ritorno in patria. Dipende solo dai sionisti che questo possa avvenire pacificamente, oppure, Iddio non voglia, in seguito ad una guerra sanguinosa. Già oggigiorno, a quanto trapela da fonti d’informazione del Vicino Oriente, molti degli ebrei residenti in Palestina, sentendosi oramai ingannati dai loro capi politici, vorrebbero far ritorno alle loro patrie d’origine, ma ne sono impediti dal regime sionista, e dai governi occidentali, che a questo regime sono infeudati, subendone passivamente tutte le imposizioni.
A questa medesima stregua appare tutta l’inconsistenza della soluzione di “due stati”: è come se un prevaricatore s’impadronisse di un’intera casa, e poi pretendesse di tacitare il legittimo proprietario cedendogli tutt’al più la cantina! I territori occupati dopo il ’67 erano già, e sono tuttora, territori arabi, ed il problema non riguarda certo i territori ancora arabi (nei quali si fa nondimeno di tutto per favorire gli insediamenti sionisti), ma bensì quelli colonizzati dai sionisti, dai quali i Palestinesi erano stati in precedenza espulsi: basti notare che i campi dei loro profughi s’estendono a raggiera attorno alla Palestina occupata, in Siria, Libano, Giordania, Egitto, per non parlare degli altri paesi arabi, e che le stesse Gaza e Cisgiordania son popolate, oltre che dagli abitanti originari, da profughi.
Appare a questa stregua palese come la tanto propagandata tesi del “diritto all’autodifesa” dell’entità sionista, sia un puro e semplice nonsenso, e tutto al più un espediente propagandistico, che nega ai Palestinesi, ed a tutti i paesi confinanti con il sedicente “stato d’Israele”, il diritto, essi sì, all’autodifesa ed alla lotta contro la prevaricazione e l’aggressione. E stando così le cose, si palesa anche tutta la nullità della tanto propalata accusa di “terrorismo islamico”. Parlare di “terrorismo islamico” è un nonsenso puro e semplice, è come parlare, sit venia verbis, di “bestemmia islamica”, o di “ubriachezza islamica”. Il terrorismo nulla ha a che vedere con l’Islam. E noi sfidiamo chicchessia a menzionare un solo caso di terrorismo di cui si siano resi responsabili autentici musulmani, e non i nazionalisti dell’OLP, o gli assassini salafiti al soldo dei servizi segreti occidentali, o che non sia, com’è il caso dell’“11 Settembre”, una sanguinaria messa in scena orchestrata dalla CIA e dal Mossad: i musulmani non hanno a questo riguardo nulla di cui discolparsi!
E se poi si pretendesse, come fanno i politici e giornalisti prezzolati, di ravvisare l’azione terroristica nella lotta dei popoli della Palestina, del Libano, dell’Iraq, per difendersi dalle aggressioni statunitensi e sioniste, e per liberare la propria terra dall’occupazione straniera, ebbene, questo è, più che un nonsenso, un’aberrazione pura e semplice, una vergognosa mistificazione. Si rammenti come l’azione degli Hezbollah miri alla liberazione dei territori libanesi ancora occupati dai sionisti, e dei prigionieri ancora detenuti nelle loro carceri, e che proprio un’azione condotta contro obiettivi militari in questi territori ha scatenato la bestiale e sanguinaria, quanto fallimentare ed inconcludente ritorsione sionista contro i civili libanesi, che hanno peraltro portato il sedicente “stato d’Israele” a subire, a dispetto della sproporzione a suo favore delle forze in campo, la più cocente umiliazione militare della sua storia. E ricordiamo che soltanto dopo oltre 24 ore di reiterate stragi di civili libanesi, gli Hezbollah s’indussero ad esercitare il proprio diritto d’autodifesa e rappresaglia, bombardando gli insediamenti sionisti della Palestina occupata, dato che essi hanno sempre preso le loro iniziative contro obiettivi militari, colpendo obiettivi non militari solo come reazione alle stragi di civili perpetrate dal nemico. E questo sarebbe il “terrorismo” degli Hezbollah! Questi sarebbero i “terroristi” che l’ONU, sentina di tutte le nefandezze contemporanee, vorrebbe disarmare, invece di disarmare la consorteria criminale sionista!
E se ci si venissero a rimproverare, come si fa persino, e soprattutto da parte cattolica, le operazioni di “martirio cercato” nella Palestina occupata, quelle che vengono definite, con un’espressione ingiuriosa e bugiarda, come “attentati suicidi”; ebbene, a quest’accusa replichiamo non soltanto che in Palestina si lotta contro un’intera comunità che ha occupato ed usurpato gli altrui beni e gli altrui diritti, una comunità tutta prevaricatrice, tutta armata, tutta militarizzata, senza distinzioni di sorta, fatte salve poche eccezioni; ma che è proprio dalla Bibbia che ci viene dato forse il primo, e certo uno dei più insigni esempi di “martirio cercato”, allorquando Sansone preferì affrontare una morte certa, pur di potere uccidere quanti più possibile di quei Filistei che avevano invaso le terre dei Figli d’Israele”. Altro che “terrorismo”! Altro che “attentati suicidi”, l’una e l’altra sciocchezza di cui vanno blaterando la disinformazione e la propaganda sionista! Perché non è certo di suicidio che qui si tratta, ma bensì di lotta all’invasore, al prevaricatore, che qui assume le fattezze stesse del Nemico dell’Uomo.
E la stessa parola “terrorismo” ha in sé un che di falso e d’assurdo: si ha l’impressione che ci si scagli contro una vuota parola, per nascondere il proprio vuoto mentale, ed i propri veri scopi. In effetti, il terrorismo è un modo, piuttosto che una realtà obiettiva. E’ certo un modo dei più perversi, ma non è, né può essere un fine. Nessun terrorista, per sanguinario che possa essere, avrà il terrore, di per sé stesso, per fine. Così come ad esempio, nel caso di statunitensi e sionisti, il fine delle loro guerre d’aggressione, delle loro torture, delle loro stragi, dei loro genocidi, non è se non l’egemonia mondiale, la sottomissione, lo sfruttamento, l’abbrutimento di tutti gli altri popoli. E’ perché noi lottiamo contro questo fine malvagio, che condanniamo e ci battiamo anche contro la sanguinaria barbarie dei loro metodi. Ma non si tratta soltanto di una questione lessicale.
Un’espressione siffatta viene usata per ottenebrare, ingannare, e spegnere le menti, per suscitare abusivamente e meccanicamente reazioni emotive, e verranno all’occasione riattizzate tutte le volte che si farà uso di questa medesima parola, nella fattispecie, quando la si applicherà indebitamente alle lotte di liberazione degli oppressi. Giacché, dato che sia il fine delle loro lotte, costoro non potranno essere terroristi se non a costo di rinnegare sé stessi e la propria battaglia, mentre il terrorismo, anzi il terrore, è invece, e non potrebbe non essere, l’arma degli oppressori, che si permettono, in tutta impudenza, di bollare gli altri, quanti li combattono, con questo medesimo epiteto: chi si oppone all’egemonia mondiale statunitense e sionista, è un “terrorista”! E non è da molto che in Italia un giornalista, arabo rinnegato, apostata conclamato, e mercenario collaborazionista ben pagato, ha avuto l’ardire e la sfacciataggine, in un’intervista ad un giornale sionista, di proporre apertamente che il criterio di definizione del “terrorismo” sia l’accettazione o no della prevaricazione sionista, del “diritto all’esistenza” dell’autoproclamatosi “stato d’Israele”.
Inoltre, il cosiddetto “terrorismo” non è in ogni caso se non il primo gradino d’una scala ascendente d’orrori, che procede alla strage, al genocidio, e da ultimo, al crimine contro l’umanità. Se di quando in quando gli sviati manovrati dagli agenti provocatori statunitensi compiono azioni terroristiche e stragi (il più delle volte ai danni di musulmani!), è in continuazione che americani e sionisti hanno compiuto, e vanno compiendo stragi e genocidi; del che è testimone e vittima il mondo intero, in particolare il Sud ed il Centro America, il Vicino Oriente, l’Asia Orientale, e la stessa Europa. Ed il crimine supremo, il crimine contro l’umanità, universale ed unico, a cui costoro mirano, è il loro sogno turpe e perverso di dominazione globale, aberrazione simile a quella che Hitler riuscì a realizzare per poco tempo nella sola Europa, ma che gli europei avevano già attuato su scala maggiore, nelle colonie. E non ci si venga ad accusare di antisemitismo o antiebraismo! Così come i terroristi, in quanto tali, non sono, e non possono essere musulmani, così i sionisti, nella loro folle empietà, non sono per nulla ebrei, ed è anzi da sottolineare che è proprio dall’interno del mondo ebraico, da parte degli Ebrei ortodossi e tradizionalisti, che vengono contro il sionismo accuse tra le più coraggiose, pertinenti, e severe. Ed è questa, a nostro avviso, la chiave della lotta al sionismo, ed a tutte le sue metastasi: un’alleanza tra i principali monoteismi, tra un Ebraismo che non abbia tradito sé stesso, rifiutando la tentazione sionista, un Cristianesimo non più ridotto a vuote tautologie sulle più viete tesi propagandistiche sul cosiddetto “terrorismo islamico”, e sul diritto all’esistenza ed alla sicurezza del sedicente “stato d’Israele”; ed un Islam che, liberatosi da viltà e distorsioni, sappia ricominciare a percorrere, in tutta convinzione, sincerità, fortezza, e perseveranza, la Via d’Iddio.
“O Genti del libro, orsù, venite ad una parola eguale tra noi e voi, che non adoreremo se non Iddio, e che nulla Gli assoceremo, e che non ci prenderemo gli uni gli altri per signori all’infuori d’Iddio” (Sacro Corano; III, 64).
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