Riflessioni di S. Nasrallah su un grande gnostico: l’Ayatullah Bahjat
Quella che presentiamo di seguito è la traduzione integrale (la prima, per quanto ci risulti, in lingua occidentale) dell’intervista rilasciata il 3 aprile 2016 dal Segretario Generale di Hezbollah, Seyyed Hassan Nasrallah, sul legame che lui e il movimento di Resistenza Islamica libanese avevano con uno dei più grandi gnostici e maestri spirituali contemporanei, Shaykh Bahjat.
Ass. Islamica Imam Mahdi (AJ)
“L’Ayatullah Bahjat in realtà era un padre spirituale, noi lo vedevamo come tale e dopo la scomparsa dell’Imam Khomeyni lo diventò a tutti gli effetti. E quando abbiamo visto l’assiduità con cui la nostra Guida e Wali Amr, ovvero il Grande Ayatullah Khamenei (che Dio lo protegga), incontrava questo nobile Shaykh (sia preservato il suo segreto), per trarne lezioni, porre domande e usufruire della sua presenza e consigli, per noi, suoi seguaci e combattenti, è diventato chiaro come ciò fosse anche il nostro dovere. Conseguentemente, dopo la scomparsa dell’Imam Khomeyni, questo rapporto spirituale e paterno si rinsaldò enormemente.”
Intervistatore: La pace, le benedizioni e la misericordia di Dio discendano su di voi. Ci troviamo oggi con Seyyed Hassan Nasrallah (che Dio lo protegga), il Segretario Generale di Hezbollah. Questa intervista cercherà di approfondire la personalità dell’eminente gnostico Grande Ayatullah Muhammad Taqi Bahjat (sia preservato il suo segreto), una persona dalle rare virtù spirituali e intellettuali. Qui tratteremo della sua vita e del suo rapporto con il Segretario Generale di Hezbollah. Nobile Seyyed, potrebbe parlarci dell’anno in cui ha conosciuto questo grande gnostico e di come ha fatto la sua conoscenza?
S.H. Nasrallah: Col Nome d’Iddio Clemente e Misericordioso. Accadde all’incirca nel 1985, in un periodo in cui con alcune delegazioni ci recavamo nella Repubblica Islamica dell’Iran. Il sottoscritto aveva venticinque o ventisei anni. Erano presenti i dirigenti di Hezbollah dell’epoca per discutere del Libano, della regione e delle questioni della Resistenza libanese con i fratelli della Repubblica Islamica. Nel primo viaggio, avendo poche e limitate informazioni su Qom, chiedemmo ai fratelli iraniani se fosse possibile visitare la città santa e quale personalità valesse la pena incontrarvi. Uno dei fratelli rispose con particolare enfasi che, andando a Qom, sarebbe stato doveroso incontrare l’Ayatullah Shaykh Bahjat (la misericordia di Dio sia su di lui e sia preservato il suo segreto). Era l’epoca in cui l’Imam Khomeyni era vivo. La prima volta che ci recammo da lui facevo parte di una delegazione di responsabili di Hezbollah ed ero il più giovane fra di loro. Con noi era presente anche il martire Seyyed Abbas al-Musawi (che Dio lo abbia in misericordia). Shaykh Bahjat accettò di incontrarci cosicché ci accomodammo alla sua presenza. Sin dal primo incontro fui colpito a tal punto dalla sua magnificenza che il sottoscritto, come molti altri fratelli, dimenticò completamente le domande che aveva in mente di porgli. Durante buona parte dell’incontro egli rimase in silenzio osservandoci, senza che noi riuscissimo a sostenerne lo sguardo; poi d’un tratto il martire Seyyed Abbas o un altro dei fratelli, adesso non ricordo precisamente, gli chiese di donarci un consiglio. Lo Shaykh, facendo riferimento alle raccomandazioni presenti nell’opera “Kheirkhah”, sottolineò la necessità di: applicare ciò che ben conoscevamo, astenerci dal peccato, fare la Preghiera all’inizio del tempo stabilito, recitare assiduamente le salawat (invocare la benedizione sul Profeta Muhammad e la sua Famiglia) e fare l’istighfar (chiedere perdono a Dio); questo è ciò che ricordo. Tali consigli furono ripetuti anche negli incontri successivi. Così ebbe inizio della nostra conoscenza diretta. Ogni anno, o ogni due anni, sotto forma di delegazioni ufficiali, partivamo per questi viaggi e, una volta arrivati a Qom, ci sentivamo in obbligo di incontrarlo. Pur non essendo sempre presente perché talvolta a Mashhad, la maggior parte delle volte in cui era a Qom abbiamo avuto l’onore di incontrarlo.
Intervistatore: Nobile Seyyed, quale era il motivo che vi ha avvicinato così tanto a Shaykh Bahjat e che ha ingenerato un affetto così profondo nei vostri confronti? Le chiedo questo perché era ben noto quanto egli si schermisse dalla fama e dai media pur essendo un’inesauribile fonte di conoscenza.
S.H. Nasrallah: Forse non sarà fuori luogo parlare di un precedente storico. Argomenti come l‘irfan (1), il sayr wa suluk e il sayr ma’nawi (2) non erano molto diffusi tra i talabeh (studiosi di scienze islamiche) libanesi avendo essi studiato per la maggior parte a Najaf e in lingua araba; ad eccezione di pochi sapienti libanesi nessuno aveva familiarità con i sapienti iraniani di lingua persiana e con coloro che insegnavano in persiano. Coloro che studiavano nella Hawzah [seminario teologico sciita] in Libano non prestavano alcuna attenzione a questi argomenti prediligendo scienze quali fiqh (giurisprudenza), usul [al-fiqh] (principi di giurisprudenza), hadith, kalam (teologia) , tafsir (esegesi del Corano), ecc., insomma erano completamente estranei a questioni come l’‘irfan, il seyr suluk o anche la filosofia. Questo fino alla vittoria della Rivoluzione Islamica in Iran e al sorgere del sole dell’Imam Khomeyni sul mondo. L’Imam non viveva più nascosto nella nobile Najaf e noi tutti potemmo beneficiare della sua personalità. Posso senza dubbio affermare che in quel periodo il rapporto che legava i cuori dei musulmani, soprattutto quello dei giovani credenti e combattenti, all’Imam Khomeyni, era diretto e senza intermediari. Nessuno può dichiarare che io abbia fatto conoscere l’Imam [Khomeyni] alla gente. Si trattava di una conoscenza diretta. E’ appunto per questo che io parlo del “sorgere del sole dell’Imam”, allo stesso modo in cui tra le persone e il Sole non vi è alcun intermediario. Noi abbiamo conosciuto l’Imam, ammirato la sua personalità e abbiamo capito chi egli fosse: un grande gnostico, autore di numerose opere nel campo della gnosi (‘irfan), dell’etica (akhlaq) e del seyr suluk. E attraverso l’amore per l’Imam ci innamorammo di questa Via e di ogni briciola di sapienza e conoscenza che la riguardasse. Eravamo in cerca di una guida spirituale affidabile in tutto e per tutto: come tutti sanno, in quel periodo alcuni personaggi discutibili attribuivano a se stessi il raggiungimento delle più elevate stazioni spirituali autonominandosi maestri ed aprendo una sorta di vero e proprio “mercato” religioso; in realtà tutto ciò è assai pericoloso, è un sentiero costellato di insidie diaboliche: stiamo pur sempre parlando del futuro nell’aldilà, della retta religione, della salute dell’anima e del rapporto con Dio; anche un minimo errore in questo ambito potrebbe rivelarsi fatale se non addirittura irrecuperabile. Da qui la necessità di una guida di cui non solo si abbia fiducia, ma certezza (yaqin). Una persona sulla quale non avere alcun dubbio; una persona che, sedutasi a discutere con voi, vi prenda per mano e vi conduca verso Iddio Altissimo. E’per questo che io e molti dei fratelli con cui operavo prima della Rivoluzione, non essendo mai stati in Iran e non conoscendo i sapienti iraniani, decidemmo di chiedere indicazioni ai collaboratori dell’Imam Khomeyni: da chi recarci? Chi ascoltare? Da chi ricevere consigli? Loro ci indicarono lo Shaykh Bahjat. Quando andammo da lui, quel primo incontro fu sufficiente per esserne conquistati nei cuori e nelle anime. Tutti i fratelli presenti quel giorno ebbero la medesima sensazione.
Intervistatore: Quale era il motivo di quest’attenzione particolare e del sentirsi a suo agio con lei?
S.H. Nasrallah: Non mi sono fatto un’idea precisa al riguardo. Certo io e tutti fratelli di Hezbollah siamo onorati di questo. Per ciò che abbiamo potuto constatare, quando lo informarono del nostro imminente arrivo egli non aveva alcun elemento di conoscenza su di noi né come gruppo, né singolarmente. Ufficialmente andavamo ad incontrarlo come responsabili di un’organizzazione che, combattendo contro Israele, praticava il Jihad sulla Via di Dio. Intuimmo immediatamente che lo Shaykh avesse accettato di riceverci in virtù della nostra incrollabile fede nel Movimento Islamico credente e combattente e nella Guida dell’Imam Khomeyni. Credo sia così. Quando ci sedevamo alla sua presenza lo vedevamo a suo agio. A volte può accadere di trovarsi in presenza di qualcuno che, dopo un po’, si stanchi di parlarci e con gesti eloquenti ci comunichi che il tempo a disposizione è finito. Con lui questo non accadeva mai: ci si sedeva per discutere e quando i fratelli avvertivano che l’incontro si fosse prolungato oltre il necessario eravamo noi stessi ad alzarci. Ricordo che in questi incontri eravamo soli con lui. Quando entravamo nella sua stanza nessun altro aveva il permesso di assistervi. Ovviamente ho avuto anche il privilegio di potergli parlare a tu per tu. Io mi recavo a Qom, tramite amici chiedevo un colloquio privato e lui accettava. A volte portavo con me anche dei talabeh libanesi affinché traessero beneficio dalla sua presenza.
Intervistatore: Nobile Seyyed, come valuta l’influenza dello Shaykh Bahjat sulla sua persona e sulla sua vita?
S.H. Nasrallah: Io e alcuni fratelli libanesi avevamo molta sete di conoscenza, di sapienza, eravamo ansiosi di percorrere il sentiero spirituale. Ovviamente non mancavamo di un bagaglio di letture al riguardo, ma l’esistenza di qualcuno con il quale potersi confrontare, che ti faccia crescere, qualcuno di autorevole e completo che abbia raggiunto [Dio] e che abbia percorso tutti gli stadi spirituali, qualcuno dotato di sapienza, conoscenza ed esperienza, che non parli soltanto attraverso il pensiero speculativo ma che abbia percorso realmente il sentiero, fa sì che l’insegnamento sia parola viva che, penetrato il cuore, lo ricolmi rendendolo fecondo. Noi ascoltavamo le sue parole e tentavamo di applicarle nei limiti delle nostre capacità. I suoi insegnamenti erano per noi una ricchezza spirituale incalcolabile e [dopo ogni incontro] per un lungo periodo potevamo gustarne i sapidi frutti fatti di tranquillità, fiducia e sicurezza. Forse furono proprio queste caratteristiche a manifestarsi in Hezbollah ed a far sì che, nonostante tutte le difficoltà, continuassimo sempre ad avanzare. Come noto una delle caratteristiche di Hezbollah è il Tawakkul (riporre fiducia totale in Dio), la fiducia nelle promesse divine, la certezza dell’aiuto di Dio, il rifugiarsi in Lui, il chiedere il Suo aiuto e il Tawassul (cercare l’intercessione presso Dio degli Intimi di Dio). E questi sono tutti concetti che noi, sotto forma di frasi semplici, ascoltavamo dallo Shaykh. Frasi che ripeteva a tutti e che noi, ripeto, cercavamo di applicare in base alle nostre capacità. Posso dire senza ombra di dubbio che, per tutto periodo passato, la nostra principale fonte spirituale fu lui.
Intervistatore: Lo Shaykh Bahjat ha avuto una qualche influenza su Hezbollah e in particolare sulla Resistenza, e in caso affermativo, in che misura? Potrebbe parlarcene?
S.H. Nasrallah: I principali responsabili di Hezbollah, ogni volta che ne avevano l’occasione, si recavano a visitarlo. Ovviamente non vi era la possibilità di inviare gruppi numerosi di militanti, d’altronde anche il tempo e la situazione non lo permettevano. Inoltre non avremmo voluto arrecargli eccessivo disturbo. Ma quando avveniva un incontro, di ritorno in Libano trasmettevamo subito i suoi consigli ai quadri di Hezbollah consapevoli che costoro vi avrebbero prestato assoluta attenzione. Altre volte capitava che, tramite alcuni fratelli libanesi studenti a Qom o mediante nostri fratelli iraniani presenti in Libano di provata fiducia, ci venissero trasmessi consigli e ammonimenti da parte sua. I fratelli prendevano nota dei punti e dei consigli dello Shaykh e insistevano nel metterli in pratica. L’Ayatullah Bahjat in realtà era un padre spirituale, noi lo sentivamo come tale, e dopo la scomparsa dell’Imam Khomeyni lo diventò a tutti gli effetti. E quando abbiamo visto l’assiduità con cui la nostra Guida e Wali Amr, ovvero il Grande Ayatullah Khamenei (che Dio lo protegga), si incontrava con questo nobile Shaykh (sia preservato il suo segreto), per trarne lezioni, per porre domande e per usufruire della sua presenza e consigli, per noi, suoi seguaci e combattenti, è diventato chiaro come ciò fosse anche il nostro dovere. Conseguentemente, dopo la scomparsa dell’Imam Khomeyni, questo rapporto spirituale e paterno si rinsaldò enormemente.
Intervistatore: Nobile Seyyed, negli incontri che ha avuto con Shaykh Bahjat, che genere di consigli riceveva? Ce ne parli nei limiti del possibile.
S.H. Nasrallah: In parte si trattava di consigli personali, in risposta alle nostre stesse richieste. Negli incontri che tenevamo, io o gli altri fratelli che prima di me ricoprivano incarichi di responsabilità, cercavamo di fargli un breve rapporto sulla situazione del Libano, dei credenti e della Resistenza. Egli ascoltava con attenzione e a volte interveniva con consigli e direttive. Riponeva ad esempio enfasi sull’importanza della fede, della conoscenza della religione e sull’operare in questa direzione. Ovviamente questi aspetti sono stati inseriti all’interno del programma di lavoro di Hezbollah. Per esempio, a livello economico, ci ha consigliato come precauzione di riservare sempre una parte dei fondi per i “giorni difficili”: abbiamo sempre seguito questo suo suggerimento e continuiamo a farlo ancora adesso. Gli altri consigli erano personali ed attenevano per esempio alla Ziyarat (la visita alle tombe dei Profeti, degli Imam e degli altri Intimi di Dio, ndt), agli atti di adorazione (ibadat) ed al prestare attenzione allo studio. Per esempio, a me e ad alcuni fratelli, consigliava caldamente lo studio, l’insegnamento, ecc. Noi come è ovvio cercavamo di farlo anche quando, a causa della situazione contingente, ciò risultasse difficilmente praticabile. E’ ad esempio vero che io non possa studiare o insegnare nel senso classico della parola, ma è altrettanto vero dedichi parte del mio tempo, oltre alla lettura delle opere scientifiche di cui ho bisogno, allo studio delle opere classiche e recenti della Hawzah. Inoltre, grazie al computer, ascolto le lezioni della Guida (Imam Khamenei) e degli altri Marja (3); insomma cerchiamo cioè di mantenere il nostro legame con l’ambiente della Hawzah. Questo era uno dei consigli ricorrenti durante i nostri colloqui.
Intervistatore: Sappiamo che Shaykh Bahjat vi inviò due messaggi. Può parlarci del loro contenuto?
S.H. Nasrallah: Non posso dimenticarlo. Alcuni mesi prima della guerra dei 33 giorni [scatenata nel luglio del 2006 da Israele contro il Libano e Hezbollah], un fratello libanese che studiava presso la Hawzah di Qom venne da me riferendomi che l’Ayatullah Bahjat (che Iddio preservi il suo segreto) mi consigliava di recitare il seguente Dhikr tre volte al mattino e tre volte alla sera: (اللهم اجعلني في درعك الحصينة التي تجعل فيها من تريد – Allahumma jalni fi Darikal hasina hallati tajalu fiha man turid– O mio Dio, ponimi al riparo col Tuo saldo scudo col quale proteggi chiunque Tu desideri).
Chiesi se vi fosse un qualche motivo particolare per questo, ma egli mi rispose di non saperlo: aveva solamente l’incarico di trasmettermi il suddetto messaggio. Effettivamente la natura di questo Dhikr ha a che fare con la protezione, e poiché è noto che noi membri e dirigenti di Hezbollah siamo costantemente sotto minaccia di morte – come accaduto col precedente Segretario Generale di Hezbollah Seyyed Abbas al-Musawi, con sua moglie ed il loro figlioletto – è logico sentirsi costantemente in pericolo. Ma perché mai trasmettere quello specifico Dhikr proprio in quel momento? Ho pensato vi fosse qualche motivo preciso, legato a questioni di sicurezza o alla possibilità di attentati. Dopo pochi mesi però la guerra ebbe inizio e, sin dal primo giorno, gli israeliani cercarono di trovarmi con tutti i mezzi a loro disposizione colpendo qualsivoglia obiettivo ritenessero un mio potenziale rifugio. Secondo quanto affermato da loro stessi, alcuni bombardamenti furono particolarmente intensi a seguito di specifiche informazioni che individuavano la mia presenza in questo o quell’edificio. Fu così che compresi che quello specifico Dhikr non mi fu suggerito per motivi di sicurezza legati a situazioni precedenti ma bensì come scudo e protezione durante il conflitto imminente.
E’ noto a tutti come durante la guerra la situazione fosse estremamente difficoltosa: la maggioranza delle potenze occidentali erano unite nel preciso intento di eliminarci, di comune accordo con altrettanti paesi della regione favorevoli al conflitto ed al nostro annientamento. Persino all’interno della società libanese vi erano divergenze, al punto che taluni, pur non dichiaratamente schierati con il nemico, ci criticavano negandoci il loro sostegno. Ci sentivamo soli (gharib) e circondati. In base ai calcoli e alle previsioni materiali, politiche, militari e logistiche esistenti sembrava quasi impossibile parlare di vittoria; in quei giorni la maggioranza di noi pensava che più che come la battaglia di Badr o di Khaybar (4) sarebbe finita come [la battaglia di] Karbala.
Ma qui voglio parlare di due eventi storici legati a due persone: il primo riguarda l’Ayatullah Bahjat, che nei primi giorni della guerra mi inviò un messaggio nel quale ci invitava a rimanere tranquilli poiché sicuramente, a Iddio piacendo, saremmo usciti vittoriosi dal conflitto. Ovviamente questo ci infuse un coraggio sovrumano frutto della fede incondizionata che riponevamo in lui: in realtà non v’era la benché minima speranza all’orizzonte, figuriamoci il pensiero della vittoria! Così trasmisi immediatamente questo messaggio ai dirigenti di Hezbollah ed ai combattenti al fronte.
Il secondo evento è legato alla nostra Guida, Seyyed Khamenei, che nella prima settimana di guerra mi inviò un messaggio nel quale diceva: ‘Questa guerra è molto simile a quella di Ahzaab (“Quando vi assalirono dall’alto e dal basso, si offuscarono i vostri sguardi: avevate il cuore in gola e vi lasciavate andare ad ogni sorta di congettura a proposito di Dio”, Corano, 33:10), ma affidatevi a Dio, sarete vittoriosi in questa guerra, e diventerete una potenza nella regione.”
A colui che ci ebbe trasmesso questo messaggio dissi scherzando che ci bastava uscirne vivi!
Questi due messaggi recanti così buoni auspici furono fonte di una così intensa ispirazione emotiva, religiosa e spirituale, che, nonostante tutto fosse contro di noi, continuammo a combattere con irriducibile certezza nella vittoria finale.
Intervistatore: L’Ayatullah Shaykh Bahjat, dopo il martirio di suo figlio e contrariamente alle sue abitudini, le ha inviato un messaggio di condoglianze. Potrebbe accennarci al suo contenuto.
S.H. Nasrallah: Non ricordo i dettagli; in quei giorni ero particolarmente sotto pressione ed al contempo ricevevo molti messaggi. Posso dirle però che, trascorso quel periodo, una volta tornato a Qom, sono andato a trovarlo e l’ho ringraziato caldamente per quella sua attenzione paterna.
Intervistatore: Come è venuto a sapere della scomparsa dell’Ayatullah Shaykh Bahjat e quale effetto ha provocato in lei questa notizia?
S.H. Nasrallah: Ovviamente la notizia ci ha profondamente commossi; per noi si è trattato di una perdita incalcolabile: da una parte lo sentivamo come una pura sorgente alla quale poterci ristorare in qualsiasi momento e dall’altra percepivamo la sua sola esistenza come un’inesauribile fonte di benedizioni per la nostra causa. Se anche si fosse limitato a pregare per noi, per i credenti e per i combattenti, ciò sarebbe stato comunque un preziosissimo sostegno spirituale, e ora sappiamo di averlo perso. Ciò che ha alleviato il dolore di questa perdita è la certezza che la sua vita, la sua preghiera e le sue attenzioni per i credenti e per coloro che lo hanno amato saranno più utili dall’altro mondo.
Intervistatore: Nobile Seyyed, è stato mai testimone di qualche prodigio (karamat) dell’Ayatullah Shaykh Bahjat? E in caso positivo, potrebbe raccontacene qualcuno.
S.H. Nasrallah: Mi ricordo di due storie al riguardo che hanno a che fare entrambe con l’istikhara (5). La prima storia è per me molto importante. Nel 1989, dopo la scomparsa dell’Imam Khomeyni e il succedergli nella funzione di Guida [dei Musulmani] dell’Imam Khamenei, nell’organizzazione di Hezbollah non esisteva ancora l’incarico di Segretario Generale. Avevamo un Consiglio che non aveva un capo ma soltanto un segretario. I fratelli, a quell’epoca, anche su consiglio della Guida Suprema, erano giunti alla conclusione che Hezbollah dovesse dotarsi di un Segretario Generale che potesse assumersi le responsabilità, parlare con la gente e incontrare i responsabili. Ovviamente il Segretario Generale non è la Guida di Hezbollah, ma possiede comunque una sua autorità e dirige il movimento. In base alla gerarchia, egli è la prima persona da consultare ed a cui fare riferimento ed è inoltre colui che predispone l’applicazione delle decisioni del Consiglio Direttivo. Si trattava di una novità e la situazione in Libano era molto delicata. Non stiamo parlando di un’attività sociale, culturale o di propaganda; stiamo parlando di guerra, di uccisioni, di sangue, di distruzioni, di lotte intestine e gravi crisi politiche. In quel giorno abbiamo tenuto una riunione a Teheran e i fratelli si sono accordati su questa decisione. Io ero il più giovane fra i presenti; alcuni di essi erano addirittura miei maestri nelle lezioni della Hawzah. L’idea era la seguente: che uno dei fratelli più conosciuti si assumesse questa responsabilità. O il martire Seyyed Abbas o Shaykh Sobhy Tufayli o…ma a seguito di una riunione fra di loro giunsero alla conclusione di proporre la nomina alla suddetta carica al sottoscritto. Essi vennero da me intimandomi di accettarla. Io risposi di non potere, sia perché troppo giovane ed inesperto sia perché fra di loro vi erano persone ben più degne ed autorevoli. Mi sto dilungando su questi dettagli per dimostrarvi come la risposta dello Shaykh Bahjat fu decisiva. Spiegai come alcuni di loro fossero miei insegnanti, rivelando il mio profondo imbarazzo nel dirigere un Consiglio o movimento che li annoverasse quali membri o responsabili. Dissi che non ero in grado dal punto di vista personale, etico ed emotivo, né degno di tale responsabilità. Essi insistettero molto e pertanto affermai: “la mia paura è che qualora accettassi questo incarico voi mi abbandonerete e – questo è il punto importante – ognuno di voi si dedicherà alle proprie faccende: chi curerà le sue cose nel proprio ufficio e chi a casa sua, ed io mi ritroverò da solo nel mare dei problemi senza alcuna possibilità di riuscita.” Essi promisero di aiutarmi, di stare al mio fianco e di non abbandonarmi. Mi dissero: “Tu accetta”. Io non accettai. Discutemmo per delle ore, al termine delle quali mantenni il mio intento: “E’ impossibile.”. Noi credenti, come è noto, soprattutto tra talabeh, abbiamo le nostre soluzioni; si decise così di ricorrere all’istikhara. In sostanza dichiararono che si sarebbe rimasti seduti lì finché non avessi accettato l’incarico e che, se non lo avessi accettato, avrei dovuto fare l’istikhara e seguirne il responso. Tutti noi chiediamo da Dio il bene. Anche io ritenni l’istikhara una soluzione praticabile, anche perché io volevo fuggire quella responsabilità e loro volevano spingermi ad accettarla. Cosicché uno di essi si alzò e disse: “Prendiamo una copia del Corano e facciamolo.” Io risposi prontamente: “No, si tratta di una questione fin troppo delicata: non posso accettare la vostra istikhara.” Accolsero la mia obiezione proponendomi di farla personalmente; anche in questo caso rifiutai. Ne discutemmo sino a mezzanotte. Allora proposi: “Stasera manderò uno dei fratelli a chiedere a Shaykh Bahjat di fare l’istikhara in mia vece.” Ovviamente non rivelai nulla né dell’argomento né dei suoi risvolti. Presi contatto a Qom con il fratello che quasi sempre ci accompagnava nelle nostre visite all’Ayatullah Bahjat e che lo Shaykh ben conosceva. Come già ho detto, mantenni l’assoluto riserbo riguardo alla questione ma, poiché i fratelli aspettavano una mia risposta entro la mattina, gli chiesi il favore di raggiungere per la Preghiera dell’Alba la moschea in cui l’Ayatullah Bahjat guidava la Preghiera, di porgergli i miei saluti e di chiedergli di fare l’istikhara per me riguardo a una questione di vitale importanza. Soltanto questo. Il fratello che faceva da tramite era ignaro di ogni cosa e non avrebbe potuto neanche immaginarla. Pensava si trattasse di una mia faccenda personale. Si recò dallo Shaykh, pregò dietro di lui, quindi gli chiese di fare l’istikhara. Mi contattò prima del sorgere del sole comunicandomi con i saluti dello Shaykh il seguente inusuale responso: “Non accettare la proposta. Alcuni di coloro che ti promettono di aiutarti e di rimanere al tuo fianco non lo faranno.” Certo mi aspettavo una risposta circostanziata da parte sua ma non fino a questo punto: era come se avesse presenziato alla nostra riunione! Quando vennero a chiedermi il responso dell’istikhara esposi l’intero contenuto della risposta senza omettere alcunché e cioè: che mi avrebbero abbandonato nonostante le promesse di lealtà e che i patti non sarebbero stati rispettati; da ciò il consiglio di non accettare assolutamente l’incarico. Rivelai tutto senza reticenze affinché coloro che facevano promesse senza l’intenzione di mantenerle sapessero che erano stati individuati dallo Shaykh. Riferito tutto ciò costoro naturalmente rimasero sorpresi e la discussione si concluse lì. Questo è l’esempio di un episodio accadutomi personalmente. Vorrei solo aggiungere questo: ciò che mi è successo dopo, e tutta la situazione e gli eventi accaduti in Libano, e quanto è successo all’interno e contro Hezbollah, testimoniano quanto il responso di questa istikhara fosse corretto. Gli eventi accaduti in seguito hanno cioè dimostrato che il bene mio, della religione, di questo mondo e dell’altro era nella risposta di quella istikhara.
La seconda storia riguarda uno dei nostri amici e fratelli; egli era uno studioso religioso molto scettico riguardo a queste cose; una volta, venuto a trovarmi a Qom, seppe che stavo per recarmi in visita dallo Shaykh Bahjat. Mi chiese se potesse unirsi a me. Gli risposi: “Va bene, ma visto che non è in programma, potrai entrare solamente se lui accetta.” Entrò con noi e alla fine dell’incontro chiese allo Shaykh Bahjat di fare un’istikhara per lui. Io ero presente mi accorsi che lo Shaykh la fece in modo sbrigativo. Recitò due o tre frasi, prese il Corano, lo aprì e quindi disse: “Non andare dove avevi intenzione di andare. Le persone da cui ti vuoi recare non ti accoglieranno e ti renderanno triste. Non fare questo viaggio.” Questo fratello, di carnagione bianca e non olivastra come la mia, diventò completamente rosso per la profonda sorpresa. Una volta usciti dalla casa dello Shaykh gli chiesi: “Cosa è successo?” ed egli rispose: “Allah’u Akbar! Allah’u Akbar! Io non credevo in queste cose. Sai quale era il soggetto dell’istikhara?” Ho risposto di no. Ha detto: “Volevo andare in un tale paese occidentale e rimanere lì per un mese ospite di alcuni parenti durante il Ramadan e per fare tabligh (6). Ero in dubbio se mi avrebbero accolto o meno. Sapevo che mi avrebbero ospitato per qualche giorno, ma non sapevo se lo avrebbero fatto per un mese intero. Questa era la mia preoccupazione. Lui non ha letto un versetto del Corano, ma ha letto la mia intenzione ed ha risposto alle mie paure, dubbi e domande.” Questo è un altro degli episodi ai quali potei assistere personalmente.
Intervistatore: Sappiamo che lei ha un’ampia conoscenza dei differenti metodi gnostici. Quale è la caratteristica particolare del metodo dello Shaykh Bahjat rispetto agli altri?
S.H. Nasrallah: In tutti i consigli e gli avvertimenti che abbiamo potuto udire dallo Shaykh Bahjat non c’era volta che non pronunciasse “Dice Dio…Dice il Profeta….Dice il Comandante dei Credenti [l’Imam ‘Ali, ndt]…”. Ogni suo pensiero faceva sempre e comunque riferimento agli Infallibili. Personalmente, in tutti gli incontri che ho avuto con lui, non ho mai sentito che dicesse “questo filosofo o questo gnostico ha detto questo o quello”. Suoi unici fondamenti erano il Libro di Dio, le Tradizioni del Messaggero di Dio e la Pura Ahl-al-Bayt. Ciò dimostra quanto la sua “scuola” sia pura, limpida, originale, priva di qualsivoglia di superfluo o deviato; per il credente una rara opportunità di potersi abbeverare alla fonte originaria. Un ulteriore aspetto del suo insegnamento consisteva nella chiarezza, nella totale assenza di complessità. Egli non indulgeva mai in spiegazioni prolisse né apriva discussioni su argomenti intellettualistici di cui si potesse più o meno venire a capo. Semplicemente era come se vi prendesse per mano e vi dicesse: ‘Questa è la Via’. Semplificava le cose. Abbiamo sentito molte volte la frase: “La nostra è una religione semplice”. Ebbene nella sua opera “KheirKhah” lo Shaykh Bahjat ci raccomanda vivamente di fare cose semplici e note, molto facili da comprendere. Il sapiente, il filosofo, il giurisperito, il talabah talentuoso, la persona semplice, il commerciante, il contadino, il giovane, il combattente al fronte, tutti possono capirlo. Si tratta di indicazioni facili da applicare e del tutto dipendenti dalla nostra volontà e costanza. Per questo la scuola di seyr suluk e gnosi dello Shaykh Bahjat è per tutti, non solo per le élite o per coloro che abbiano raggiunto alti livelli di conoscenza e studi nella Hawzah; purtroppo però molto spesso la gente comune viene privata della benedizione di questo grande sentiero divino.
Intervistatore: E’ noto che lo Shaykh Bahjat avesse raggiunto altissime stazioni spirituali e compisse numerosi prodigi contemporaneamente in luoghi e momenti distinti, a tal punto che l’Imam Khomeyni affermò lui possedesse il potere della “morte volontaria” (7) e la Guida [Imam Khamenei] lo descrivesse come una fonte infinita di benedizioni divine. Persino gli scettici nelle questioni occulte o coloro cui risultasse difficile credervi, ammettevano la veridicità dei grandi prodigi attribuitigli in vita. Secondo lei perché l’Ayatullah Bahjat raggiunse queste stazioni potendo compiere così straordinari prodigi?
S.H. Nasrallah: Sono troppo piccolo e inadeguato per rispondere ad questo genere di domande. Non lo so.
Intervistatore: Nobile Seyyed, l’Ayatullah Mesbah [Yazdi] e altri illustri testimoni raccontano che l’Imam Khomeyni si recò più volte a casa dello Shaykh Bahjat per rimanervi anche più di due ore: come è noto, raramente l’Imam andava a casa di qualcuno – e lo Shaykh Bahjat costituiva una delle pochissime eccezioni. Anche la Guida Seyyed Khamenei si recava spesso da Teheran a Qom per incontrarlo. Inoltre sembra che la Guida ricorresse ai consigli dello Shaykh non soltanto per argomenti religiosi o spirituali, ma anche riguardo a temi politici, consultandolo sulle grandi questioni concernenti il benessere e la sopravvivenza della Ummah Islamica. Come descriverebbe questo rapporto?
S.H. Nasrallah: Il loro rapporto, come avete già dichiarato, era noto a tutti, ed è probabile che col passare del tempo molti dei dettagli caratteristici di questo loro legame speciale diventino ancora più chiari. Certamente sia l’Imam, sia la Guida hanno sempre mantenuto un profondo riserbo al riguardo; comunque il fatto che essi, ricoprendo incarichi così onerosi, sovente ricorressero al sostegno dello Shaykh è inoppugnabile prova di quanta fiducia riponessero in lui e nel suo livello spirituale.
Intervistatore: Nobile Seyyed, come valuta il rapporto dello Shaykh Bahjat, in quanto gnostico, con la società? Perché la gente comune generalmente ritiene un arif completamente distaccato dal consorzio umano e dai suoi problemi, mentre nel caso dello Shaykh Bahjat possiamo rilevare il contrario? Come valuta questo suo interesse per questioni del vivere mondano?
S.H. Nasrallah: Anche questa è una delle caratteristiche peculiari del nobile Shaykh Bahjat; egli non visse mai per se stesso, ogni suo conseguimento interiore era consacrato alla salute del prossimo. Lui accoglieva tutti e parlava con tutti: piccoli, grandi, sapienti, gente comune, seminaristi, ecc. Andavano a porgli domande e lui, col sorriso, con affetto e con pazienza rispondeva a tutti: una chiara dimostrazione d’amore del nobile Shaykh per le persone. E si trattava di un amore reciproco; un affetto che, intimamente vissuto dalla maggior parte dei credenti, trovava corrispondenza nell’inesauribile amore, rispetto, sentimento paterno e attenzione che albergavano il cuore dello Shaykh. Egli rispondeva alle loro domande, risolveva le questioni e pregava per il loro bene. Solitamente una persona che ripeta più volte la stessa cosa tende a stancarsi ma questo non valeva per il nobile Shaykh: nonostante l’età avanzata, la malattia, o qualunque altro genere di umana afflizione, egli era instancabile e ricco di premura nell’indicare il retto cammino a coloro che lo interrogassero. Ciò dimostra anche il grande senso di responsabilità che lo Shaykh nutriva verso la Ummah. A volte si ritiene che il nobile Shaykh non desse particolare rilevanza a taluni aspetti della politica ma, qualora si indagasse a fondo la realtà, si intuirebbe come la sua posizione trascendente e spirituale fosse consacrata ad una funzione del tutto diversa da quello che ci si sarebbe aspettati dagli ordinari sapienti e insegnanti. Il nobile Shaykh ha svolto questo ruolo nel migliore dei modi e sono sicuro che il tempo svelerà molti retroscena di cui a tutt’oggi siamo del tutto ignari. Probabilmente molti dei cambiamenti sotto i nostri occhi, da noi superficialmente attribuiti a fattori immanenti, altro non furono che il frutto benedetto delle preghiere, delle lotte interiori e dell’amorevole dedizione dello Shaykh Bahjat.
Intervistatore: Quale è la sua idea, come capo della Resistenza in Libano, dell’importanza dell’‘irfan e il suo rapporto con le questioni spirituali della Resistenza in tutto il mondo arabo e in particolare con Hezbollah?
S.H. Nasrallah: Posso affermare che in realtà, se non fosse per l’aspetto spirituale e sapienziale, la Resistenza in Libano non sarebbe esistita né tanto meno avrebbe potuto diffondersi nella regione. Se tornassimo indietro e risalissimo a quando la Resistenza ebbe inizio, cioè nel 1982, vedremmo come le forze di occupazione israeliane avevano invaso la gran parte del territorio libanese arrivando sino alla capitale, Beirut. I carri armati avanzarono fin dove siamo seduti adesso. La comunità internazionale e tutto il mondo sosteneva Israele, la maggior parte dei paesi arabi erano per lo più deboli fantocci e la Repubblica Islamica pativa la guerra imposta da Saddam Hussein. L’invasione del Libano avvenne esattamente dopo la liberazione di Khorramshahr (8) da parte dell’Iran: la nostra situazione appariva quasi senza via d’uscita. Non c’era nessuna speranza di sconfiggere Israele. Si parlava di centomila soldati israeliani dispiegati in Libano; l’esercito più forte della regione, accompagnato dalle forze americane, inglesi e internazionali, era presente nel nostro paese, senza dimenticare che una parte dei libanesi collaborava con l’occupante. Il numero dei resistenti era molto scarso; parliamo di qualche centinaia di persone. Come poteva questo piccolo e debole (musta’adhaf) gruppo anche solo immaginare di sconfiggere forze così preponderanti? Ripensando a quei giorni oggi emerge più che mai palese quale fosse l’ideale che spinse quei giovani ad imbracciare le armi, a combattere senza risparmio sotto le bandiere della Resistenza, a perseverare lungo un così arduo sentiero: era la loro fede in Dio ed il vivere il confronto con il nemico come un dovere religioso (taklifsha’ri); se avessero ignorato il combattimento e il Jihad, avrebbero dovuto renderne conto nel Giorno del Giudizio, viceversa ottemperando al sacro dovere della lotta contro l’ingiustizia avrebbero goduto il compiacimento di Dio, accresciuto i loro tesori spirituali e sarebbero stati annoverati tra le Genti del Paradiso. Questo era il loro ideale. Erano veramente Genti dell’altro mondo (Ahl al-Akhira), Genti di Dio (Ahlu’Llah); essi non appartenevano a questa bassa dimensione né aspiravano a nulla che vi appartenesse. Ed i loro compatrioti legati al mondo (Ahl al-dunya) tacciandoli di pazzia dicevano loro: “Siete solo un pugno di giovani, come pretendete di sconfiggere Israele?”. In Libano allora era famoso il seguente proverbio: “ Può forse l’occhio resistere al punteruolo?” E’ ovvio che la ragione si pronunci per l’impossibilità di una tale evenienza. Ed era la stessa logica mondana a far sì che una buona parte dell’opinione pubblica indicasse questi giovani come puri folli. Ricordo come alcuni dei ragazzi dessero la medesima risposta di ‘Abis (9) a Karbala: “L’amore per Husayn mi ha fatto impazzire.” Non si trattava pertanto di considerazioni di natura materiale. In base ai calcoli materiali nessuna Resistenza sarebbe mai potuta sorgere in Libano; avremmo dovuto sottometterci alle condizioni degli israeliani e degli americani e a tutte le loro imposizioni. Mi ricordo che nelle prime settimane un nostro primo gruppo si recò ad incontrare l’Imam Khomeyni e gli chiese quale fosse il loro dovere. Confessarono all’Imam: “La nostra situazione è difficile, il nostro numero è limitato, i nostri mezzi sono pochi e il nostro nemico è potente. Ma noi siamo pronti ad adempiere il nostro dovere religioso, qualunque esso sia.” Il nobile Imam disse: “Il vostro dovere, anche se il vostro numero è limitato e i vostri mezzi ridotti, è la Resistenza e la lotta contro Israele. Affidatevi a Dio e abbiate fiducia in Lui. Dio vi aiuterà.” L’Imam parlò quindi della nostra vittoria con diciotto anni di anticipo e aggiunse: “Dio vi aiuterà: la vittoria è scritta sulle vostre fronti.” Egli presagiva che questo insignificante gruppo avrebbe sconfitto Israele. Disse: “Abbiate fiducia in Dio e affidatevi a Lui.” E ripeté anche la sua famosa frase: “Voi siete responsabili dell’adempimento del vostro dovere, non del risultato. Assolvete al vostro dovere e il risultato sarà nelle mani di Dio. Sarete vittoriosi.” Quindi iniziammo ad operare con questo spirito e pensiero. Coloro che pertanto combattevano in quei giorni, molti dei quali hanno raggiunto il martirio e molti altri ancora in vita, avevano una motivazione assolutamente divina. Non volevano nulla dalla carcassa di questo mondo e neanche prevedevano che dopo venti o trenta anni potessero essere ancora vivi per poter godere di sicurezza, pace, vittoria e gloria. Previsioni di questo tipo non erano assolutamente contemplate. Tale spirito esiste e regna ancora oggi. Leggete i testamenti dei martiri, soprattutto di coloro immolatisi in operazioni di martirio volontario (istishhadi); nonostante molti di loro non avessero studiato né nella Hawzah né nelle università, leggendo i loro scritti si rimane sorpresi del livello di conoscenza e di amore [per Dio] che esprimevano.
Intervistatore: Nobile Seyyed, quale è la sua opinione sull’importanza dell’ ‘irfan e dell’attenzione dei sapienti verso le questioni gnostiche? E quanto è importante l’acquisizione della conoscenza gnostica e divina nelle scuole tradizionali islamiche (hawzah) per i seminaristi (tullab).
S.H.Nasrallah: Questo è uno degli argomenti che almeno nelle nostre Hawzah dell’Iraq, del Libano e della Siria mancava del tutto. Si tratta di una scienza che, ad eccezione delle Hawzah dell’Iran, era vietata e suscitava reazioni particolarmente ostili. L’Imam Khomeyni nel “Manshure Rohaniyat” vi fa alcuni riferimenti. In Iran la questione era differente, anche se la situazione appariva comunque complicata. Personalmente la ritengo una carenza non soltanto grave ma addirittura pericolosa; questo perché quando l’essere umano accresce la sua erudizione senza un contemporaneo aumento del timor di Dio e della conoscenza sottile, egli tenderà a ribellarsi deviando dal retto cammino ed imboccando l’oscuro sentiero della superbia. La vera garanzia per coloro che vogliano diventare autentici sapienti o grandi personalità politiche, militari o economiche, risiede in questo processo religioso, sapienziale e spirituale, e qualsivoglia carenza o mancanza si manifesti al riguardo potrebbe seriamente pregiudicare la nostra vita in questo mondo e nell’altro. Pertanto l’irfan deve essere più importante dello studio della giurisprudenza, dei suoi principi o di qualsivoglia altro argomento; se non si collocasse il talabah in una cosiffatta cornice spirituale sarebbe come prendere un giovane, addestrarlo all’uso delle armi e degli esplosivi, renderlo invincibile e quindi liberarlo nel consesso umano ma privo di un qualsiasi freno divino o capacità di discernimento. Cosa farebbe costui? Spargerebbe il sangue del suo prossimo distruggendo l’altrui proprietà. Ed un talabah sarebbe ben più pericoloso del suddetto combattente poiché i sapienti religiosi privi del timor di Dio e della Conoscenza, unici argini al peccato ed all’errore, altro non farebbero che distruggere il senso religioso delle comunità.
Intervistatore: I prodigi del nobile Ayatullah Bahjat sono stati tramandati da tali e tante fonti da far loro raggiungere il livello di tawatur [10]. Tra l’altro, riguardo a coloro che ne hanno parlato, non si tratta certo di figure di basso profilo bensì di autorità del calibro dell’Imam Khomeyni o della Guida [Imam Khamenei]. Una delle testimonianze più interessanti addirittura riporta come l’Imam [Khomeyni] credesse lo Shaykh Bahjat capace di “morte volontaria”. Quale è, a suo giudizio, il suo più grande prodigio?
S.H. Nasrallah: La mia opinione, per quanto inadeguata, essendo il sottoscritto ben poca cosa, è che i suoi più grandi prodigi si manifestassero soprattutto nell’esercizio della sua sublime capacità di ridar vita alle anime. Mi spiego: egli aveva un miracoloso effetto sui cuori dei credenti. Si racconta di una persona che, toccato un albero secco, lo fece tornare verde o che tramite un’invocazione lo avesse ricoperto di frutti. Ovviamente le anime umane sono molto più complesse e difficili di quel semplice albero. Le anime umane, soprattutto in questa epoca e negli ultimi decenni, sono sotto il dominio dei demoni, fra gli jinn e gli esseri umani. Senza dubbio quella nobile tradizione che dice “Negli ultimi tempi essere religiosi sarà più difficile che tenere un carbone ardente nella mano” include ogni giovane, ragazzo e ragazza, seminaristi compresi. Le anime morte, corrotte, rovinate, deviate, perse o compromesse, quando sedevano innanzi allo Shaykh o ascoltavano le sue parole, potevano sperimentare un’autentica rivoluzione spirituale. La vera resurrezione dei morti non è il ridar vita ad un cadavere per poi farlo alzare, mangiare e bere. Resuscitare significa ravvivare le anime e i cuori reindirizzandoli sulla Via di Dio, e tutto questo nella più insidiosa e difficile delle epoche, un periodo mai prima d’ora così costellato di minacce ed illusioni continuamente invitanti alla devianza ed all’errore. Chiunque – perlomeno tra i miei stretti conoscenti – incontrasse una o due volte lo Shaykh, anche solo occasionalmente, vedeva la sua vita radicalmente rivoluzionata, e credo che proprio questo fosse il più grande dei suoi prodigi.
Intervistatore: Come definisce la relazione tra Shaykh Bahjat e l’Imam al-Hujjat [il dodicesimo Imam, il Mahdi occulto]?
S.H. Nasrallah: Ne abbiamo sentito parlare soltanto da persone attendibili. Io personalmente non gli ho mai chiesto nulla in proposito. Durante i nostri incontri ho sempre evitato di interrogarlo al riguardo ritenendo l’argomento inopportuno e comunque troppo personale. Una domanda del genere avrebbe probabilmente messo a disagio lo Shaykh. E poi: cosa mai avrebbe potuto rispondere? Era costretto… In alcuni casi però, talune personalità attendibili, hanno avuto l’ardire di porgli lo spinoso quesito, ci hanno tramandato le sue risposte. Personalmente credo in questa relazione e la ritengo piuttosto naturale perché, nella storia dell’Occultazione Maggiore (11), ci è stato trasmesso ripetutamente da persone affidabili che alcuni dei più grandi ulamà – certamente i più puri e fidati – ebbero incontri con l’Imam del Tempo. E la stazione del nobile Shaykh non fu certo inferiore a quella di coloro che ebbero la grazia di incontrare l’Imam. Per una persona che abbia raggiunto un livello spirituale pari a quello dello Shaykh avere degli incontri con il Dodicesimo Imam non sarebbe che una logica conseguenza. Secondo la mia opinione, su questo argomento assai carente, il ruolo educativo dello Shaykh esigeva un tale rapporto. Tuttavia vorrei avanzare un’ulteriore ipotesi al riguardo. Io credo che nel corso dell’Occultazione Maggiore, e soprattutto nella nostra epoca, vi sia particolare bisogno di persone autorevoli, conosciute e sincere in contatto con l’Imam del Tempo, e la ragione di ciò è la preservazione della dottrina sciita imamita. Questo perché col trascorrere del tempo, soprattutto dei secoli, potrebbe farsi avanti la perniciosa domanda: “Dove è dunque quest’Imam occulto di cui attendete l’avvento?”, aprendo così la porta del dubbio. Leggendo le tradizioni dei nostri nobili Imam sappiamo che giungerà il giorno in cui verrà detto “Seppur fosse esistito, ora non c’è più: è morto e sepolto.” Oggi sapienti e ricercatori conducono studi, tengono convegni, scrivono trattati assicurandoci scientificamente dell’esistenza dell’Imam del Tempo, del suo essere vivo ed occulto e del fatto che egli, allo stesso modo in cui noi lo aspettiamo, attenda il permesso di Dio per manifestarsi e realizzare la giustizia sulla terra. Eppure nonostante ciò, Satana e le sue schiere diaboliche continuano a sfruttare i nostri ciclici momenti di debolezza tacciando tali argomentazioni di astruseria intellettualistica ma soprattutto sussurrando subdolamente: “Ma fratello, nessuno l’ha mai visto e nessuno lo ha incontrato.” Io credo questo punto sia fondamentale ai fini della difesa della nostra dottrina. L’Imam del Tempo può in taluni casi manifestarsi senza contraddire l’essenza dell’Occultazione Maggiore. Anche storicamente questo tipo di incontri è stato ampiamente documentato. Ogni generazione necessita di persone che lo incontrino. Vi dirò di più. Esistono gruppi di persone che tutt’oggi dicono: “Chi ha detto che Seyyed Bahrululum ha incontrato l’Imam del Tempo? O che lo abbia fatto Muqaddas Ardibili o Allamah Hilli?” (12). Ed anche qualora dimostraste sino all’evidenza la veridicità dei fatti, essi impiegherebbero tutti gli espedienti intellettuali a loro disposizione per distruggerne l’attendibilità e relegarli nel mondo delle favole. So che molti coltivano seri dubbi sulla reale esistenza dell’Imam del Tempo e sul suo essere vivo: scienza e ragionamenti suggeriscono di si, ma il loro cuore è inquieto. Ma quando vediamo una persona fidata raccontare degli incontri tra lo Shaykh Bahjat e il dodicesimo Imam e possiamo leggerne i relativi dettagli in opere come “Kheirkhah”, il cuore ne esce rafforzato; questo perché lo Shaykh Bahjat era unanimemente conosciuto per la sua assoluta estraneità alla menzogna, alla ricerca del potere o del profitto; egli non ricercava né l’amore, né l’adorazione della gente, né tanto meno avrebbe mai ostentato presunti incontri con l’Imam. Anche le condizioni sotto cui lo Shaykh decise di accennare ai suoi incontri con l’Imam dell’Epoca sono chiara dimostrazione della sua sincerità, perché frutto delle pressioni e della forte insistenza altrui. Molti vollero interrogarlo al riguardo senza ottenere alcuna risposta. Ed ha taciuto al riguardo persino all’inizio della Marjaiyyah; soltanto negli ultimi anni ha aperto un qualche timido spiraglio. Lo riteneva come un suo dovere e voleva adempierlo. Per questo io accetto i racconti tramandatici di generazione in generazione, dall’inizio dell’occultazione fino ad oggi. Bisogna accettare questo fatto: è l’Imam che sceglie chi incontrare. Nessuno può imporre se stesso. La decisione spetta solo e soltanto all’Imam. Egli certamente conosce il bene e sceglie la persona degna che goda la fiducia dei credenti affinché l’obiettivo di cui ho parlato venga realizzato. Ed in effetti ciò che è stato detto ultimamente, anche prima della scomparsa dell’Ayatullah Bahjat, riguardo al suo incontro o ai suoi incontri con l’Imam dell’Epoca ha contribuito ampiamente al rafforzamento della fede dei credenti e degli sciiti in particolare, fugando definitivamente quel pernicioso dubbio che andava insidiando i cuori di una parte di essi.
Intervistatore: Nobile Seyyed, in base ad una voce molto diffusa lo Shayk Bahjat avrebbe annunciato la buona novella secondo cui gli anziani avrebbero potuto vedere la manifestazione dell’Imam prima dei giovani. Ma quando gli fu chiesta conferma di ciò egli negò dichiarando che il dovere di ogni credente, sia giovane che anziano, è quello di aspettare la parusia. Ha mai interrogato lo Shaykh Bahjat in proposito e quale è stata la sua risposta?
S.H. Nasrallah: Sì. E’ una delle cose di cui abbiamo parlato. Nei primi incontri avuti con lo Shaykh i nostri fratelli chiedevano se lui vedesse la parusia dell’Imam dell’Epoca vicina. Il nostro desiderio e la nostra massima aspirazione, come credenti e sciiti, è questo. Il nobile Shaykh alimentava sempre la speranza ma non specificava mai alcun tempo preciso. Questa è la stessa condotta degli Ahl-al-Bayt. Lui diceva: “Se Dio vuole la parusia è vicina. Dobbiamo aspettare e operare.” Ma, ripeto, da lui non abbiamo mai sentito annunciare alcun tempo specifico, neanche in generale. Non ha mai detto “presto”, “in un futuro vicino”, ecc. Un giorno una persona venne da me affermando di aver sentito con le sue orecchie una cosa del genere dallo Shaykh. Io che mi fidavo della parola di quella persona rimasi profondamente sorpreso. Si tratta di un episodio risalente a molti anni fa. Comunque la persona in questione calcolò la data dal calendario lunare a quello gregoriano giungendo alla conclusione che la parusia dell’Imam sarebbe avvenuta nel 1997. Io gli chiesi: “Ma sei sicuro? E’ impossibile che lo Shaykh abbia specificato una data. E’ contro la condotta degli ulamà; inoltre le tradizioni proibiscono di specificare un tempo.” Lui rispose: “No, sono sicuro e l’ho sentito io stesso.” La prima volta che, dopo il suddetto racconto, mi recai a Qom, andai in visita dallo Shaykh e gli chiesi delucidazioni al riguardo, senza riferirgli chi me ne avesse parlato al fine di non danneggiarne la reputazione. Gli dissi che qualcuno mi aveva raccontato di aver sentito da lui che la parusia sarebbe avvenuta nel 1997. Era il 1996, cioè un anno prima della presunta data. Il nobile Shaykh si adirò così tanto che mi pentii di avergliene parlato. Egli, intimamente amareggiato, prese ad invocare “Astaghirullah! Astaghfirullah! Maazallah! [Che Dio mi perdoni! Che Dio mi perdoni! Che Dio non voglia!] Io non ho mai previsto alcuna data. Non ho mai osato una cosa del genere. Quella persona mi ha attribuito una menzogna. Io non ho detto assolutamente nulla di simile.” A quel punto cambiai argomento: era molto adirato. Ma ripeto che domanda e smentita al riguardo avvennero prima del 1997, cioè prima della falsa previsione.
Intervistatore: Una delle caratteristiche del nobile Shaykh fu il suo alto livello sapienziale fin dalla gioventù. Un livello confermato da alcuni suoi maestri come Seyyed Abulhasan Esfahani, Shaykh Muhammad Husayn Kampani, Shaykh Yazdi ed altri; inoltre sapienti come Shaykh Mesbah Yazdi o l’Ayatullah Javadi Amoli, lo ritengono Marja Alam (13) e possessore di una scuola giuridica e dottrinale particolarmente solida. Ha qualche informazione al riguardo?
S.H. Nasrallah: Io non possiedo una qualifica tale da poter parlare di questo aspetto della personalità dello Shaykh, ma ciò che ho sentito dagli esperti, sapienti, mujtahidin e fuqaha conferma in modo inoppugnabile e particolareggiato il suo alto livello sapienziale, specialmente nel campo hawzawy, giurisprudenziale e dottrinale. Personalmente, purtroppo, non ho particolari informazioni al riguardo.
Intervistatore: Nobile Seyyed, quali metodi propone per diffondere la scuola o il pensiero dello Shaykh Bahjat, soprattutto in un’epoca in cui abbiamo particolare bisogno di tali scuole per guidare i giovani? Quale è il suo consiglio per diffondere questo pensiero benedetto, soprattutto negli ambienti e fra i giovani di Hezbollah?
S.H. Nasrallah: In realtà uno dei più efficaci mezzi e metodi per diffondere tale cultura e dottrina spirituale è la conoscenza stessa del nobile Shaykh, della sua vita, dei suoi consigli e delle sue parole. Questo è il metodo migliore, molto più attraente, convincente ed efficace, di una presentazione puramente accademica. Perché stiamo parlando di gente ordinaria, di un pubblico giovane, di una generazione realmente assetata; non stiamo parlando di specialisti e studiosi della Hawzah. Personalmente ho letto molte delle cose che hanno scritto e raccolto sullo Shaykh Bahjat, ma credo che l’opera “KhayrKhah”, tra l’altro pubblicata ultimamente, sia particolarmente esaustiva. La sua prima edizione in Libano è andata subito esaurita. Chiunque abbia avuto in mano quest’opera e l’abbia letta, grazie alla sua completezza, dolcezza, bellezza e ovviamente agli insegnamenti in essa raccolti, ne è rimasto positivamente influenzato. Le informazioni in essa contenute non sono state raccolte qua e là, ma provengono dalle persone e dalle fonti più affidabili e a lui più vicine. Devo ringraziare vivamente l’Istituto per la preservazione e pubblicazione delle opere dello Shaykh Bahjat. Credo che opere simili, unite ad un sincero sforzo nel raccontare al meglio la nobile figura dello Shaykh, le sue opinioni e i suoi consigli accessibili a tutti, siano gli strumenti migliori per mantenere vivo il suo prezioso insegnamento. Con il presente lavoro si è fornito un esempio concreto, togliendo l’‘irfan dal campo della pura astrazione. Non si parla della Via prescindendo da chi la percorre, ma si parla del pellegrino spirituale (salik), di cosa ha visto, di come è arrivato e dove è arrivato; di una persona che allo stesso tempo è anche un grande Marja, specializzato nel faqih [giurisprudenza islamica] e nell’usul [i principi della giurisprudenza islamica].Tutte caratteristiche di cui l’essere umano ha bisogno per guidare il prossimo e se stesso e che sono presenti nella scuola e nella persona dell’Ayatullah Bahjat.
Intervistatore: Quale è il suo consiglio riguardo alla diffusione del pensiero dello Shaykh tramite organi come “Al-Manar” e gli altri organismi mediatici e culturali di Hezbollah?
S.H. Nasrallah: Ovviamente questa è parte delle responsabilità mie e dei fratelli di Hezbollah, a Iddio piacendo. Se Dio vuole faremo del nostro meglio per diffondere la sua opera e presentarne la personalità e le opinioni con i metodi più moderni, cioè con tutti i mezzi a disposizione affinché il suo messaggio sia conosciuto da tutti, soprattutto dai giovani.
Intervistatore: Nobile Seyyed, grazie tante per averci dedicato il suo tempo. Dio le dia il bene e se Dio vuole speriamo di essere testimoni del suo successo nei campi spirituali, combattentistici e scientifici. Cari telespettatori, ringraziamo anche voi.
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NOTE
1)Il termine ‘irfan, come la parola ma’rifat, deriva dalla radice araba ‘u r f, che significa ‘sapere’, ‘conoscere’. Ciò che nell’Islam è chiamato ‘irfan si fonda sulla dottrina metafisica secondo la quale il dominio dell’esistenza, lungi dal limitarsi al mondo materiale, comprende anche una gerarchia di stati o gradi di esistenza in possesso di una realtà via via maggiore secondo che ci si allontana dallo stato materiale per avvicinarsi alla sorgente stessa dell’esistenza; ciò è vero per il mondo e, correlativamente, anche per l’uomo, che può elevarsi spiritualmente ‘realizzando’, se Dio vuole, quegli stessi stati mediante una conoscenza spirituale che trasforma la sua comprensione della Realtà riconducendola alla verità originaria dell’Esistenza, ovvero al suo Principio e fine ultimo. Nel senso proprio del termine, tale conoscenza è, quindi, una ‘gnosi’, termine col quale, nel presente testo, sarà reso l’originale arabo ‘irfan (cfr. R.M. Khomeyni- M. Motahhari “La via spirituale. Invito e introduzione”, Semar edizioni, Roma, 2002).
2) Gli ‘Urafa (gnostici) affermano che per ottenere la conoscenza reale è necessario passare attraverso alcuni ‘stati’ (ahwal) e ‘stazioni’ (maqamat), e che senza avere percorso tale ‘sentiero’ nella sua interezza non è possibile conseguire la vera conoscenza. Il percorso è chiamato ‘viaggio spirituale’ (sayr wa suluk). (cfr. R.M. Khomeyni- M. Motahhari “La via spirituale. Invito e introduzione”, Semar edizioni, Roma, 2002).
3) Il Marja Taqlid è l’autorità religiosa nel campo della giurisprudenza islamica e il punto di riferimento per i credenti sciiti non specializzati nel diritto islamico (ijtihad).
4) Durante la battaglia di Karbala (680 d.C.) venne martirizzato il nipote del Profeta (S), l’Imam Husayn, assieme a poco più di settanta dei suoi seguaci contro almeno trentamila soldati dell’armata fedele al sultano Yazid. Le battaglie di Badr (624 d.C.) e di Khaybar (628 d.C.) rappresentano invece due importanti vittorie dell’esercito islamico, guidato in entrambe le occasioni dal Profeta (S), contro i più acerrimi nemici dell’Islam sin dalla prima ora: i politeisti e gli ebrei.
5) Si tratta di chiedere o ricercare la benevolenza divina attraverso preghiere, invocazioni o riti particolari. Al giorno d’oggi questo termine viene anche utilizzato per ricercare il consiglio divino, in ispecie apprendo alcune pagine del Corano o facendo utilizzo di un rosario, prima di compiere un determinato atto.
6) Letteralmente significa “trasmettere”, “far raggiungere”. Con questa espressione oggi generalmente si intendono gli atti di presentazione e propagazione della dottrina islamica in un dato contesto o in una certa società.
7) Nella tradizione islamica è Dio che prende le anime ordinando all’angelo della morte di protrarre il comando. In alcuni casi, quando l’anima gode della prossimità e di favori divini, si ritiene che il volere del credente si identifichi con quello divino implicando dunque la facoltà del suo libero arbitrio durante la sua morte.
8) Il 24 maggio 1982 i giovani eroi dell’esercito, delle Guardie della Rivoluzione islamica (i Pasdaran) e delle forze volontarie (i Basij) iraniani posero fine a 575 giorni di occupazione della strategica città di Khorramshahr da parte delle truppe irachene, grazie ad una valorosa operazione militare chiamata “Beitol-Moqaddas” (Gerusalemme). La grande offensiva ebbe inizio nell’aprile del 1982 e venne terminata il 24 maggio dello stesso anno con la liberazione della “città prospera” (il significato di Khorramshahr). Durante la battaglia, oltre sedicimila delle truppe irachene vennero uccise e oltre diciannovemila vennero catturate. I caduti iraniani furono seimila. La liberazione di Khorramshahr cambiò il destino della guerra tra i due paesi, mettendo in seria discussione le capacità militari dell’armata di Saddam, sostenuta economicamente e militarmente dagli Stati Uniti e da molti altri paesi.
9) Abis bin AbiShahib fu uno dei nobili compagni dell’Imam Husayn (AS) presenti a Karbala nella battaglia di Ashura. Al pari degli altri fedeli e leali compagni del nipote del Profeta (S), rimase al fianco del terzo Imam nonostante l’estrema disparità delle forze in campo, ricevendo infine il martirio.
10) Per tawatur si intende quando una molteplicità di fonti riportano un certo racconto conducendo così alla certezza della sua autenticità.
11) Secondo la dottrina sciita il dodicesimo Imam, Muhammad ibn Hasan ‘Askari, entrò in occultazione minore durante la prima fase della sua vita e si manifesterà nuovamente, sollevandosi per ordine divino, nei tempi ultimi per colmare la terra di giustizia ed equità. Il dodicesimo Imam nacque a Samarra, attuale Iraq, nel 250 dell’Egira (868 d.C.). Divenne Imam alla morte di suo padre, quando aveva cinque anni, fase nella quale entrò in stato di occultazione minore, comunicando con i suoi seguaci soltanto attraverso quattro suoi rappresentanti. Questi rappresentanti si succedettero l’uno con l’altro per un periodo di sessantanove anni. Con la morte del suo quarto rappresentante nel 329 dell’Egira (940 d.C.) l’Imam non designò un altro rappresentante ed entrò nello stato di Occultazione Maggiore, che dura ancora oggi. Solo a pochi eletti o ad alcuni credenti particolarmente purificati è concesso il privilegio di vedere l’Imam durante la sua Occultazione Maggiore e ad un gruppo ancor più ristretto quello di avere con l’Imam un rapporto costante. Per approfondimenti consultare la sezione del nostro sito Mahdaviyah o l’opera di H.Corbin “L’Imam nascosto” (SE, Milano, 2008).
12) Si tratta di alcuni grandi sapienti sciiti del passato che, secondo le opere storiche sciite, hanno incontrato l’Imam del Tempo, al-Mahdi (che Iddio ne affretti la gioia della manifestazione). Per maggiori approfondimenti, cfr. l’articolo “Coloro che hanno incontrato il Sole”.
13) Figura religiosa e fonte di emulazione per i credenti sciiti, è colui che è ritenuto il più sapiente e qualificato del suo tempo in materia di diritto islamico.
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