Il sostegno di Hezbollah al governo di Assad (A.S.Ghorayeb)

Il sostegno di Hezbollah al governo di Assad

Amal Saad Ghorayeb

Novembre 2011, Conflicts Forum – Traduzione in italiano di Iononstoconoriana.com

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Nonostante Hezbollah dipenda sostanzialmente dal governo di Assad per quanto riguarda il transito delle armi di cui necessita, questa semplice considerazione non rende adeguatamente conto dei motivi che stanno dietro il suo controverso atteggiamento, e non spiega abbastanza la solidità della sua alleanza con la Siria. Ridurre la stretta alleanza tra Hezbollah e il governo di Assad ai meri aspetti logistici fa perdere di vista molti altri fattori e molte altre considerazioni che sostengono anch’esse la relazione che esiste tra di loro. Il fatto che Hezbollah difenda strenuamente il governo di Assad proprio nel momento meno opportuno va considerato nell’ottica della lotta in corso in Medio Oriente tra un “progetto nazionalista e di resistenza” guidato dall’Iran, dalla Siria, da Hezbollah e da Hamas, noto anche come “jabhit al mumana’a” (“asse della resistenza”, come viene definito in Occidente) ed il “progetto degli Stati Uniti” perseguito dagli alleati arabi degli Stati Uniti che si riconoscono nel cosiddetto “asse moderato”. Inquadrato in questo più ampio contesto regionale, il valore strategico della Siria non si riduce al suo ruolo di fornitrice di armamenti, ma deriva essenzialmente dal suo costituire il perno del fronte di resistenza o, per riprendere la definizione fornita da Nasrallah, dal costituire “l’unico governo orientato alla resistenza di tutta la regione”. Secondo Hezbollah “La leadership siriana può essere ritenuta il principale artefice del sostegno e del mantenimento della causa palestinese”. Il governo di Assad è così importante per la Palestina che Nasrallah dichiara esplicitamente che “il sostegno della posizione siriana” (e quindi il mantenimento del suo governo) rappresenta “la condizione indispensabile per continuare a difendere la causa palestinese”. Quindi ogni minaccia contro la sicurezza e la sopravvivenza del governo non costituisce un “pericolo” solo per la Siria ma anche per la Palestina e, considerando il ruolo che la Siria ha avuto nel porre fine alla guerra civile, anche per lo stesso Libano.

Le proteste in Siria vengono bollate come forme di collusione con le potenze straniere che stanno cercando di sostituire Assad con “un altro governo simile a quello dei governi arabi moderati che sono pronti a sottoscrivere ogni sorta di accordo di capitolazione con l’entità sionista”. Piuttosto che insistere perché vengano promosse riforme democratiche in Siria, le più recenti politiche di Washington hanno mirato essenzialmente a sottometterla: “se il Presidente Bashar al-Assad si arrendesse agli americani, il problema sarebbe risolto”.

A parte i fattori strategici, il sostegno inflessibile che Hezbollah offre al governo di Assad ha anche motivazioni le cui radici vanno cercate in considerazioni teoriche. Il fondamento ideologico rivoluzionario di Hezbollah posa su due criteri in concorso tra loro: il primo è rappresentato da “le relazioni e la posizione che il governo assume nei confronti del progetto americano-sionista per il Medio Oriente”; il secondo è dato dall’agibilità concreta per le riforme. La posizione “resistenziale” del governo di Assad ed il suo ruolo nella regione, insieme alla sua apertura verso le riforme ed il dialogo, significano che l’insurrezione siriana non è riuscita a venire incontro a nessuna di queste necessità e che dunque Hezbollah non può sostenere “la caduta di un governo dalle caratteristiche resistenziali che ha cominciato ad introdurre delle riforme”.

Il concetto che Hezbollah ha della libertà come libertà positiva su cui ciascuno può contare per il controllo del proprio destino e per il raggiungimento dell’autodeterminazione da una parte è diverso, e dall’altra supera le preoccupazioni liberali che partono dal concetto di una libertà negativa, la libertà di non subire costrizioni ed impedimenti dall’esterno. Essere liberi non significa essere lasciati in pace, ma lottare senza mai fermarsi in nome della giustizia. Ecco il motivo per cui Hezbollah è intrinsecamente antagonista alle sollevazioni liberali come quella siriana, che si concentrano sull’obiettivo di liberarsi dal controllo dello Stato a detrimento della lotta contro gli Stati Uniti e contro il colonialismo sionista.

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Introduzione

Uno dei paradossi dell’ondata di insurrezioni nei paesi arabi è rappresentato dal fatto che essa ha tanto unito quanto diviso il mondo arabo. Mentre il nesso che esisteva tra i governi autoritari e la subordinazione agli Stati Uniti in paesi come la Tunisia, l’Egitto e lo Yemen ha assicurato un massiccio sostegno popolare per le rivolte che si sono verificate in quei paesi, il fatto che il governo di Assad faccia parte dell’”asse della resistenza” ha privato la sollevazione in corso di qualcosa che somigliasse ad un analogo sostegno di massa in tutta la regione.

Non sorprende che Hezbollah si sia collocato all’avanguardia dello schieramento che sostiene Assad. Il sostegno del movimento per quello che viene generalmente percepito come un regime repressivo e non democratico viene sentito da molti come non congruente con i suoi valori politici e come significativa rottura rispetto alle denunce peraltro consolidate che Hezbollah fa ordinariamente a carico di altri governanti arabi in aria di autocrazia.

Questa discrepanza è in parte dovuta al fatto che Hezbollah ritiene che il governo di Assad goda ancora del sostegno della maggioranza della popolazione e che il suo intento di aprire a delle riforme andasse inteso con serietà, al contrario di quello di altri governi arabi che si sono mostrati chiusi ad ogni prospettiva in questo senso. Più significativo per Hezbollah è però l’atteggiamento non remissivo verso l’entità sionista mostrato dal governo siriano, e la sua tutela dei diritti degli arabi; cose che impongono al popolo siriano di “custodire il loro governo, che è un governo di resistenza e di opposizione” [1].

Il chiaro sostegno che Hezbollah offre al leader siriano gli ha alienato le simpatie di molti arabi che pure avevano in larga misura sostenuto il movimento resistente, ma che ora lo accusano di star cinicamente aiutando un regime brutale per proteggere i propri interessi di bottega. I critici di Hezbollah lo considerano un’organizzazione motivata soltanto dalla realpolitik e dipendente da Assad per procurarsi ed ottenere armi. Per caso oppure no, simili interpretazioni collocano Hezbollah in quel ruolo di “attore razionale” che è proprio del modello adottato dai politici statunitensi e da “esperti” dello stesso genere. In base al dominante approccio caratterizzato dal realismo, un comportamento politico è quasi per intero spiegato da una razionalità strumentale basata su mezzi e fini.

In questo scritto si sostiene che se anche Hezbollah dipende effettivamente da Assad per le armi di cui necessita, questa sola considerazione non spiega a sufficienza i motivi che sottendono la sua controversa scelta di schierarsi, né spiega in modo esaustivo la solidità della sua alleanza con la Siria. Ridurre a meri fattori logistici quello che tiene insieme l’alleanza tra Assad e Hezbollah fa trascurare molti altri fattori e molte altre considerazioni che rafforzano i loro legami, e le sofisticate considerazioni razionali che li sostengono.

Preoccuparsi delle mere questioni inerenti la realpolitik non richiederebbe al leader di Hezbollah, Sayyed Hassan Nasrallah, di pronunciarsi in maniera tanto recisa a favore del governo siriano come egli ha fatto nei discorsi del 25 maggio e del 26 agosto del 2011, né richiederebbe al partito di prestare il fianco alle accuse di complicità con la violenza del governo siriano e alle accuse di ipocrisia nei propri rapporti con le insurrezioni arabe. A rendere il fatto ancora più improbabile c’è la consapevolezza di Hezbollah per la controversia che esiste circa le posizioni del partito. A provare questa consapevolezza c’è il preciso riferimento di Nasrallah alla sua difesa del governo siriano come ad una “verità che va detta senza timore di attirare il biasimo di nessuno, chiunque sia” [2].

Come movimento che ha trascorso anni ed anni a sviluppare una “cultura della resistenza” nel mondo arabo e che ha usato la propria popolarità per opporsi a piani che inasprissero le tensioni tra sunniti e sciiti, Hezbollah non è certo organizzazione da svendere un sostegno popolare ottenuto a caro prezzo in cambio di un po’ di armi che potrebbe procurarsi con altri mezzi, anche se più laboriosi. Perché Hezbollah si giochi consapevolmente così tanta parte del simbolismo iconico di cui gode nel mondo arabo ed oltre, devono essere in gioco attori strategici di ben più ampia portata.

Si tratta delle stesse forze alla base del provocatorio discorso di Riad al-Solh, pronunciato da Nasrallah nel marzo 2005. A quei tempi, esattamente come oggi, Nasrallah si mise in posizione opposta rispetto all’opinione pubblica ed espresse aperto apprezzamento per la leadership di Assad, a poche settimane dall’assassinio di Hariri, in un periodo in cui il sentimento antisiriano era ai massimi livelli. Mentre la comunità internazionale con alla testa gli Stati Uniti, ed anche molti libanesi, stavano puntando il dito contro la Siria, Hezbollah la sostenne lealmente facendo l’apologia dei comportamenti tenuti dai siriani ed esprimendo alla Siria la propria gratitudine per quanto essa aveva fatto in Libano. In gioco, all’epoca, non c’erano tanto le vie di approvvigionamento per la resistenza, quanto il ruolo strategico della Siria in Libano e fuori dal Libano.

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Il valore della Siria come alleato strategico

La strenua difesa del governo di Assad da parte di Hezbollah, proprio nel momento in cui questo appare la cosa meno opportuna da fare, va considerata all’interno del conflitto regionale che esiste tra un “progetto nazionalista e resistenziale” guidato da Iran, Siria, Hezbollah e Hamas altrimenti noto come “jabhit al-mumana’a” (“Asse della Resistenza” per gli occidentali) ed il “progetto statunitense” portato avanti dagli alleati arabi degli Stati Uniti, che costituiscono il cosiddetto “asse moderato”. Visto in questo contesto regionale più ampio, il valore strategico della Siria non è questione che si possa ridurre al suo ruolo di fornitrice di armi, ma deriva dalla sua condizione di perno del fronte della resistenza o, per dirla con le parole di Nasrallah, dalla sua condizione di “unico governo orientato alla resistenza di tutta la regione” [3]. Rappresentando il governo in questo modo, Hezbollah mescola mezzi e fini: la resistenza diventa, da metodo di lotta sostenuto dalla Siria, un elemento fondante dell’identità politica siriana e del ruolo che la Siria ha nel contesto mediorientale.

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La battaglia tra posizioni politiche

Le linee di frattura in Medio Oriente separano posizioni politiche rivali: resistenza e confronto da una parte, resa dall’altra. I caratteri dello scontro corrispondono allo schema analitico usato da Hezbollah; come spiegato da Nasrallah, la natura della battaglia supera le affiliazioni “ideologiche, culturali e religiose” e si incentra sulle “posizioni politiche” rispetto agli “interessi” degli Stati Uniti e dell’entità sionista [4]. Nasrallah ha presentato quello che è il nucleo del conflitto in un discorso tenuto nel dicembre del 2008:

In linea di principio agli americani non interessa se chi governa è islamico, comunista, marxista, leninista, maoista o nazionalista. Questo per loro non ha importanza. Puoi adottare qualunque ideologia o pensarla come vuoi. Che cosa importa del tuo programma politico o di come ti collochi rispetto all’entità sionista? E cosa pensi degli Stati Uniti?” [5]

Interpretando il conflitto in questo modo, Hezbollah fa superare allo status della collocazione politica il livello dell’ideologia, che viene subordinata per importanza alla collocazione dei rapporti di forza dal punto di vista geopolitico. In quest’ordine di cose è implicito il concetto di posizione politica come ruolo attivo e sostanziale, in opposizione ad atteggiamenti passivi o alla semplice espressione di punti di vista. Considerando la Siria come il perno del fronte intenzionato a resistere, a sua volta ascritto a ferme posizioni politiche che colpiscono gli interessi statunitensi e sionisti assai più di quanto li servano, Hezbollah mette apertamente in discussione le asserzioni fatte dai critici del governo siriano secondo cui le credenziali di Assad dal punto di vista della resistenza sono in realtà poco più di quelle di cui può godere qualcuno che pensi più che altro al proprio puro interesse.

Coloro che criticano il governo siriano da queste posizioni pensano che le istanze antisioniste ed antiimperialiste della leadership di Assad rappresentino più che altro un espediente retorico adottato per custodire la propria legittimazione popolare. Al contrario, Hezbollah tende a colpire esplicitamente la pervasiva tendenza che esiste tra i progressisti a giudicare nel merito una posizione politica sulla base delle presunte motivazioni per cui viene adottata; Hezbollah sceglie invece di conferire a queste istanze un’importanza politica più profonda, e dunque un valore strategico. Quali che siano i motivi del governo, sia la natura dell’alleanza dei siriani con i rispettivi partner in Libano, in Palestina ed in Iran, oltre al prezzo che costa il mantenerla, secondo Hezbollah confermano il fatto che il collocarsi sul fronte della resistenza rappresenti più una scelta strategica che un mero espediente politico.

Al di là di ogni dubbio Hezbollah è consapevole del fatto che il governo siriano deriva la propria legittimazione dal prestigio di cui gode dal punto di vista della resistenza, cosa confermata dall’ammissione dello stesso Assad, secondo cui “cospirare contro la resistenza” decreterebbe “il suicidio politico” [6]. Hezbollah in ogni caso non condivide l’idea che il governo siriano regga la sua legittimazione con i mezzi della sola retorica. Oltre a salvaguardare la sua integrità fisica, il resistenzialismo del governo Assad costituisce anche la principale fonte della sua sicurezza ontologica, ovvero della sicurezza della sua identità come Stato che resiste e come campione dei diritti degli arabi. Mantenere un’identità come questa, e le alleanze su scala regionale che ne nascono, richiede chiaramente molto di più che non l’adozione di qualche atteggiamento retorico.

Assad è indispensabile alla resistenza in Libano ed in Palestina. Il sostegno siriano ai movimenti di resistenza in Libano ed in Palestina “non è stato soltanto morale e politico”; secondo Nasrallah è stato anche strategico. La Siria di Assad non è stata soltanto un protagonista attivo nel difendere i suoi alleati, ma ha preso parte alla lotta resistenziale “non soltanto appoggiando la Resistenza, ma sostenendola attivamente sia in Libano che in Palestina”. Il movimento di resistenza Hezbollah continua a mostrarsi convinto di aver raggiunto la vittoria del 2000, almeno in parte, grazie al “sostegno siriano”. La natura di questo sostegno non viene specificata, ma il fatto che Nasrallah abbia detto di non voler “entrare nel dettaglio” di questo sostegno, “per non imbarazzare la leadership siriana”, fa pensare che sia stata militare. In un altro discorso privo di precedenti, Nasrallah lasciava pensare che l’Iran facesse passare armamenti attraverso la Siria: “Anche oggi, la maggior parte del sostegno iraniano arriva tramite la Siria. Senza la determinazione e la fermezza dei siriani, il sostegno iraniano non sarebbe arrivato fino al Libano o alla Palestina” [7]. L’impegno siriano a favore dei piani della resistenza è testimoniato anche dalle istanze di principio da essa presentate nel corso dei negoziati di pace. Confermando il vecchio adagio di Kissinger “Niente guerra senza l’Egitto, niente pace senza la Siria”, Hezbollah ha apprezzato la scelta di Assad di rifiutare di “capitolare” alle condizioni dettate dall’entità sionista ed ha espresso il proprio apprezzamento per aver sventato i tentativi di dividere la Siria dal percorso di pace in Palestina. Se la Siria avesse presentato iniziative in proprio “mentre il percorso palestinese veniva frammentato nei negoziati” la causa della Palestina sarebbe stata destinata a sicura sconfitta [8].

Complessivamente, secondo Hezbollah “la leadership siriana può considerarsi impegnata nella custodia e nel mantenimento della causa palestinese”. Il governo di Assad era tanto indispensabile per la Palestina che Nasrallah ha dichiarato a chiare lettere: “Il permanere della Siria su queste posizioni” (e per conseguenza il mantenimento dell’assetto governativo attuale) “rappresenta la condizione fondamentale per la lotta in favore della causa dei palestinesi”. Per questo, ogni minaccia alla sicurezza del governo ed alla sua sopravvivenza costituisce “un pericolo” non solo per la Siria, ma anche per la Palestina e, considerando il ruolo che la Siria ha avuto nel corso della guerra civile, anche per il Libano [9].

La stima di cui la Siria gode per il ruolo che riveste in Medio Oriente confligge con una storia di altro segno, in cui la Siria finanziava la guerra contro i palestinesi in Libano intanto che finanziava i gruppi libanesi che si oppongono all’entità sionista. Hezbollah non si sofferma troppo su questi aspetti un po’ più torbidi della storia siriana, ma la consapevolezza almeno parziale di questo brutto passato in Libano può essere desunta dall’ammissione di Hezbollah secondo cui “Nessuno nega che la Siria abbia commesso degli errori in Libano. Il Presidente Assad lo ha ammesso all’Assemblea del Popolo [nel 2005]” [10]. A giudicare dalla storia delle relazioni tra Hezbollah e Siria, pare che questi “errori” abbiano caratterizzato il periodo antecedente la metà degli anni Novanta, dopo il quale le relazioni tra Hezbollah e governo di Hafez al-Assad si sono rafforzate. Nel corso di questo rafforzamento le relazioni con la Siria hanno cambiato forma, passando da relazioni indirette tenute grazie alla mediazione iraniana ad un’alleanza regionale a tutti gli effetti con l’arrivo al governo di Bashar al-Assad.

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Il valore strategico dell’intransigenza di Assad 

Il far passare in secondo piano gli aspetti più problematici del recente passato della storia siriana viene reso facile a Hezbollah dal rifiuto di Assad di giungere ad accordi con l’entità sionista; qualcosa che contrasta con l’atteggiamento remissivo tenuto dai paesi arabi confratelli. Anche molti arabi progressisti pensano che esser stato l’unico paese a mantenere questo atteggiamento diplomatico non sia sufficiente a conferire al governo siriano lo status di “ostile”; quello siriano resta “il fronte più tranquillo per lo stato sionista” [11]. Hezbollah respinge questo modo di pensare, bollandolo come assolutismo intellettuale. Innanzitutto, esso non considera il comportamento siriano secondo gli stessi parametri utilizzati per gli attori non statali impegnati nella resistenza. Nasrallah ha ammesso questo nel 2009, durante il discorso tenuto per il Giorno di Al-Quds, in cui ha fatto distinzione tra la Siria “come stato costituito” ed i movimenti di resistenza che non hanno gli le stesse “responsabilità economiche, sociali e politiche e gli stessi obblighi che derivano dai rapporti internazionali” [12].

In secondo luogo, Hezbollah non utilizza una logica di tutto-o-nulla simile a quella utilizzata da chi critica Assad da parte progressista. Nello stesso discorso su citato, Nasrallah ha risposto a questo stesso gruppo di “persone che parlano sempre di fronti aperti” tessendo le lodi dell’intransigenza siriana: “E’ vero che la Siria non ha combattuto, pur costituendo in sé un fronte aperto, ma neppure si è arresa”. Per tutti gli ultimi trenta o quarant’anni la Siria non ha “ceduto un granello di terreno o una goccia d’acqua” e si è anche opposta ad un accordo in procinto di essere siglato al Summit di Ginevra “che riguardava un paio di metri cubi d’acqua” [13]. Inoltre, anche se la leadership di Assad non si è fatta coinvolgere dalla resistenza armata per la liberazione del Golan, “è già sufficiente che la Siria abbia sostenuto la resistenza in Libano, quella in Palestina e quella in Iraq” [14].

Quello che la Siria non ha fornito nel contesto del confronto militare diretto, lo ha fornito con la fermezza della sua politica. Detto altrimenti, l’atteggiamento da tenere politicamente a fronte della resistenza non è riassumibile con una netta dicotomia del tipo “c’è la guerra, e se non possiamo combattere possiamo solo scomparire”. Nei casi in cui le necessità imposte da un confronto militare non hanno potuto essere soddisfatte, tenere un atteggiamento intransigente ha servito come loro sostituto politico secondo una linea ideologicamente coerente e strategicamente vantaggiosa. C’era una terza opzione dunque, che era piuttosto semplicemente quella di “non soccombere” e di “rimanere coerenti, fare opposizione, resistere e adoperarsi per acquisire potere e capacità, in attesa che il vento cambi” [15], come ha fatto la Siria.

Unendo la coerenza politica alla resistenza, Hezbollah toglie all’intransigenza siriana le sue connotazioni passive ed aggressive, e le conferisce un significato attivo e propositivo. Inoltre, dal momento che il concetto stesso di coerenza presuppone in questo caso il dover affrontate tensioni ed avversità, si considera che la Siria abbia meritato la sua qualifica di paese impegnato nella resistenza grazie al suo rifiuto di cedere alle pressioni e alle minacce esercitate perché capitolasse davanti alle pretese statunitensi e sioniste. Pressioni di questo genere sono cresciute di intensità e di frequenza dopo il lancio del cosiddetto “processo di pace” nel 1991, condotto usando alternativamente il bastone e la carota o, per dirla con il linguaggio di Nasrallah, “l’intimidazione e la tentazione” [16]. La pressione è salita ancora durante gli anni di Bashar, quando la Siria si è ritrovata sull’infame lista di George Bush chiamata “Asse del Male” ed è stata colpita dalle sanzioni volute dagli Stati Uniti, dalle risoluzioni dell’ONU e dall’accusa di fomentare il terrorismo. Nonostante Washington abbia cambiato atteggiamento passando dall’intenzione di provocare un “regime change” a quella di pretendere un cambio di comportamento a partire dal 2007, quando gli americani iniziarono ad “ingaggiare” la Siria, la loro politica era essenzialmente tesa a far raggiungere ad essa un accordo di pace con l’entità sionista sganciandola dai suoi alleati regionali, piuttosto che a stringere con la Siria relazioni impostate su nuove basi.

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Il parere di Hezbollah sulla sollevazione siriana

Washington non ha ottenuto alcuno dei suoi obiettivi, tornando così alla precedente politica tesa ad un rovesciamento del governo. Hezbollah ha considerato le proteste del 2009 in Iran come un “tentativo di destabilizzare l’assetto governativo islamico del paese” tramite una “rivoluzione di velluto” orchestrata dagli Stati Uniti [17]; allo stesso modo esso bolla le proteste in Siria come forma di “collusione” con le potenze straniere che stanno cercando di sostituire la guida di Assad con “un altro governo simile a quelli dei paesi arabi moderati che sono pronti a firmare qualunque accordo di capitolazione con l’entità sionista” [18]. Anziché tendere ad istituire riforme o la stessa democrazia in terra siriana, le ultime politiche messe in atto da Washington hanno cercato di fare della Siria un vassallo. “Se il presidente Bashar al-Assad andasse ad arrendersi agli americani, tutti i problemi sarebbero risolti” [19].

Il ritratto che Nasrallah fa del ruolo coperto dagli Stati Uniti nelle sollevazioni siriane riecheggia quanto Hezbollah pensava delle proteste in Iran: qualcosa che rappresenta la continuazione della guerra di luglio [l’aggressione sionista al Libano del 2006, N.d.T.] e della guerra a Gaza. Siccome la resistenza in Libano e in Palestina ha buttato all’aria lo schema del “Nuovo Medio Oriente” in tutt’e due questi casi di aggressione militare, Washingston sta “tentando di passare da altre parti”, per esempio dalla Siria [20].

Se teniamo presenti queste considerazioni, qualunque tentativo di rovesciare Assad può essere considerato come un servizio agli interessi degli americani e dei sionisti [21]. Hezbollah non ha direttamente accusato l’opposizione siriana di servire gli Stati Uniti o l’entità sionista, o di collaborare con essi; Nasrallah tuttavia l’ha bacchettata di recente, per l’aver ossequiato la sensibilità politica di Washington omettendo la causa palestinese dalla sua agenda politica [22]. Gli slogan contro Hezbollah scanditi da alcuni elementi dell’opposizione, così come le accuse da essi elevate in merito ad un presunto coinvolgimento di Hezbollah nella repressione governativa hanno fatto poco per sopire i timori di Nasrallah.

Timori che si sono consolidati ulteriormente a fronte delle posizioni espresse in pubblico dall’entità sionista in merito alle sollevazioni. In una di esse il presidente dell’entità sionista Shimon Peres ha apertamente invitato a rovesciare Assad, dichiarando che “Assad deve andarsene”. A dispetto delle riserve espresse da qualcuno sull’imprevedibilità di qualunque cosa possa costituirne il successore, Peres ha ammesso che un cambio di regime potrebbe essere di aiuto per aprire la strada ad un eventuale trattato di pace tra entità sionista e Siria [23]. In poche parole, esso rappresenterebbe “un grave smacco per l’Iran e per Hezbollah”, secondo l’analisi del ministro della difesa dell’entità sionista Ehud Barak [24].

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Teoria e prassi di Hezbollah come determinanti del suo sostegno al governo di Assad

Oltre ai fattori strategici alla base dell’immutato sostegno di Hezbollah nei confronti di Assad, alla base di tale comportamento esistono anche considerazioni di tipo teorico. A mediare gli imperativi strategici di Hezbollah è una concezione in cui gli obiettivi politici hanno il primo posto ed in cui i valori fondanti del movimento vengono concettualizzati. Ecco il motivo per cui indagare il pensiero e la pratica politica di Hezbollah è fondamentale per capire come esso riesce ad affrontare razionalmente il suo controverso rapporto con la Siria.

La gerarchia dell’oppressione secondo Hezbollah. Per Hezbollah la resistenza contro l’entità sionista rappresenta la ragione stessa di esistere. La resistenza contro l’entità sionista è un elemento costitutivo dell’identità del movimento, ed informa di sé gli interessi e gli obiettivi strategici di Hezbollah. Il principio guida del suo modo di ragionare è dunque rappresentato dalla “resistenza innanzitutto”. Lo status di primaria rilevanza assegnato alla resistenza deriva esso stesso da un sottostante schema gerarchico dell’oppressione in cui l’entità sionista emerge come la più grande delle ingiustizie, seguita da vicino da li Stati Uniti e infine, al terzo posto, dai governi autocratici, con particolare riferimento a quelli che ossequiano gli Stati Uniti [25]. Violenza e repressione sono caratteristiche comuni a tutte e tre le categorie: da ciò deriva che la violenza in se stessa non costituisce da sola qualche cosa che determini una condizione di ingiustizia. Quello che fa tanto rilevante la violenza che proviene dall’entità sionista è che l’entità sionista rappresenta in sé un male assoluto che non nasce dalle “circostanze dell’occupazione” ma “dalla stessa esistenza dell’entità sionista di per sé” [26]. Ecco perché non esiste paragone possibile, agli occhi di Hezbollah, tra la violenza perpetrata dall’entità sionista e quella praticata dal governo di Assad.

Un punto che spesso viene sottovalutato è il fatto che Hezbollah stesso ha fatto esperienza della repressione operata dai siriani. Un esempio è dato dal “Massacro di Fathallah” avvenuto nel 1987, quando i siriani uccisero a sangue freddo ventitré combattenti di Hezbollah a Beirut. Nel 1993 l’esercito libanese, su ordine siriano, uccise vari sostenitori di Hezbollah che protestavano contro gli accordi di Oslo del settembre dello stesso anno in quello che fu chiamato “il massacro di settembre”. In entrambi i casi il movimento si è limitato a leccarsi le ferite in modo da non porre ostacoli alla propria attività resistenziale. Le necessità della resistenza sono sempre passate avanti a quella di confrontarsi con le forze siriane in Libano.

Se lo stesso Hezbollah si è mostrato incline a sorvolare sulla violenza del governo siriano nei suoi confronti in nome di una causa più alta, è con ragione che esso si aspetta la stessa cosa da parte dei manifestanti siriani. Nella logica strategica di Hezbollah adoperarsi per il crollo di un regime oppressivo distoglie l’attenzione dai prioritari obiettivi rappresentati dal resistere all’entità sionista, e dal fronteggiare l’imperialismo militare e politico degli Stati Uniti.

Nel 1997, nel pieno della guerra civile in Algeria e in mezzo ad una serie di violenti episodi di cui erano responsabili gli islamisti egiziani, Nasrallah lanciò un’iniziativa che aveva lo scopo di riconciliare i gruppi di opposizione islamica con il governo autocratico egiziano. I combattenti islamici in Egitto furono esortati a non prendere le armi contro lo Stato e a scegliere invece la via del dialogo col governo di Mubarak. Parte del ragionamento che Hezbollah metteva alla base di questa politica era rappresentata dalla sua contrarietà ad un caos che esso considera “più oppressivo” degli stessi governi che si macchiano di atti di oppressione. La sua scelta era anche dettata da una logica secondo cui anziché rifarsela con la “tirannia” interna, i combattenti islamici avrebbero servito meglio il loro popolo se avessero diretto le loro armi contro il loro “nemico principale”, l’entità sionista [27].

Dopo l’invasione statunitense dell’Afghanistan e dell’Iraq nel 2002-2003, alla lista delle priorità è stata aggiunta quella di resistere all’occupazione statunitense, cosa che è passata avanti all’opposizione nei confronti dei governi oppressivi. Sulla base di questo modo di vedere le cose, all’epoca dell’invasione statunitense dell’Iraq, Nasrallah ha invitato l’opposizione sciita irachena e il governo di Saddam ad una riconciliazione, secondo le linee degli accordi di Taif in Libano. Vanno qui ricordati i molti dissidenti sciiti che sono morti nelle mani di Saddam, compreso Sayyed Mohammed Baqir al-Sadr, l’intellettuale fondatore di quel partito Da’wa dal quale provenivano molti di coloro che hanno rivestito cariche nello Hezbollah degli inizi. Va ricordato anche il fatto che il governo di Saddam Hussein era nemico giurato dell’Iran, l’alleato più stretto di Hezbollah. Sia la prospettiva che l’Iraq sprofondasse nella guerra civile sia la sua occupazione da parte degli Stati Uniti sono state comunque considerate dei mali peggiori di quanto non lo fosse il dover tollerare il suo governo oppressivo.

Il fatto che Hezbollah stia dalla parte di Assad non dovrebbe dunque sorprendere: una sua caduta sarebbe associata all’egemonia statunitense ed alla frammentazione della Siria. Si può anche ritenere, con buona sicurezza, che Hezbollah non si sarebbe levato in modo tanto chiaro e indubitabile a difesa di Assad se Assad non si fosse trovato incastrato in una serie di episodi violenti come quelli rappresentati da una guerra civile settaria a bassa intensità sostenuta da potenze straniere ed avesse invece agito con brutale repressione contro manifestanti disarmati. Secondo Hezbollah la mancanza di informazioni attendibili su ciascuno dei due fronti e la plateale distorsione operata dai mass media non soltanto ha offuscato la misura dell’estensione delle agitazioni popolari ma perfino “la natura e l’obiettivo degli scontri”[28].

La recente ammissione dell’amministrazione Obama del fatto che l’opposizione “è diventata violenta… per autoconservazione” [29] ha fatto poco per screditare l’interpretazione degli eventi fornita da Hezbollah. A chiamare di nuovo in causa la narrativa dominante sui mass media sulla brutalità del regime contro i civili disarmati sono la minaccia del Consiglio Nazionale Siriano (SNC) di ricorrere alla violenza [30] e le richieste di armamenti avanzate “alla comunità internazionale” da parte di gruppi armati vicini all’opposizione [31].

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I criteri seguiti da Hezbollah per appoggiare una rivoluzione

 Tutto questo non significa affermare che Hezbollah sia intrinsecamente controrivoluzionario. Il suo sostegno alle sollevazioni nei paesi arabi attesta il suo comportarsi come un campione delle cause rivoluzionarie. Man mano che governi arabi si avvicinavano nei decenni scorsi agli Stati Uniti e all’entità sionista, la loro contiguità al “più grande abominio dei nostri tempi”, per dirla con le parole del precedente leader di Hezbollah Sayyed Abbas Al-Mousawi, è divenuta più diretta e dunque ancora più intollerabile. Di conseguenza il beneficio percepito dell’astenersi dall’azione rivoluzionaria, mantenendo tranquillo il fronte interno e concentrandosi contro l’entità sionista e contro gli Stati Uniti, è stato superato dai costi dell’inerzia contro gli USA e contro l’entità sionista.

Così, se in passato il movimento ha cercato di dissuadere i combattenti islamici in Egitto dal prendere le armi contro lo Stato, il suo atteggiamento è cambiato nel corso della guerra a Gaza, quando Nasrallah non ha cessato di esortare al rovesciamento del governo egiziano. Con una mossa plateale come mai prima e dalla natura in un certo senso sovversiva, Nasrallah ha esortato i militari egiziani a rifiutarsi di mantenere l’assedio a Gaza voluto dal governo ed ha invitato “milioni” di egiziani a sfidare la repressione governativa e a riversarsi per le strade per gridare la propria indignazione

Questa scelta è stata il risultato della “partnership con l’entità sionista” voluta dall’Egitto, che ha superato il livello del puro e semplice silenzio o della complicità ascrivibile al governo Mubarak per il fatto di essere al corrente dei piani d’attacco sionisti, ed è arrivata al punto di strangolare la popolazione di Gaza e le forze della resistenza con la chiusura del valico di Rafah. Quando gli Egiziani si sono infine ribellati due anni dopo, il movimento ha indicato le cause della ribellione “nell’ingiustizia, nella corruzione, nella repressione, nella fame… e nelle politiche del governo sul conflitto tra arabi ed entità sionista”. La sollevazione del gennaio 2011 non soltanto è stata attribuita a motivi strategici, ma avrebbe colpito gli interessi dell’entità sionista, causando in esso “un panico ed un senso di allarme autentici”. Soprattutto l’impatto della rivolta ha superato le frontiere dell’Egitto, ed aveva la potenzialità di “cambiare il volto della nostra regione… specialmente in Palestina” [32]: espressioni simili Hezbollah le riserva alla resistenza.

Durante questa fase di palese complicità araba nei confronti dei piani statunitensi e sionisti, la prospettiva rivoluzionaria di Hezbollah si regge su due criteri concorrenti. In primo luogo “le relazioni di un dato governo con gli Stati Uniti e con l’entità sionista, e la sua posizione nei confronti dei progetti statunitensi e sionisti in Medio Oriente”; in secondo luogo il potenziale esistente per eventuali riforme [33]. Come sottolineato da Nasrallah, “i nostri criteri sono gli stessi criteri che determinano il nostro atteggiamento nei confronti di tutte le rivoluzioni arabe” [34]. Ora, siccome le rivoluzioni in Tunisia, nello Yemen, in Libia, in Bahrain e soprattutto in Egitto soddisfano entrambi i criteri, ovvero sono avvenute in presenza di governi soggetti ai piani americani e dove non esisteva volontà di introdurre riforme, Hezbollah reputa coerente sostenere le rivolte. Al contrario, la “resistenzialità” del governo di Assad ed il suo ruolo nella regione, insieme alla sua apertura nei confronti delle riforme e del dialogo, significano che l’insurrezione siriana non collima con nessuno dei criteri e che dunque Hezbollah non può “sostenere il rovesciamento di un governo di orientamento resistenziale e che ha cominciato ad introdurre riforme” [35]. Di conseguenza, il rifiuto di Hezbollah di sostenere i manifestanti non è “basato su due pesi e due misure” [36], come si è soliti affermare: al contrario, Hezbollah utilizza “un solo metro” [37].

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Conclusione

Diritti e libertà nella concezione di Hezbollah. Hezbollah è un partito politico che ha sempre subordinato il suo ruolo politico al suo ruolo militare; non si è mai avvalso dei diritti politici come pure avrebbe titolo per fare, ad esempio per avere una maggiore rappresentatività politica all’interno del Libano. Sia nel 1992 che nel 1996 il movimento ha lasciato che la Siria esercitasse pressioni per un’alleanza elettorale con Amal, anche se il concorrere da solo gli avrebbe procurato più seggi. Come quando sono stati uccisi suoi combattenti o suoi sostenitori, Hezbollah ancora una volta acconsentì al saqf al-suri (il “soffitto siriano”) per proteggere la propria resistenza. Allo stesso modo, anche quando è giunto ad avere potere politico, Hezbollah lo ha utilizzato soltanto per proteggere la resistenza dalle pressioni esterne, come nel 2005, dopo il ritiro delle truppe siriane dal Libano, e come nel 2011 quando sfiduciò il governo di Saad Hariri sulla questione del Tribunale speciale per il Libano. Anche in questi casi Hezbollah si è sempre accontentato di avere una rappresentanza di governo ridotta ai minimi termini, ed Hezbollah non ha mai fatto uso delle prerogative politiche di cui godrebbe a livello delle amministrazioni locali grazie al fatto di essere un movimento sciita, tra i quali una quota di potere politico commisurata alla numerosità della comunità che rappresenta.

Hezbollah al contrario è disposto a rinunciare alle proprie prerogative politiche pur di salvaguardare le proprie attività di resistenza, ed è incline a togliere agibilità politica a chi ritiene di avere il diritto di porvi qualche ostacolo. Come illustrato dai fatti del maggio 2008, Hezbollah non ha esitato ad impugnare le armi contro i propri avversari interni che stavano cercando di paralizzare le attività della resistenza. Il movimento si è comportato con la stessa intransigenza anche in contesti meno provocatori, come i colloqui del Dialogo Nazionale. Hezbollah è anche disposto a dialogare con i suoi nemici in merito ai propri armamenti, ma le sue condizioni non sono state fino ad oggi negoziabili e il movimento respinge l’idea di disarmare nello stesso modo in cui respinge le varie proposte di porre la resistenza sotto il comando dell’esercito libanese. Tutto questo Nasrallah lo ammette quando parla della resistenza che caratterizza Hezbollah come di una “questione controversa a livello nazionale”, e a livello nazionale la questione della resistenza “non è mai stata oggetto di consenso”. Hezbollah considera senz’altro la legittimazione popolare come qualcosa di desiderabile, ma non come qualcosa di assolutamente necessario. In questa concezione la resistenza non rappresenta un diritto perché lanciata dal popolo, ma è in se stessa un diritto perché insieme di azioni volto a raggiungere la libertà. Essa è inoltre un dovere: “La resistenza non rimane ad aspettare il consenso della nazione o del popolo; essa ha il dovere di prendere le armi e di assolvere quello della liberazione”[38].

Come nel caso delle azioni rivoluzionarie, alla fine la questione “non riguarda solo il sangue di un uomo, il destino di una donna, le ossa spezzate di un bambino o un pezzo di pane tolto dalla bocca di un povero o di un affamato. La questione riguarda il nostro popolo, la nostra nazione, il nostro destino, i nostri luoghi santi ed il nostro futuro” [39]. Detto altrimenti, il fine ultimo dell’azione politica non è la sola protezione dei vari diritti politici e civili degli individui, come afferma il pensiero liberale, e neppure l’allargare la partecipazione per ottenere maggiori diritti sociali ed economici, come nell’ottica socialista; il fine ultimo dell’azione politica riguarda il diritto collettivo della comunità dei credenti, il suo attraversare la storia nelle sue manifestazioni passate, presenti e future.

Infatti anche se la partecipazione di Hezbollah al sistema politico è generalmente conforme alle regole della democrazia liberale, le sue attività resistenziali non sono inquadrabili nelle norme liberali euroamericane cui è stato conferito valore universale, come il governo della maggioranza o il valore politico del pluralismo. Hezbollah ha dunque una concezione della libertà in cui la libertà positiva di controllare il proprio destino e di arrivare all’autodeterminazione supera la preoccupazione liberale per la libertà negativa, intesa come libertà dalle costrizioni e dalle pastoie provenienti dall’esterno. Dal momento che il concetto di libertà è strettamente associato al concetto di liberazione, il discorso politico del movimento è assai più permeato di questo che non del concetto di libertà in senso liberale, al quale Hezbollah fa riferimento, usando il plurale, come a “pubbliche libertà”. Il concetto di libertà nel senso di liberazione viene anche considerato sinonimo di democrazia, come dimostrato dalla risposta che Nasrallah ha dato al primo ministro dell’entità sionista Benjamin Netanyahu: “Questo gran ciarlatano ha detto che il milione di arabi che vivono in quello che lui chiama Israele sono gli unici a godere delle libertà e della democrazia. No, signor Netanyahu… Noi libanesi siamo uomini liberi in questo mondo. In Libano ci siamo guadagnati la libertà con il sangue…” [40]. Lo stesso concetto di libertà è quello cui Nasrallah fa riferimento quando definisce l’insurrezione egiziana come “la rivoluzione della povera gente, degli uomini liberi, dei cercatori di libertà, di coloro che respingono gli insulti e l’umiliazione… che sono il risultato della resa al volere degli Stati Uniti e dell’entità sionista” [41].

L’associazione tra la libertà da una parte, e l’oppressione e la liberazione dall’altra, è ancora più evidente se si ricorda di come il primo manifesto di Hezbollah, la “lettera aperta” del 1985, fosse rivolto “ai liberi uomini oppressi”. In un altro esempio, l’oppressione viene definita “libera” [42].

Da questa intercambiabilità dei concetti di libertà ed oppressione deriva il fatto che il concetto di libertà secondo il movimento si manifesta in piccola misura come ideale liberale di condizione di assenza di dittatura, ed in maggior modo come processo e come status indefiniti ed in continuo perfezionamento. Essere liberi non significa essere lasciati in pace, ma lottare continuamente in nome della giustizia. Per questo Hezbollah è intrinsecamente avversario delle sollevazioni liberali come quella siriana, che concentrano i loro sforzi sulla liberazione di se stesse dal controllo statale anziché sulla lotta contro il colonialismo statunitense e sionista.

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Amal Saad Ghorayeb è un’accademica libanese indipendente ed un’analista politica; è autrice del volume Hizbullah: Politics and Religion (Pluto Press, Londra, 2002). Al momento sta cercando materiali per un libro, in pubblicazione presso IB Tauris, sul sistema di alleanze iraniano in medio oriente. E’ stata visiting scholar al Carnegie Endowment’s Middle East Centre di Beirut e lecturer alla Lebanese American University.

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Note
[1] Nasrallah, Discorso per il Giorno della Resistenza e della Liberazione, Manar TV, Maggio 25, 2011

[2] Nasrallah, Al-Quds’ Day speech, Manar TV, 26 Agosto 2011

[3] Nasrallah, Discorso per il Giorno della Resistenza e della Liberazione, op cit.

[4] Nasrallah, Manar TV, 7 febbraio 2011

[5] Nasrallah, Manar TV, 29 dicembre 2008

[6] Bashar al-Assad, citato in SANA, 30 marzo 2011

[7] Nasrallah, Discorso per il giorno di Quds

[8] Ibid.

[9] Ibid.

[10] Ibid.

[11] Cfr. per esempio l’articolo di Lamis Andoni “The Delusions of Bashar Al Asad: the Myth of Resistance”, AlJazeera in lingua inglese, 3 aprile 2011

[12] Nasrallah, Discorso per il giorno di Quds, Manar TV, 22 settembre 2009

[13] Ibid.

[14] Nasrallah, Intervista a Manar TV, 24 Ottobre 2011

[15] Ibid.

[16] Nasrallah, Discorso per il Giorno della Resistenza e della Liberazione, op cit.

[17] Intervista a Qasim, AFP, 25 giugno 2009

[18] Nasrallah, Discorso per il Giorno della Resistenza e della Liberazione, op cit.

[19] Nasrallah, Intervista a Manar TV, 24 ottobre 2011

[20] Nasrallah, Discorso per il Giorno della Resistenza e della Liberazione, op cit.

[21] Ibid.

[22] Nasrallah, Intervista a Manar TV, 24 Ottobre 2011

[23] “Bashar Assad Must Resign: Israeli President Shimon Peres,” The Huffington Post, 26 luglio 2011
[24] “Barak: Assad’s Fall Would Deal Severe Blow to Iran,” Naharnet, 20 giugno 2011

[25] Cfr. Amal Saad-Ghorayeb, Hizbullah: Politics and Religion, pp.16-22

[26] Ibid, p.134

[27] Cfr. Saad-Ghorayeb, pp.23-24

[28] Nasrallah, Intervista a Manar TV, 24 ottobre 2011

[29] “Syria Accuses U.S. Of Inciting Violence Against Army,” The Daily Star, 29 settembre, 2011

[30] Cfr. per esempio il presidente del Consiglio Nazionale Siriano, Burhan Ghalioun, Citato in “Syria hails ‘historic’ Russia, China vetoes”, AFP, 4 ottobre 2011

[31] “Syrian Defector Urges Aid For Armed Opposition Group,” AFP, 10 ottobre 2011

[32] Nasrallah, Manar TV, 7 febbraio 2011

[33] Nasrallah, Interview, Manar TV, 24 ottobre 2011

[34] Ibid.

[35] Ibid.

[36] Nasrallah, 19 March 2011

[37] Nasrallah, Manar TV, 16 febbraio 2011

[38] Nasrallah, Manar TV, 26 maggio 2008

[39] Nasrallah, Manar TV, 7 febbraio 2011

[40] Nasrallah Manar TV, Discorso per il Giorno della Resistenza e della Liberazione, op cit.

[41] Nasrallah, Manar TV, 7 febbraio, 2011

[42] Citato in Saad-Ghorayeb, p.19

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Traduzione a cura di Islamshia.org © E’ autorizzata la riproduzione citando la fonte

Writer : shervin | 0 Comments | Category : Attualità, politica e società

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