Perché a Israele è permesso possedere il monopolio della storia palestinese?
Ramzy Baroud*
Il rapporto investigativo pubblicato dal quotidiano israeliano “Haaretz” intitolato “Classified Docs Reveal Massacres of Palestinians in ’48 – and What Israeli Leaders Knew” (Documenti classificati rivelano massacri di palestinesi nel ’48 – e cosa sapevano i leader israeliani) (1) è assolutamente da leggere. Dovrebbe essere letto in particolare da tutti coloro che si considerano “sionisti” e da coloro che, per qualsiasi motivo, sostengono Israele, in qualsiasi parte del mondo.
“Nel villaggio di Al-Dawayima… le truppe dell’8° Brigata hanno massacrato circa 100 persone“, riferisce “Haaretz”, anche se il numero delle vittime palestinesi è poi salito fino a 120. Uno dei soldati che hanno assistito a quell’orribile evento ha testimoniato davanti a un comitato governativo nel Novembre 1948: “Non c’è stata nessuna battaglia e nessuna resistenza. I primi conquistatori hanno ucciso da 80 a 100 uomini, donne e bambini arabi. I bambini sono stati uccisi fracassando loro il cranio con dei bastoni. Non c’era una casa priva di persone uccise all’interno“.
Il rapporto di “Haaretz”, di quasi 5.000 parole, è pieno di dettagli così dolorosi: storie di anziani palestinesi che non poterono sfuggire all’invasione sionista e alla pulizia etnica della Palestina storica (1947-48) e che vennero allineati contro i muri e assassinati; di una donna anziana che viene colpita a bruciapelo con quattro proiettili; di altri anziani stipati all’interno di una casa poi bombardata da un carro armato e da bombe a mano; di molte donne palestinesi violentate. Storie devastanti che continuano all’infinito.
Gli storici si riferiscono spesso al modo in cui la Palestina ha subito la pulizia etnica dei suoi abitanti nativi con una tipica affermazione secondo cui i rifugiati palestinesi sono “…quelli che sono fuggiti o sono stati espulsi dalle loro case“. L’uso della parola “fuggito” è stato sfruttato dai sostenitori di Israele, i quali affermano che i palestinesi hanno lasciato la Palestina di propria iniziativa.
Fu sempre “Haaretz”, nel maggio 2013, a riferire (2) di come il padre fondatore di Israele e suo primo Primo Ministro, David Ben Gurion, avesse fabbricato tale storia per proteggere l’immagine di Israele. Il documento numero GL-18/17028, trovato nell’archivio militare israeliano, ha dimostrato come la storia dei palestinesi “fuggiti” – presumibilmente per volere dei governi arabi – sia stata inventata dagli stessi israeliani. Purtroppo, come dimostrano le ultime rivelazioni portate alla luce da “Haaretz”, i palestinesi rimasti indietro a causa della loro disabilità, età o malattia non sono stati risparmiati; furono massacrati nel modo più orribile immaginabile.
Qualcos’altro mi ha tuttavia colpito dell’ultimo servizio del quotidiano israeliano. C’era (e c’è tuttora) una costante enfasi da parte dei deliranti leader israeliani sul fatto che coloro che hanno compiuto numerosi orribili omicidi erano pochi di numero e non rappresentano la condotta dell’intero esercito. È importante notare qui che con “esercito” ci si riferisce alle milizie sioniste, alcune delle quali operavano sotto il titolo di “banda”. (3)
E’ sempre stata data inoltre molta enfasi al concetto di “moralità” quando si tratta di coloro che indossano uniformi che rappresentano lo stato di occupazione. I “fondamenti morali di Israele” furono così, secondo quei primi “sionisti etici”, messi a repentaglio dalla cattiva condotta di pochi “soldati”, con i quali ci si riferiva a miliziani e miliziane, e persino “terroristi”.
“Secondo me, tutte le nostre basi morali sono state minate e abbiamo bisogno di trovare dei modi per frenare questi istinti” affermò Haim-Mosh Shapira, l’allora ministro per l’Immigrazione e la salute, nel corso di una riunione del governo Comitato, riportato da “Haaretz” (4).
Shapira, che all’epoca rappresentava la voce della ragione e dell’etica in Israele, non stava discutendo sul diritto di Israele di stabilirsi sulle rovine della Palestina colonizzata e infine distrutta. Né metteva in discussione l’uccisione di decine di migliaia di palestinesi o la pulizia etnica di altre centinaia di migliaia durante la Nakba. Faceva invece riferimento e protestava contro i violenti eccessi che seguirono la Nakba, una volta assicurato il futuro di Israele e la distruzione della Palestina.
Inutile dire che pochissimi israeliani, se non nessuno, sono stati ritenuti responsabili per i crimini del passato. Settantatré anni dopo, le vittime palestinesi continuano a gridare per una giustizia che continua a essere posticipata.
Il marchio di sionismo “umanista” di Shapira, con la sua moralità selettiva ed egoista, continua ad esistere fino ad oggi. Per quanto strano possa sembrare, la stessa linea editoriale di “Haaretz” è la perfetta manifestazione di questa presunta dicotomia sionista.
Alcuni potrebbero trovare questa conclusione un po’ dura. Sionisti o no, potrebbero protestare dicendo che “Haaretz” ha almeno esposto questi massacri e il fatto che la dirigenza israeliana ne fosse consapevole. Tali ipotesi, tuttavia, sono grossolanamente fuorvianti.
Generazioni dopo generazioni di palestinesi, insieme a molti storici palestinesi – e persino alcuni israeliani – conoscevano la maggior parte di questi massacri, quali quelli di Reineh, Meron (Mirun) e Al-Burj, secondo “Haaretz” “precedentemente sconosciuti“. Il presupposto qui è che questi massacri fossero “sconosciuti” fino a quando non sono stati riconosciuti dagli stessi israeliani. Dal momento che la linea editoriale di “Haaretz” è guidata dalla stessa errata narrativa storica di Israele, le uccisioni e la distruzione di questi villaggi semplicemente non sono avvenute ufficialmente fino a quando non vengono ammesse da un ricercatore israeliano.
Walid Khalidi, uno degli storici più autorevoli della Palestina, come molti altri era a conoscenza di questi massacri da decenni. Nella sua opera fondamentale “All That Remains: The Palestinian Villages Occupied and Depopulated by Israel in 1948” (5), Khalidi parla di Al-Burj, il cui unico segno di esistenza è ora “una casa sbriciolata… in cima alla collina“.
Lo storico palestinese discute in dettaglio ciò che resta del villaggio di Meron (Mirun): “Mentre la parte araba del villaggio fu demolita, rimangono ancora in piedi diverse stanze e muri in pietra. Uno dei muri ha un’apertura a forma di porta rettangolare e un altro ha un ingresso ad arco.” Le sue descrizioni sono particolarmente precise.
Non è la prima volta che un’ammissione di colpa israeliana, pur sempre condizionata, viene considerata come la conferma della sofferenza palestinese. Ogni affermazione palestinese di cattiva condotta israeliana, anche se può essere verificata da testimoni oculari e sopravvissuti, o anche filmata, rimane discutibile fino a quando un giornale, un politico o uno storico israeliano non ne riconosce la validità. Perché a Israele è permesso detenere il monopolio della storia palestinese in questo modo?
La nostra insistenza sulla centralità della narrativa palestinese sta diventando più urgente che mai, perché emarginare la storia palestinese è una forma di negazione totale di quella storia; la negazione del suo sanguinoso passato e dell’altrettanto violento presente. Dal punto di vista palestinese, il destino di Al-Burj non è diverso da quello di Jenin; il destino di Mirun non è diverso da quello di Beit Hanoun; e il destino di Deir Yassin non è diverso da quello di Rafah, anzi, dell’intera Striscia di Gaza.
Rivendicare la storia non è un esercizio intellettuale, è una necessità. Sì, ci sono ripercussioni intellettuali ed etiche, ma ci sono anche conseguenze politiche e legali. I palestinesi non hanno bisogno di riscrivere la propria storia, perché è già scritta. È tempo che coloro che hanno prestato molta più attenzione alla narrativa israeliana abbandonino tale sofisma e, per una volta, ascoltino le voci palestinesi. La verità trasmessa dalla vittima è molto diversa da quella dichiarata dall’aggressore.
NOTE
2) Cfr. https://www.haaretz.com/.premium-ben-gurion-grasped-the-nakba-s-importance-1.5243033
3) Cfr. “Organizzazioni terroristiche sioniste in Palestina (Commissione ONU)”: https://islamshia.org/organizzazioni-terroristiche-sioniste-in-palestina-comissione-onu/
4) Cfr. https://www.haaretz.com/.premium-ben-gurion-grasped-the-nakba-s-importance-1.5243033
5) Sharif S. Elmusa, Muhammad Ali Khalidi, “The Palestinian Villages Occupied and Depopulated by Israel in 1948”, Institute for Palestine Studies, 1992.
Articolo originale: https://daysofpalestine.ps/post/17630/Why-is-Israel-allowed-to-own-Palestinian-history
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