L’Albero Insano. Alcune considerazioni sulla modernità occidentale alla luce dell’Islam (R.Arcadi)

L’Albero Insano

Alcune considerazioni sulla modernità occidentale alla luce dell’Islam

R.Arcadi

Carattere precipuo della sottomissione a Dio preconizzata dall’Islam è di riguardare l’individuo umano nella totalità della sua concreta compagine esistenziale, il che ne fa una religione, o meglio, la religione completa. Quando parliamo di completezza, non ci riferiamo soltanto all’uomo nella totalità dei suoi stati o livelli di perfezione attuali o virtuali che essi siano, che definiscono le stazioni del suo pellegrinaggio spirituale, della sua ascesa alla prossimità e all’intimità divina. Quando parliamo dell’uomo e della sua completezza, non possiamo prescindere dalla sua funzione vicaria universale, indicata a chiare lettere dal Sacro Corano, che ne fa il centro del cosmo non soltanto materiale, il centro dell’universo creato, siano ai gradi più alti delle pure intelligenze spirituali.

Questa centralità dell’uomo, questa sua funzione, se non altro virtuale, di Khalifa dell’Altissimo, fa del suo Islam, della sua ‘ibada, della sua servitù e povertà spirituale, della sua sottomissione e del suo abbandono alla Volontà dell’Onnipotente, una religione, una legge che riguarda l’intera natura creata, e non certo un suo singolo elemento o aspetto: l’Islam è pertanto a questa stregua la religione dell’uomo e del cosmo, legge primordiale rivelata con la stessa creazione, e sempre attuale, sempre attuatesi nella successione degli anelli dell’aurea catena della Profezia, sino all’esternazione della sua completezza finale, riassuntiva e definitiva, che è quella del messaggio muhammadico e della sua Wilaya, della sua successione ed eredità spirituale, del suo imamato.

Possiamo trarre da queste considerazioni preliminari, ampiamente corroborate dalle fonti scritturali e tradizionali, dal Sacro Corano e dagli hadith del Profeta (S) e della sua Famiglia (as), possiamo trarre da queste premesse una conclusione a nostro avviso inoppugnabile: l’Islam, in quanto religione della totalità, della compiutezza e della perfezione dell’uomo e del cosmo, non può non riguardare la natura umana in tutti i suoi aspetti, in tutti i suoi elementi costitutivi, ed in tutti i suoi stati, atti e relazioni. Intendiamo con ciò dire, e ci si perdoni l’apparente tautologia, che concernendo l’essere umano nella sua completezza, non può per ciò stesso riferirsi ad una insussistenza ed immaginaria essenzialità quidditativa, che prescinda da pretesi aspetti accessori ed accidentali, quali che siano; ma deve invece concernere la sua realtà esistenziale concreta, la sua sussistenza, e non la sua presunta idealità astratta, quali che ne siano le determinazioni effettuali.

E’ questa, quanto una tale condizione venga attuata compiutamente, la stazione suprema della ‘ibada e della povertà spirituale, della servitù muhammadica, dell’estinzione nella Volontà, nella Sapienza e nell’Essenza Divina, che fa di Muhammad (S) il Glorificato, l’Inviato, il Rasul, ovvero il latore della Rivelazione, e cioè il prototipo stesso del cosmo creato, modello esemplare dell’uomo, così come l’uomo è modello esemplare del mondo, e pertanto completezza e perfezione del cosmo creato, in quanto completezza e perfezione dell’uomo, nella sua attualità e concretezza esistenziale sussistente ab aeterno nell’Intimità Divina.

E pertanto l’Islam, che è la realtà stessa del Profeta (S) di Dio Altissimo e dei suoi degni eredi e legittimi successori, ovvero della costellazione delle luci dei 14 Puri (as) scevri da macchia e da errore, concerne la completezza, e cioè la concretezza esistenziale dell’uomo, a prescindere da ogni differenziazione e separazione di aspetti quidditativi ed accidentali, senza che ciò abbia il senso deviante di un esteriorismo meramente empirico e superficiale, e senza ridursi ad un vago e confuso interiorismo incapacitante, che disconoscendo l’uno l’interiorità, l’altro l’esteriorità, per ciò stesso rifiutino entrambi di fatto la realtà effettuale dell’uomo e della sua ascesa a Dio.

Tutto invero nel Santo Profeta (S), e negli Imam benedetti (as) della sua dimora, è completezza di sottomissione all’Altissimo, è modello esemplare, è perfezione ontologica dalla quale non ci si può allontanare, rifiutandola, se non discendendo i gradini della scala dell’esistenza in direzione del regno delle tenebre. Giacché in effetti l’Islam non è per nulla una legge astratta, o per lo meno, è tale soltanto da un punto di vista formale, della sua morfologia esteriore, o meglio, quando se ne voglia astrarre uno dei gradi esistenziali, riguardando la sua essenza integrale, o piuttosto, il culmine della sua concretezza esistenziale, la realtà stessa dell’Uomo Universale e Perfetto, il limite e il vertice della luce muhammadica, con la quale, al di là delle apparenze, si identifica.

Il Sacro Corano non potrebbe essere più esplicito a questo riguardo: guida dei timorati di Dio, dei Suoi servi diletti, che si guardano dalla Sua collera, ovvero da ogni deviazione da quello stato di grazia e perfezione, di prossimità, intimità ed estinzione, nel quale sono preservati ab aeterno; e guida per tutti coloro che si adoperino per conformarsi ad un modello siffatto. La guida non può che riguardare i pii, i timorati, e costoro non possono esser tali se non in ogni loro elemento, atto, stato e relazione.

Ed in effetti al Profeta (S) è dovuta, subito dopo Iddio Altissimo, obbedienza completa, assoluta sottomissione, che non ammette eccezioni. Nessun aspetto sia pur minimo sfugge a questa regola universale: l’Islam è pertanto la religione dell’Intimità Divina, nel senso dell’universale perfezione umana, la religione dell’uomo in ogni sfaccettatura della sua realtà effettuale, dello spirituale come del corporale, dell’individuale come del collettivo; esso regola la sua ascesa alla Prossimità dell’Altissimo in ogni sia pur minimo particolare, e non potrebbe essere altrimenti. Nulla può invero sfuggire alla giurisdizione di Dio e del Suo Inviato (S), ed a quella dei suoi legittimi successori, dei Suoi Awliya, agli Imam benedetti della dimora profetica (as).

Ora, date queste premesse generali, è sotto questo medesimo riguardo della sua completezza, che si pone un problema di non poco momento, che ha invero sempre riguardato l’Islam, ma che oggigiorno più che mai lo concerne e lo coinvolge con aspetti e circostanze a dir poco drammatiche: si tratta del suo confronto con i mondi ad esso esterni, se non addirittura estranei, elemento ineludibile della realtà effettuale, e quindi condizione imprescindibile della compiutezza dell’uomo muhammadico. Ed invero, sin dai tempi dell’idolatria meccana l’Islam si è dovuto confrontare, ed ha dovuto combattere e rifiutare, ed ha potuto talvolta accettare, o piuttosto riconoscere la validità di talune loro componenti, in relazione a tutto un insieme di condizioni e di elementi di fatto che definivano realtà date, concretamente esistenti. Ma un carattere generale contraddistingueva le società antiche: memori, anche nei casi peggiori, di quella rivelazione primordiale ravvivata presso tutte le genti dal messaggio profetico, come ci insegna il Sacro Corano, la loro era in definitiva una natura composita, un misto eterogeneo di pietà e di empietà, di verità e di menzogna, in una serie di successive alterazioni, menomazioni e concrezioni, dalle quali era possibile isolare il messaggio originario, l’originale contenuto di verità.

L’Islam, per parte sua, per la sua stessa natura esaustiva e sintetica di Sigillo della Rivelazione, non è mai stato estraneo a nessun contenuto di verità, che è sempre stato pronto a riconoscere e ad accettare sin nelle realtà da esso apparentemente più remote, ferma restando la sua qualifica di sintesi suprema e definitiva. E’ a questo riguardo che appunto si poneva, ed oggigiorno più che mai si pone, un problema cruciale: visto che la concretezza esistenziale della persona umana è in definitiva anche da porsi in relazione a realtà siffatte, che vengono talvolta assunte come condizioni contestuali oggettive e contenuti del suo agire, si tratta, in ragione appunto della concretezza e completezza dell’Islam, di prendere una decisione per quel che le riguarda, di assumere un atteggiamento nei loro confronti, si tratta di prendere partito, sulla base di un assunto del tutto generale, corollario di quello della completezza dell’uomo muhammadico: non si dà alcunché di indifferente nella concreta compagine dell’esistenza umana, da un punto di vista puramente ontologico; la nozione di indifferenza degli atti, degli stati e dei loro contenuti è affatto relativa e convenzionale, in rapporto a differenze minime di contenuto d’essere, ed alle limitate facoltà ed alla difficoltà di discernimento degli uomini ordinari. Tutto questo in linea di principio.

Ora, occorre tenere conto del fatto che le indicazioni esplicite della Rivelazione, della legge, non potranno essere che generali, procedendo da una sostanza sintetica il cui dettaglio non è noto ai più, e non concernendo per ciò stesso il singolo individuo umano ed ogni suo caso particolare. Ma invero, il singolo contenuto d’essere di per sé non può che dar luogo alla piena identità degli indistinguibili, e la distinzione degli enti si basa inevitabilmente su di un contenuto d’essere maggiore o minore, se ci è consentito avvalerci di una similitudine tratta dal dominio della quantità; e questo contenuto, questo “quanto” d’essere, secondo i gradi del più e del meno, ad altro non si ricondurrà se non ad uno dei gradi dell’effusione della Santa Essenza, gradi di discesa della Sua creazione, e stazioni dell’ascesa del pellegrino spirituale nel suo viaggio verso la Prossimità e l’Intimità Divina, che percorre a ritroso le stesse tappe della Sua effusione.

E c’è da osservare a questo proposito, che non si tratta sovente di un più o di un meno in un medesimo verso, ovverosia di una funzione, o occasionale o efficiente ex opere operato, in ogni caso ascendente, ma piuttosto di un’efficacia o ascendente o discendente, ferma restando la virtù o efficiente o occasionale di ogni realtà creata. Fatto sta che da un certo punto d’effusione in poi, la lontananza da Dio si fa discesa irrimediabile, e quantunque ciascuna delle nature create sia specchio dell’identità stessa della Sua luce, ed abbia pertanto una sua virtù percettiva, ciò non toglie che, almeno per l’individuo ordinario, il legame ascendente sia allora sopravanzato da quello discendente, al cui esaurirsi soltanto potrà aversi quella manifestazione della Presenza Divina, della Sua Santa Collera, che conclude, Iddio non voglia, un viaggio all’indietro senza ritorno; fermo restando che per chi goda delle stazioni della Sua Prossimità e Intimità, ogni realtà è specchio dell’effusione della Sua Santa Essenza, a prescindere dalla funzione normativa dei suoi atti esteriori.

Ora, si impongono a questo medesimo riguardo due ordini di considerazioni distinte e complementari: in primo luogo, l’orientamento di ciascun singolo atto e realtà umana, nella sua funzione ascendente o discendente, non potrà che essere prerogativa di una conoscenza imamica depositaria dell’eminenza della sintesi e del dettaglio, ossia di colui la cui Wilaya gli conferisca lo stato d’estinzione nella Santa Essenza e la visione degli archetipi increati, ovvero la completa servitù e povertà spirituale, e la compiuta perfezione dell’Uomo Universale. A costui appartengono l’ascesa e la discesa dell’effusione divina, e nessuna indifferenza ontologica, sia pure di minimi dettagli, lo potrà riguardare: egli sarà in grado di iniziarci ai misteri dell’ineffabile, indicandocene la via in ogni suo più minuto particolare, così come sarà a conoscenza d’ogni relazione occulta celata nelle forme esteriori, che proceda dagli archetipi delle potenze sopracosmiche, delle energie increate dei Nomi Divini.

Tutto questo da un punto di vista affatto universale. Egli sarà pertanto nella fattispecie ed in ultima istanza colui che potrà emettere un verdetto indiscutibile per quel che concerne il problema particolare che avevamo introdotto poc’anzi, e cioè la relazione che viene inevitabilmente a stabilirsi tra l’universo islamico e gli altri mondi umani con le altre civiltà, culture, religioni, in quanto circostanze e condizioni ineludibili della realtà effettuale del credente, della completezza dell’uomo muhammadico. Anche sotto questo riguardo, seppure da un punto di vista non solo individuale, ma anche collettivo, dato che collettivo è l’impatto di siffatte realtà, si pone il medesimo problema che si poneva per i singoli atti e stati dell’individuo umano: qual è il loro risultato? Quale il loro impatto sul singolo e sulla comunità dei credenti nel suo complesso? Che cosa dovremo accettare o rifiutare di queste effettualità esteriori?

Ma dall’altro canto, in secondo luogo, sarà necessario introdurre una distinzione tra lo stato di visibilità e quello di occultamento del 12° Imam (aj), successore del Profeta (S). Nello stato di visibilità dell’Imam (aj), come si è appena detto, il problema è presto risolto in ogni suo aspetto: guida della comunità dei credenti e dell’umanità intera, interprete della lettera della Rivelazione, depositario dei suoi sensi esoterici, la presenza dell’Imam (aj), in virtù della sua funzione, che promana dalla sua stazione spirituale, dalla sua Wilaya, sarà garanzia certa ed imprescindibile della retta soluzione di questa, come di ogni altra questione. Ma nello stato d’occultamento?

Nello stato di occultamento sarà a nostro avviso necessario distinguere tra le questioni giurisprudenziali, suscettibili di una risoluzione da parte del fiqh, che dà una risposta necessaria, se non altro generale, ai bisogni degli individui e della comunità fermo restando che questi verdetti non coinvolgono i casi singoli; ed i casi singoli sussulti sotto una regola generale, nel senso che non sarà possibile, dal punto di vista di regole siffatte, decidere sull’alternativa di eventualità apparentemente indifferenti, la cui differenza è d’altra parte il più delle volte d’ordine eminentemente esoterico, riguardando la via della perfezione, della Prossimità Divina, via il cui accesso può essere garantito soltanto grazie alla manifestazione dell’Imam ai suoi eletti, eccezione quest’ultima provvidenziale ed a suo modo necessaria allo stato di occultamento, che riguarda invece la maggior parte dei credenti.

Fatto sta che in linea di principio, per gli atti e le realtà individue della concreta compagine esistenziale umana, questo stato di occultamento non ha conseguenze deleterie, nel senso che i verdetti della giurisprudenza saranno pur sempre sufficienti a garantire ai credenti di non sprofondare nell’abisso; ma avranno invece un’efficacia necessaria, e non certo sufficiente, per le stazioni della Prossimità Divina, nel senso che saranno condizione sì imprescindibile, ma niente affatto sufficiente a sospingere il pellegrino spirituale sulla via che conduce alle mete supreme.

Ora, è sotto gli occhi di tutti noi l’effetto a dir poco devastante che certe realtà effettuali contemporanee esercitano sulla comunità e sui singoli credenti. Il riferimento d’obbligo è alla modernità, nel senso dell’insieme di realtà in cui si incarna il modernismo occidentale, in tutte le molteplici sfaccettature della sua variegata realtà concreta. Si tratta di una pressione inevitabile oggigiorno, che tende sempre più ad entrare a far parte a pieno titolo delle condizioni generali oggettive del nostro livello d’esistenza, con effetti a dir poco perniciosi, che non danno apparentemente scampo. Ci siano consentite, a questo punto, alcune considerazioni generali e preliminari chiarificatrici sul carattere di detta modernità.

Si era già detto poc’anzi dell’indole distintiva riscontrabile in genere nelle deviazioni antiche, di giustapposizione di elementi disparati, non concordi, a definire la natura di mondi umani in cui sopravvivevano, con autonomia pur sempre autorevole e posizione tutt’altro che marginale, elementi della Rivelazione Profetica. Invece tutt’al contrario il mondo moderno, nell’accezione suddetta, presenta un carattere del tutto differente, che garantisce all’empietà ed alla miscredenza una posizione centrale e dominante, ed alle realtà ad essa eterogenee una funzione sussidiaria, o tutt’al più affatto marginale ed ininfluente. Fatto sta che all’origine della modernità occidentale sono da ravvisarsi una radice ed un seme putridi, corrotti, che oggigiorno tendono ad insinuare i nodi delle loro metastasi cancerose ed a propagare la loro lebbra dissolutrice al mondo intero, in profondità ed estensione. Il seme immondo ha generato un albero insano in tutte le sue ramificazioni ed in tutti i suoi frutti, e non poteva essere altrimenti.

Ma all’origine di questo stesso seme vi è un suolo, vi sono alcune condizioni che hanno avuto la massima influenza, pur non essendo state vincolanti. Una è il carattere peculiare al Cristianesimo di non avere Shari’a, di non avere una legge, nel senso di una giurisprudenza rivelata, ma soltanto una morale, alquanto vaga, spesso confusa, nel migliore dei casi priva di un diretto impatto politico e sociale, quando non sia destinata a sostituire alla Legge Rivelata un ipocrita conformismo sociale a fini prettamente utilitaristici. Questo in stretta connessione col secondo elemento, con la dottrina paolina della giustificazione per fede nella persona dell’uomo-Dio, che finirà con l’abrogare la legge mosaica, per sostituirla in seguito con la giurisprudenza del mondo greco-romano, o col confonderla e surrogarla, come si è appena detto, con la pseudomorale ipocrita degli esiti estremi del protestantesimo calvinista, che sarà all’origine, per il tramite del puritanesimo anglosassone, dell’immane e mostruosa compagine politico-sociale del Grande Satana americano.

Occorre essere molto prudenti a questo riguardo: al di là di certe somiglianze meramente esteriori, nulla vi è di più dissimile dalle società islamiche, anche le più corrotte e deviate, degli ordinamenti della Ginevra di Calvino e dei puritani della Nuova Inghilterra. Le dottrine della giustificazione per fede e della predestinazione, dirette conseguenze di quelle della redenzione, della trinità, e dell’uomo-Dio, non lasciano in questo caso estremo alcuno spazio (non parliamo qui degli aggiustamenti parziali che poterono aversi nel Cattolicesimo e nell’Ortodossia) ad un ordine rivelato che si imponga dall’alto, dal dominio della trascendenza: ogni uomo è salvo o dannato ab aeterno, indipendentemente dal suo libero arbitrio, e ciò lo separa completamente, in mancanza di articolazioni e mediazioni ontologiche e sapienziali, dall’ordine divino.

Ma in questa medesima situazione egli si arroga abusivamente il diritto di ritenersi giustificato e ricolmo della grazia divina, e si arroga perciò stesso la prerogativa di una interpretazione “libera” ed individuale delle sacre scritture, indipendentemente da ogni sua qualificazione (il cosiddetto “libero esame”). E’ evidente come in una situazione siffatta nella quale vengono del tutto recise le vie di ascesa alla Prossimità Divina, a procedere dai livelli più immediati della legge rivelata (dato che l’uomo è considerato del tutto corrotto dal peccato originale, e grazia divina altro non farebbe che coprire questa sua corruzione, senza rigenerarlo), le pulsioni umane verranno lasciate a sé stesse, e di per sé stesse, per il loro fine esse tenteranno, se non altro in un primo tempo, di organizzarsi. In una situazione siffatta solo il mondo corporeo e quello delle pulsioni psichiche, tutt’al più con le sue propaggini razionali, avranno importanza, ed avrà in esso rilievo solo ciò che è all’origine di tutto il resto, ovvero, nella prospettiva dell’attaccamento alle cose sensibili ed al loro godimento, ed alle relative pulsioni emozionali, ciò che è all’origine di ogni possesso, di ogni potere, di ogni soddisfazione emotiva e sentimentale: la ricchezza materiale e la sua quintessenza, il denaro.

A tal fine si giungerà a far uso della Bibbia, e della dottrina della giustificazione per fede, della predestinazione, della salvezza gratuita, affermando che, in mancanza di ogni altra certezza, la ricchezza materiale è l’unico segno evidente e criterio sicuro dell’elezione divina; e sulla base di questo medesimo assunto, nella prospettiva del conseguimento di un fine siffatto, si verrà a costruire tutto un ordinamento perverso, tutto un insieme di regole sociopolitiche, tutta una pseudomorale ipocrita, atte a garantire gli averi, i danari, i guadagni, il potere di una ristretta oligarchia sociale; perché una simile visione del mondo la si attua, non dimentichiamolo, a scapito di ogni giustizia, e nella fattispecie, a scapito di ogni giustizia sociale. E quale altra funzione avrebbero potuto avere tutto il rigore e tutta la pseudomorale ipocrita di Calvino, se non quella di garantire i lauti guadagni dei banchieri, cioè degli usurai ginevrini? Giacché qui è appunto l’usura che viene ad affermarsi come norma suprema del vivere civile, in spregio all’ordine divino. Ed il moralismo puritano dell’Inghilterra vittoriana non è forse in diretta connessione con tutto l’armamentario di atrocità della Compagnia delle Indie, del “libero” commercio dell’oppio, della tratta degli schiavi, con lo sfruttamento coloniale in tutta la sua brutalità, con le nefandezze della rivoluzione industriale? Per non parlare degli orrori della sanguinaria espansione del nuovo, sedicente “popolo eletto”, dei discendenti dei Padri pellegrini della Nuova Inghilterra nel continente nordamericano prima, e nel resto del mondo poi.

In effetti, l’uomo che si è convinto in tal guisa di essere stato eletto da Dio, non vorrà riconoscere alcuna dignità agli altri esseri umani: sviluppando sino in fondo, sino all’assurdo, le linee di pensiero più deteriori dell’agostinismo e del paolinismo, al di fuori di questo fideismo assoluto, che garantisce per ciò stesso all’uomo più abietto, corrotto e lontano da Dio, le stazioni spirituali più elevate, e nel conseguente completo disprezzo di ogni autentico elemento salvifico della Tradizione Rivelata; al di fuori della ristretta cerchia degli zelatori della giustificazione gratuita, e non per merito, autoproclamatisi “eletti da Dio”, al di là della loro predestinazione, altro non resteranno che peccatori senza speranza di redenzione, condannati a fare da esca al fuoco infernale, esseri inferiori da distruggere, o da soggiogare, o da assimilare, ma pur sempre in posizione subalterna, ridotti che siano all’impotenza.

Ed è a questo punto che possiamo rilevare la similitudine e la convergenza, foriera di fatali conseguenze, con un’altra rivoluzione alterata e corrotta, con la tradizione ebraica, fondamentale anch’essa nella genesi del mondo moderno. Possiamo osservare che il medesimo atteggiamento riscontrabile in certi esiti del Cristianesimo lo si ritrova tale e quale, se non addirittura accentuato, in una religione quale quella giudaica, tutt’altro che priva di Shari’a. Ci troviamo qui di fronte al grande mistero della grazia e dell’abiezione, che è il mistero dell’empietà, del rifiuto dei doni divini da parte di chi ne era stato colmato e se ne era inorgoglito, come ci dice il Sacro Corano, secondo un prototipo che risale ad Iblis, e che nel mondo moderno ha dato luogo all’attuazione dell’aberrazione estrema, al sionismo, ovvero a quanto vi è di più prossimo al male assoluto al nostro livello d’esistenza. Vedremo in seguito, consideratane qui la scaturigine, come si è attuato il collegamento tra questo ebraismo degenerato e la sua controparte puritana, che si manifesta oggigiorno nella ferrea alleanza politica, ideologica, economica e militare tra il Grande Satana americano e l’empietà sionista.

Ci basti sottolineare la diretta scaturigine satanica di una realtà siffatta, dato che una tradizione che si sia chiusa all’influsso divino pur conservando le sue articolazioni, il suo apparato rituale e simbolico nella sua forma esteriore, sia per ciò stesso destinata a aprirsi all’influsso della “Scimmia di Dio”, riducendosi a diretta manifestazione e funzione dell’intelligenza satanica al nostro livello d’esistenza. Questo, perché avendo conservato la medesima forma esteriore che fu già ricettacolo della Rivelazione, chiusa che l’abbia al rapporto con la trascendenza, ne ha fatto per ciò stesso il luogo privilegiato dell’effusione dei mondi inferi, contraffazione speculare ed invertita dei livelli superiori dell’essere.

Dobbiamo a questo punto tornare un po’ indietro nel nostro discorso, alla scaturigini del mondo occidentale moderno, ovvero a quella radice insana e corrotta le cui metastasi cancerose tendono oggigiorno ad estendersi e ad imporsi al mondo intero. Abbiamo già visto come alle origini della modernità vi sia la dissociazione, propria al Cristianesimo paolino, tra la città dell’uomo e la “città di Dio”. Si deve però osservare che una scissione siffatta non si è manifestata subito in una forma così netta e devastante. Già lo stesso Paolo di Tarso era stato a suo tempo l’artefice di un aggiustamento e di una correzione integratrice. Egli osservò sempre con grande zelo le prescrizioni della Legge mosaica, e la sua stessa apertura al mondo greco-romano ebbe una funzione a suo modo provvidenziale, in quanto consentì di innestare il patrimonio della spiritualità cristiana sul tronco della civiltà giuridica romana, e di metterle a disposizione quanto vi era di valido in una civiltà quale quella ellenica, che aveva sempre perseguito la ricerca del bello e del vero, ossia i tesori della scienza e dell’arte greca.

Si trattava a nostro avviso di due civiltà, che nella ricerca del bene (la civiltà giuridica romana era edificata su di una giurisprudenza rigorosa ed onnicomprensiva fondata sul concetto di giustizia), e del bello e del vero (nelle scienze, nella filosofia e nell’arte greca), tradivano il loro ricollegamento originario con una ancestrale sapienza rivelata, al di là delle successive distorsioni e deviazioni. La stessa scienza greca, che si tende al giorno d’oggi, a seconda dei punti di vista, o ad esaltare come gloriosa precorritrice e battistrada di quella moderna, o a sminuire come suo rozzo ed informe abbozzo, la stessa scienza greca, al di là di certe deviazioni, riscontrabili specie nella tarda età ellenistica, aveva un carattere del tutto difforme da quella moderna: un punto di partenza prettamente sapienziale e simbolico, come nella matematica pitagorica e platonica, una fisica non quantitativa, ma qualitativa in senso ontologico, orientata nel verso della trascendenza, come nella fisica aristotelica e nella cosmologia platonica, e financo, per non parlare delle altre scienze della natura, una medicina che in definitiva teneva conto dell’intera compagine psicofisica e spirituale dell’individuo umano, e di cui erano evidenti, specie nella scuola di Coos, la scaturigini sapienziali; la stessa logica avendo in tale prospettiva una funzione eminentemente propedeutica (come del resto la matematica), aggiungendosi in tal senso, come sua preziosa ausiliaria, a quell’attitudine eminentemente simbolica riscontrabile nei presocratici, che si esprimevano per simboli, segni, immagini sintetiche ricolme di significato, nulla aventi a che vedere con certe interpretazioni materialistiche ed evoluzionistiche successive.

Ora, l’atteggiamento cristiano nei confronti di questo patrimonio, pur non mancando casi di rifiuto aprioristico ed incondizionato, fu di sostanziale accettazione ed utilizzazione; cosicché il Cristianesimo ebbe a nostro avviso da un’altra parte, ovverosia dai resti e dagli sviluppi di una tradizione sapienziale ancestrale, di una remota rivelazione, quel che gli mancava di proposito, ossia una sintesi completa, che avrebbe potuto essere attinta direttamente solo dal messaggio profetico originale, dato che le scritture cristiane si configurano, nel loro centrale nucleo evangelico, piuttosto che come una rivelazione, come un insieme di narrazioni scritte, simili alle tradizioni del mondo islamico, senza che peraltro si sia mai posto il problema dell’accertamento di una catena di trasmissione.

Il risultato di questo innesto fu indubbiamente provvidenziale: il Cristianesimo poté fiorire splendidamente sul tronco fecondo della grecità e della romanità, poté darsi quel che non aveva in proprio, poté dar luogo ad una civiltà integrale, orientata in definitiva verso Dio, sia pur nei suoi limiti strutturali; fu in grado di dare al mondo tesori di sapienza e di bellezza, d’arte e di scienza vera, poté dar forma tutto un universo umano in ogni sua componente. E non mancò l’influsso correttivo, fecondatore e vivificatore dell’Islam, che si esercitò per vie talvolta nascoste e misteriose (si pensi a Tommaso d’Aquino, a certi aspetti della teologia e della mistica orientale, specie nella sua tarda formulazione palamita, ed all’enigma degli stretti rapporti, ampiamente comprovati, tra Dante e la mistica islamica).

L’aggiustamento suddetto si realizzò nelle due diramazioni principali del Cattolicesimo Romano e dell’Ortodossia Orientale. In quest’ultima avranno sempre il massimo rilievo la mistica ed il rispetto della tradizione, ovvero la fedeltà puntuale al modello esemplare delle supposte origini, ed un’attitudine spirituale che tutto da dipendere dalla conoscenza diretta delle realtà soprasensibili, il più delle volte in contrapposizione con le conoscenza argomentative ed indirette; tradizione e mistica che preserveranno più a lungo questa variante del Cristianesimo, dal cui seno non nasceranno le aberrazioni della modernità, ma che a lungo andare, per la sua debolezza strutturale di fondo, sarà una delle prime vittime del nuovo corso dell’umanità occidentale.

In Occidente le cose andranno diversamente: una maggiore disponibilità all’innovazione porterà allo sviluppo di aspetti esteriori e deteriori, ed al completo travisamento della classicità greco-romana. L’autorità spirituale, nelle mani del Papa di Roma, tenderà sempre più a configurarsi come qualcosa di meramente esteriore e formale, nel verso di un secolarismo che la metterà in competizione con i poteri temporali. A tutto scapito della tradizione e della mistica, la funzione del Pontefice Romano, del tutto avulsa da ogni qualificazione spirituale, tenderà sempre più ad assumere un ruolo primario, in concomitanza con lo sviluppo sempre maggiore della conoscenza indiretta, argomentativa, che diverrà ipertrofico nella tarda scolastica, sino al disconoscimento del suo ruolo subordinato alla conoscenza diretta e presenziale delle realtà spirituali, e con il parallelo sviluppo delle scienze della natura in una prospettiva avulsa da ogni orientamento trascendente, spesso nel segno di un confuso e torbido cosmico panteismo. Ma è al principiare del 16° secolo dell’era volgare che si affermano i due grandi movimenti che finiranno col cambiare definitivamente il volto dell’Occidente, trasformandolo in una infernale macchina da guerra pronta a scagliarsi contro il resto del mondo, ed in primo luogo contro il pilastro della Rivelazione Profetica, contro l’Islam.

Ci sia consentita qui una precisazione. Non è che si voglia attribuire alle ideologie umane una funzione che esse non hanno, di creatrici della realtà oggettiva in un senso unilaterale. Fatto sta che l’ideologia è specchio incontrovertibile di una realtà esistenziale umana, e contribuisce peraltro a crearla; sarà semmai la fede religiosa, con le sue deviazioni, ad aprire ed a chiudere porte di collegamento con i livelli superiori dell’essere, e ad avere un’influenza molto più diretta e determinante sul mondo dell’effettualità. E’ per questo che, in quanto segue, alle ideologie andrà sempre attribuito un ruolo subordinato rispetto alla fenomenologia dei movimenti religiosi.

Ora, è nel periodo suddetto che si affermano nell’Europa Occidentale l’Umanesimo ed il Protestantesimo, fenomeni all’apparenza quanto mai differenti, ma a una più attenta considerazione uniti nel profondo della loro natura a ribadire, approfondire, sino a renderla irrimediabile, la scissione originaria del Cristianesimo paolino, da ricondursi alla mancanza di una genuina, originaria Rivelazione, e di una legislazione rivelata, di una Shari’a. L’Umanesimo tenderà sempre più ad immergersi nella natura e nelle forme esteriori, sino a dimenticare, se non persino a negare, la trascendenza, sostituendola con un inerte meccanicismo o, come avevamo già accennato poc’anzi, con un torbido cosmismo panteistico. Il Protestantesimo, per parte sua, finirà col portare all’estremo la scissione originaria del Cristianesimo paolino, ed a separare ed escludere completamente l’uomo dalla trascendenza, pur nella pretestuosa accentuazione di quest’ultima, troncandogli definitivamente le vie d’ascesa al divino: nell’uno e nell’altro caso, la natura e la società umana vengono abbandonate ad un ineluttabile processo di materializzazione e secolarizzazione, private che siano di ogni autentica norma operativa rivelata, e di ogni reale orientamento trascendente.

Ed è da qui, da queste perversioni non soltanto ideologiche, ma operative, dato che esse ebbero un’efficacia concreta contro quel che restava della tradizione cristiana, è da queste aberrazioni che si sviluppa il tronco della modernità occidentale; una scienza, una filosofia, una struttura politica e sociale, una visione dell’uomo e del mondo del tutto avulse da ogni prospettiva trascendente di fatto. I pretesi spiritualismi odierni (quale ad esempio l’idealismo), in effetti, ad altro non si riducono che a mere affabulazioni razionali, discorsive, a volte di spaventosa complessità, e la scienza ha preteso di essere, nella sua presunta e presuntuosa indipendenza, del tutto quantitativa, dimenticando l’assunto aristotelico dell’insussistenza della mera quantità astratta. E tutti questi elementi, ben lungi dall’essere sporadici, si organizzeranno e si unificheranno nella loro pretesa autonomia, sino al punto di ignorare o di negare quel che restava della rivelazione cristiana, se non financo, negli esiti estremi, di farne un uso empio, invertito, satanico.

Quel che vogliamo sottolineare e ribadire, è che il caso della modernità occidentale, per ampiezza e profondità, è unico nella storia umana. Altre civiltà poterono conoscere casi anche inquietanti di materialismo, ma mai un materialismo sistematico e generalizzato, dal punto di vista soprattutto pratico, più che ideologico. Nelle altre civiltà si poté arrivare a casi di associazione, ma mai all’inversione. E qualora ci si obiettasse che altre civiltà, quale quella araba preislamica, hanno conosciuto un’inversione diabolica, laddove invece la modernità occidentale si ridurrebbe ad un puro e semplice materialismo; potremo replicare in primo luogo, che il mondo dei corpo e della materia non è mai fine a sé stesso, non include in sé la sua ragion d’essere, per la sua manifesta insufficienza ontologica, in quanto un insieme anche indefinito di presunte cause corporali, orizzontali, non sarà mai in grado di dare ragione di alcunché; sicché dovrà rinviare, per la sua ragion d’essere, a qualcosa che non include in sé, e quando pretenda illusoriamente di chiudersi al mondo divino, finirò con lo sprofondare nell’inganno dei mondi inferi, nella ricerca di un’immaginaria ragion d’essere avulsa da Dio, e pur non appartenente al suo proprio livello d’esistenza. La, onde l’esito inevitabile, implicito o esplicito che sia, del materialismo occidentale, è la pura e semplice inversione satanica.

Ed in ogni caso, in secondo luogo, gli altri mondi umani si trovarono sempre ad un livello antecedente della discesa: non poterono avere una scaturigine infernale, dato che dall’archetipo del nulla, dell’assoluta dissoluzione, nulla possa scaturire; sicché il loro stato sarà in ogni caso ontologicamente precedente a quello della dissoluzione occidentale, provenendo da una corruzione solo parziale del messaggio profetico, per la presenza in definitiva tutt’altro che marginale e sussidiaria di suoi elementi, che fa sì che essi siano in ogni caso in uno stadio precedente a quello di un materialismo generalizzato, ed alla sua conseguente inversione satanica.

Dal momento dell’affermarsi del Protestantesimo e dell’Umanesimo, l’Occidente si è volto con tutte le sue forze all’accumulo di potenza nel dominio della materia. E l’ebraismo degenerato, diretta scaturigine della natura satanica al nostro livello d’esistenza, è stato subito pronto a far uso di questo corpo immane e ottuso, per scagliarlo, con tutta la tremenda efficacia dei mezzi così acquisiti, e con tutta la perspicacia della propria intelligenza luciferina, contro i mondi tradizionali, ed in primo luogo contro l’Islam, baluardo della Rivelazione Profetica. E la sua azione è tanto più micidiale, quanto meno si avvale della violenza dell’aggressione demolitrice esteriore, e più fa leva sugli psichismi e le pulsioni delle potenze animali e telluriche sulla nafs ammara, per trarre a sé l’intera compagine esistenziale della persona umana. E’ questa la pressione, esterna ed interna, apparentemente irresistibile, della società secolarizzata, sotto gli occhi di tutti noi, e tanto più perniciosa e devastante, quanto più occulta e sottile.

Ora, e con ciò ci ricolleghiamo alle nostre precedenti considerazioni, il più delle volte questa medesima pressione si presenta a guisa di realtà obiettiva imprescindibile del nostro mondo, di condizione generale del nostro livello d’esistenza. A questo riguardo, si dovrà assumere un atteggiamento concreto, pratico, riconducibile a premesse di carattere generale. Che fare dunque al cospetto di questo dominio d’innovazioni? Perché è appunto il caso dell’innovazione, della bid’a, intesa nella sua accezione e portata più vasta, che il mondo moderno ci presenta, il caso della deviazione dalla Tradizione Profetica in tutta l’ampiezza e profondità possibili.

Ora, ci si presenta qui per un verso una situazione riconducibile a quella in cui ci si ritrovi a dover prendere partito su eventualità d’ordine generale non contemplate direttamente ed esplicitamente dalla Rivelazione; nella qual circostanza, fermo restando il valore vincolante assoluto delle indicazioni di un Imam infallibile, nella fattispecie dell’Imam Mahdi (aj), spetterebbe invero alla giurisprudenza pronunziarsi. E avevamo già visto in precedenza come la giurisprudenza possa prendere partito soltanto su casi generali, e non su alternative particolari riconducibili ad una medesima specie d’atti.

In effetti, il problema della modernità occidentale, dal punto di vista essenziale della realizzazione spirituale, costituisce un caso generale essendo a questo riguardo indifferenti le sue partizioni interne. Ci troviamo invero di fronte al caso generale della dissociazione e dell’inversione ontologica, che si impongono dall’esterno del mondo islamico in tutta la loro devastante pressione, facendo peraltro leva sulle torbide profondità delle potenze animiche inferiori, della nafs ammara. E la realizzazione con una realtà siffatta è equiparabile oggigiorno a quella con una realtà oggettiva imprescindibile del nostro mondo, al cui cospetto sono impercorribili vie d’isolamento monastico, estranee alla completezza dell’Islam, alla sua imprescindibile dimensione collettiva, politica e sociale, e peraltro di per sé stesse oramai impraticabili integralmente. E’ pertanto a nostro avviso sulla modernità occidentale come fenomeno generale che la giurisprudenza e le altre scienze islamiche, nel periodo d’occultamento del 12° Imam (aj), dovrebbero prendere partito, fermo restando che in ogni caso, in ultima istanza, sia il caso singolo che quello generale rimangono sotto la giurisprudenza dell’Imam Occulto (aj).

Ma per un altro verso, si pone a questo medesimo riguardo una difficoltà di non poco momento: nei confronti della giurisprudenza, che definisce la correttezza degli atti d’adorazione e l’ordine sciariatico, l’insieme delle condizioni della modernità, di per sé stesse, costituisce una realtà accidentale ed esterna, influente sì, ma che non ne inficia o corrompe direttamente la sostanza stessa, riconducendosi a questa stregua all’insieme di quei casi d’indifferenza, accidentali, nei cui confronti le è difficile, se non impossibile, prendere partito: intendiamo dire che se la giurisprudenza riguarda nella sua generalità gli atti di adorazione e l’ordine sciariatico, le circostanze della modernità, sotto questo riguardo, rappresentando qualcosa d’esterno e per ciò stesso d’indifferente, nei cui confronti si richiederebbe un giudizio promanante direttamente dal sapere sintetico e dettagliato dell’Imam Occulto (aj). L’unico criterio applicabile in tal caso rimane quello dell’innovazione, se intesa in senso lato, non come qualcosa d’interno, ma come alcunché d’esteriore che si pone in rapporto alla Rivelazione, con tutte le conseguenti difficoltà poc’anzi menzionate.

Ora, a nostro avviso, una considerazione di fondo si impone su questo tema: nell’attesa della parusia del dodicesimo Imam (aj) è necessario essere ben consapevoli, studiandone accuratamente le scaturigini, della natura profonda dell’albero insano della modernità occidentale. E’ anche a questo riguardo che si palesa e si impone tutta l’utilità di una sana filosofia basata sulla Rivelazione e sul corretto uso dell’intelligenza umana. La sostanza di questo albero insano, al di là delle apparenze, è assolutamente perniciosa, data la sua radice velenosa e corrotta, sicché il più delle volte esso non avvicina, anzi allontana e separa da Dio e dalla Sua Legge, ed il suo contenuto simbolico, il suo orientamento ascendente, proprio alla totalità dell’effusione creaturale, è inaccessibile all’uomo comune, che troverà nei suoi frutti, ed in tutto il suo essere, un segno, non certo privo d’efficacia discendente, non dei livelli superiori dell’essere, come è il caso per il mondo della natura vergine e per le realtà tradizionali, ma degli abissi infernali. Solo per chi sia pervenuto alle stazioni spirituali più elevate sarà possibile ravvisare in esso, così come nelle stesse realtà telluriche e infernali, un segno, anzi l’effusione stessa della Divina Presenza. Si confrontino a mo’ d’esempio, a questo medesimo riguardo, il mondo della natura vergine e i prodotti delle arti tradizionali, anche le più umili, gravidi di sapienza sintetica e simbolica, con lo squallore delle macchine e di tutti gli artifici moderni, al di là di certi splendori apparenti.

D’altra parte, questi elementi negativi fanno parte oggigiorno, come si è più volte ripetuto, delle condizioni generali oggettive del nostro mondo, dalle quali è pressoché impossibile prescindere. Ne deriva che sarà inevitabile, almeno in una certa misura, financo nei casi estremi di rifiuto, una loro assunzione. A questo riguardo, due sono a nostro avviso i criteri minimi fondamentali di un corretto atteggiamento: in primo luogo, in linea di principio, consapevolezza e distacco nei confronti di queste realtà; in secondo luogo, sempre nella piena coscienza della loro natura profonda, la capacità di farne uso senza esserne assorbiti ed usati, in una prospettiva teleologica, in vista di un fine escatologico e trascendente, per combattere la modernità in noi e fuori di noi con i suoi stessi strumenti, nella prospettiva finale della manifestazione plenaria della luce profetica, e della nostra personale salvezza del conseguimento della meta del nostro pellegrinaggio spirituale. Non si tratta in questo caso, si badi bene, di un fine che giustificherebbe il mezzo. Non si tratta dell’uso indifferente di un mezzo avulso da ogni sua qualificazione. Non è questione di essere empi col pretesto di combattere l’empietà. Si tratta piuttosto dell’uso di certe condizioni strumentali della modernità, così come una certa efficacia terapeutica del veleno, e non il veleno in sé, può essere usata come farmaco e come antidoto.

Questa prospettiva teleologica, nell’attesa della parusia del dodicesimo Imam (aj), può a nostro avviso rettificare, se non altro parzialmente, la natura di certi aspetti incidentali della realtà effettuale della modernità. Sempre con piena consapevolezza e discernimento. Ora, la manifestazione vittoriosa dell’Imam Mahdi (aj) spazzerà via molti, se non financo tutti gli elementi di questa realtà corrotta: avremo allora un Islam puro e integrale, chi si libererà da ogni concrezione, da certe commistioni con elementi estranei, oggigiorno peraltro sovente inevitabili, a cominciare dalla stessa giurisprudenza, che oggigiorno è costretta per certe materie, per colmare certe lacune di fatto, a ricorrere a prodotti di quell’albero della modernità occidentale di cui abbiamo denunziato la natura e la scaturigine insane. E le scienze stesse avranno un’origine puramente sapienziale, dal tronco e dalla radice celeste dell’albero della Rivelazione, promanando direttamente, in cristallina trasparenza simbolica, dall’effusione della Divina Sapienza.

Nell’attesa del palesarsi glorioso dell’Imam Occulto (aj), che è già qui tra noi, anche se non ce ne avvediamo, il lume che ci illumina e ci guida in questa età di tenebra, sia quello purissimo e perfetto della Profezia Muhammadica, inverantesi nella costellazione dei 14 Puri (as) scevri da macchia e da errore, che ci sosterrà sino alla parusia del Mahdi (aj), pleroma nel quale l’astro purissimo di Husayn (as) assume per noi un particolare rilievo. Il sacrificio di Husayn (as), nel quale la luce imamica e profetica rifulge in tutto il suo immacolato splendore, ha a questo riguardo una natura ed una funzione esemplari: esso è il tramite per eccellenza tra Muhammad (S) ed Ali (as), ed il Qai’m stesso (aj), tra la vittoria iniziale e quella finale; sigillo del tragitto tellurico ed infero della luce superna manifestata in questo basso mondo di tenebra, nel segno della lotta contro l’empietà, e del sacrificio e del martirio, secondo un archetipo che è l’archetipo stesso della creazione del mondo e della sua reintegrazione finale per il tramite della sua apparente annichilazione.

Il sacrificio di Husayn (as) è la purezza dell’Islam che persiste e si afferma in tutto il suo nitore pur nelle condizioni più ostili, nell’apparente disfatta e umiliazione, è il fulgore della sostanza muhammadica di un Islam mondato da ogni concrezione estranea, è il bagliore stesso della Rivelazione Profetica tra le tenebre più dense di questo basso mondo, proiettato verso l’espansione e la trasparenza della sua parusia finale, dell’effusione plenaria della sua invitta e incorrotta purezza, che in sé sussiste ab aeterno, in compiuta e inalterabile perfezione, nelle altezze incommensurabili dell’Intimità Divina, e di cui esso è qui tra noi la premessa, la garanzia, la sussistenza stessa, l’essenza gravida della sua pienezza, nella sua ampiezza ed esaltazione. E quanto più si è tentato, si tenta, e si tenterà di offuscare e soffocare questa luce, tanto più essa risplenderà, sino al trionfo finale.

Veniamo da Muhammad (S) e da °Ali (as), e tramite Husayn (as) andiamo verso il Mahdi (aj). Sta a noi saperci immergere nella luce salvifica del suo sacrificio, per resistere e sottrarci all’oppressione della nostra nafs e di questa età di tenebra, per la salvezza nostra e del nostro mondo, a dispetto di ogni condizione più ostile, a dispetto della sua capacità di incidere sulla nostra stessa carne; affinché venga alfine a manifestarsi, nel segno della giustizia e dell’armonia, l’identità archetipica tra la fulgida purezza della luce profetica, e la plenitudine della sua effusione conclusiva e trionfale, preconizzata e quintessenziata dal martirio di Husayn (as), che ne è la garanzia in questo mondo e la realtà eminente nella Intimità Divina; ed attuata ed esternata nella sua ostensione plenaria dalla parusia e dalla vittoria finale del Mahdi (aj) sulle potenze infernali di questa età di tenebra.

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Writer : shervin | 0 Comments | Category : Il pensiero islamico

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